giovedì 29 maggio 2008

Le Analisi Del Sangue

Il sangue è costituito da una parte liquida, chiamata plasma, e da una parte cellulare o corpuscolata. Nel plasma è presente una vasta gamma di sostanze quali enzimi, minerali, lipidi, ormoni, zuccheri, vitamine, proteine ecc. La parte corpuscolata è costituita dai globuli rossi o eritrociti, da globuli bianchi o leucociti e dalle piastrine. È probabilmente l’esame più diffuso e più richiesto perchè, attraverso il sangue, non solo si riescono ad individuare le sostanze che circolano nel corpo, ma si riesce anche a capire se un organo sta funzionando bene o se invece ha qualche difetto.
L’analisi del sangue è un esame veloce e indolore. Il prelievo viene solitamente effettuato da una vena alla piega del gomito, sull’avambraccio o sul dorso della mano. La quantità di sangue estratto dipende dal numero di analisi che si devono eseguire, ma in ogni caso si tratta sempre di una quantità molto piccola; il prelievo, in genere, viene eseguito, in uno specifico laboratorio, a stomaco vuoto, di preferenza alla mattina, per evitare che le sostanze contenute nel cibo ingerito alterino il normale equilibrio del sangue.

Dal sangue si possono trarre le informazioni sulla funzionalità degli organi (livello dei sali, della glicemia, degli ormoni, della pressione arteriosa e venosa, della temperatura etc). Il numero degli esami del sangue è elevato. Quelli più comuni sono denominati “di routine” e valutano i valori dei metabolismi principali.
In un qualsiasi foglio di risposta di laboratorio la prima pagina viene dedicata all'emocromo completo, cioè all'analisi dei componenti corpuscolari del sangue che per convenzione si dividono in:
serie rossa: gli eritrociti ( la R red rosso delle sigle) l'emoglobina in essi contenuta (la H hemoglobin delle sigle) e le piastrine (la P platelet delle sigle). Questa serie ha lo scopo di mettere in evidenza la funzionalità del trasporto di ossigeno , mediante la composizione corretta dei globuli rossi, sia nella forma e volume sia nel contenuto di emoglobina. La funzionalità di coagulazione viene anzitutto analizzata attraverso il numero e la forma delle piastrine
serie bianca: i granulociti (a loro volta distinti in neutrofili, eosinòfili, basòfili), i monociti, i linfociti. Attraverso l'analisi di questa serie , viene mostrata la funzionalità di difesa e comunque di reazione dell'organismo in situazioni di emergenza.

La serie rossa
A) LA CONTA DEI GLOBULI ROSSI (RBC) O ERITROCITI (GR) O EMAZIE
Ogni adulto ne possiede circa 30.000 miliardi e sono i responsabili del trasporto di ossigeno per la respirazione cellulare. Si formano nel midollo osseo e per la loro produzione sono necessarie alcune sostanze come la vit.B12, l'acido folico e il ferro. La durata dei GR è di circa 120 giorni; quindi essi vengono segregati nella milza e nell'intero sistema reticolo endoteliale e scomposti. La loro materia prima viene in massima parte riutilizzata per i nuovi GR.

I valori normali della quantità assoluta circolante dei GR viene espressa con la sigla RBC

valori normali di RBC
Uomini 4.5 - 6.1 milioni/ml
Donne 3.9 - 5.4 milioni/ml

Cosa significa una riduzione degli eritrociti (RBC)?
La riduzione dei RBC si dice anemia e può verificarsi a seguito di
• perdita attraverso un'emorragia evidente o interna o nascosta ad es. nelle feci o nell'urina
• incompleta o difettosa struttura degli stessi GR (carenza di vit.B12, l'acido folico e il