domenica 3 febbraio 2008

ROSALIND FRANKLIN, UN NOBEL NON DATO

Molte volte ci si chiede: ma cosa hanno fatto di veramente grande le donne, per l’umanità? La storia di Rosalind Franklin può sicuramente illuminare la riflessione in tal senso, visto che molti, leggendo questo nome si chiederanno: ‘chi era costei’? E mai potrebbero immaginare che fu lei, la giovane ma intelligentissima Rosalind, a scoprire la struttura del DNA, anche se i colleghi Crick e Watson se ne presero il merito e per questa ‘scoperta’ vinsero anche il Nobel.
Era nata a Londra, il 25 luglio 1920, da una ricca famiglia anglo-ebraica, di banchieri. Le donne della sua famiglia d’origine non lavoravano, ma avevano tutte buona cultura. Studiò anche Rosalind, frequentando la prestigiosa scuola di St. Paul's Girl's, una delle poche scuole femminili di Londra nella quale venivano insegnate le materie scientifiche, come la fisica e la chimica. Fu lì che Rosalind scoprì il suo interesse per la scienza, tanto da decidere, a 15 anni, che da grande avrebbe fatto la scienziata.

Nel 1938, a 18 anni, si iscrisse al Newnham College di Cambridge,per studiare chimica e fisica, contro la volontà del padre che voleva per lei qualcosa di più adatto ad una signora della buona società. Si laureò nel 1941; rimase nell’Università come ricercatrice, ma nel 1942 la lasciò per andare a lavorare presso l’Associazione Britannica di Ricerca per l’utilizzazione del Carbone. Qui la giovane Rosalind fece degli studi fondamentali sulle microstrutture del carbone. (Il carbone, se viene riscaldato, si trasforma in un cristallo, la grafite, che tutti noi conosciamo essendo questo il materiale che ci permette di scrivere con le matite).

Questo lavoro servì per preparare la tesi del suo dottorato in fisica e chimica, che conseguì nel 1945.
A guerra finita, nel 1946 si trasferì a Parigi presso i Laboratoire Central des Services Chimiques de L'Etat, per specializzarsi nella tecnica della diffrazione ai raggi X, un metodo utilizzato anche per analizzare molecole di grandi dimensioni. Il suo interesse si volse sempre più verso le molecole biologiche e studiò in particolare la struttura del carbonio.

Nel 1951, per le sue competenze, venne invitata da John Randall al Dipartimento di biofisica del King's College di Londra dove erano iniziate le ricerche sul DNA, acido desossiribonucleico, la componente principale dei cromosomi e quindi dei geni. In poco tempo, Rosalind mise a punto una tecnica innovativa che utilizzava i raggi X per fotografare i costituenti di tutti i materiali viventi e non viventi. Il dispositivo consisteva in una microcamera capace di produrre fotografie ad alta definizione dei singoli filamenti del DNA. La Franklin riuscì dunque a fare la prima fotografia dello scheletro del Dna che le permise di ipotizzare la famosa forma ad elica.

Ma la vita di Rosalind al King’s College non era felice: i suoi rapporti umani con i colleghi erano difficili, a causa di forti differenze di temperamento, rivalità, ambizioni e si scontravano contro un diffuso maschilismo che tendeva al separatismo fra uomini e donne e alla pretesa di comportamento ancillare da parte di queste ultime, nei confronti degli scienziati maschi. Rosalind invece era una donna forte, determinata, particolare e sofisticata, nel bigotto mondo di Cambridge, per aver vissuto a Parigi ed essere di religione ebrea.

Alla sua stessa ricerca sul DNA lavoravano tre ricercatori-uomini: James Watson, un biologo americano che aveva otto anni meno di lei (era del 1928), laureato in zoologia presso l’Università dell’Indiana e a Cambridge grazie ad una borsa di studio. Questo collega era un tipo molto disinvolto, versatile, trascinatore, soprattutto nei confronti di un altro collega: Francis Crick, nato nel 1916. Ma il collega più prossimo alla Franklin era Maurice Wilkins, anch’egli nato nel 1916 e dunque quasi coetaneo della collega Rosy, specializzato in biofisica. I due non andavano d’accordo perché la ricercatrice era convinta di essere stata chiamata a Cambridge grazie alle precedenti esperienze ed ai suoi personali successi e riteneva di dover condurre in autonomia le sue ricerche anche in quella nuova Sede. Il collega Maurice invece, che aveva cominciato prima di lei, pensava che la collega era stata chiamata per affiancarlo ed aiutarlo nelle sue ricerche, nel ruolo di ‘assistente esperta’ Questa scarsa chiarezza nella definizione dei ruoli aveva portato i due ricercatori a non parlarsi più. L’unico modo per conoscere gli studi ed i progressi nella ricerca dell’altro era quello di partecipare ai congressi ed ai seminari scientifici.

Ma un altro scienziato, classe 1901, lavorava alla stessa ricerca: Linus Pauling e faceva sapere in giro di essere ormai arrivato alla soluzione dell’enigma (non era vero, perché il suo modello conteneva un grossolano errore: ipotizzava una tripla elica) del DNA. Occorreva fare presto, se si voleva arrivare primi. Fu così che l’intraprendente Watson prese contatti con Wilkins, il quale gli mostrò delle copie di fotografie scattate dalla Franklin (che lui aveva riprodotto di nascosto), in particolare la foto n. 51, una delle foto più chiare mai scattate prima, delle molecole biologiche.

Questa immagine era quanto mancava al giovane ed ambizioso ricercatore per arrivare alla verità: ‘come vidi la fotografia rimasi a bocca aperta e sentii il cuore battermi più forte…La croce nera dei riflessi al centro della foto poteva nascondere solamente una struttura ecoidale…’ Raccontò in un famoso libro del 1968, di cui parleremo più avanti.

Sul numero di Nature del 25 aprile 1953 comparvero ben tre articoli sul DNA: A Structure for Deoxyribose Nucleic Acid di Watson e Crik; il secondo da Wilkins ed i suoi collaboratori (A. R. Stokes e H. R. Wilson) e il terzo dalla Franklin e il suo migliore studente (Raymond Gosling) con il quale tre mesi più tardi pubblicò una conferma dell'elica nella forma in A.
In quella stessa primavera del 1953 la scienziata si trasferì al Birkbeck College di Londra, dove si occupò di uno dei virus che causano la poliomielite, fornendo la prova della sua particolare struttura a spirale a forma di cilindro cavo.

Nell'autunno del 1956, Rosalind scoprì di avere il cancro alle ovaie, ma rifiutò di abbandonare il suo lavoro di ricerca. Morì il 16 aprile del 1958, all'età di 37 anni, forse per le eccessive esposizioni ai raggi X.
Rileggendo i suoi carteggi, si capisce come la Franklin abbia sofferto molto nell’ambiente in cui viveva, ma dai suoi scritti non trapela nulla che riguardi un moto di amarezza o di dispiacere per questa mancata scoperta tanto che, nella sua vita, rimase sempre in ottimi rapporti con Watson e Crick, con i quali continuò a collaborare fino alla sua morte.

Nel 1962 James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins ottennero il Premio Nobel per la Medicina per la scoperta della struttura del DNA. In quella occasione non ricononobbero il contributo di Rosalind Franklin, anche se ormai lei era morta ed il premio Nobel si assegna solo a persone viventi.

Nel 1968 venne pubblicato il libro di Watson La doppia elica,(cui abbiamo già fatto cenno), in cui lo scienziato descriveva la storia della scoperta della struttura dell'acido nucleico. Anche per le pressioni esercitate da Crick e Wilkins, l’Harvard University Press, che aveva firmato già un con-tratto, rifiutò di pubblicare il libro che uscì poi per un altro editore e divenne rapidamente un best seller, anche per le numerose polemiche che accese in campo scientifico relative all’etica professionale.

Solo nell'epilogo Watson cerca di ridimensionare la descrizione sprezzante data della collega Rosy (che lui così chiama, in tono paternalistico, anche se era sempre stata Rosalind per tutti, anche per gli intimi) in tutto il libro e scrive: "Poiché le mie impressioni sul suo conto dal punto di vista scientifico e personale [...] furono all'inizio spesso sbagliate, voglio dire qui [..] che eravamo giunti ad apprezzare profondamente la sua onestà e la sua generosità, rendendoci conto, troppo tardi, delle lotte che una donna intelligente deve affrontare per essere accettata nel mondo scientifico"
’… La sua ostilità derivava unicamente dalla sua giusta aspirazione di lavorare con gli altri su un piano di eguaglianza'. (dal libro di J.D. Watson, 'The double helix', Atheneum, 1968).

Concludiamo la storia della Franklin con questa bella lettera al padre (estate 1940, anni 20) sui temi della religione e della scienza:
… Ovviamente il mio metodo di pensiero e di ragionamento è influenzato dall’allenamento scientifico – se così non fosse i miei studi scientifici sarebbero stati un fallimento ed una perdita di tempo. Ma tu guardi alla scienza, o almeno ne parli, come se fosse una sorta di invenzione immorale da parte dell’uomo. Qualcosa di diverso dalla vita reale, che deve essere guardato con prudenza e tenuto separato dalla vita di tutti i giorni. Ma la scienza e la vita di tutti i giorni non possono e non debbono essere separati. Per me la scienza fornisce una parziale spiegazione della vita. Essa è sempre stata basata su fatti, esperienze ed esperimenti. Le tue teorie e quelle della gente che la pensa come te sono più facili e più gradevoli, ma secondo me non hanno alcun fondamento, se non quello di portare ad uno stile di vita più piacevole (e ad una esagerata idea della nostra importanza). Credo che la fede sia importante per avere successo nella vita (successo di qualsiasi tipo), ma io non accetto la tua definizione di fede, cioè credere nella vita dopo la morte. Dal mio punto di vista, tutto quello che è necessario per la fede è credere che, facendo del nostro meglio, arriveremo più vicini al successo e che il successo delle nostre aspirazioni (il miglioramento della vita umana, presente e futura) valga la pena del nostro impegno. Chi crede in tutto quello che la religione implica deve ovviamente avere questo tipo di fede, ma sono convinta che in questo mondo si possa avere fede anche senza credere nell’altro mondo…

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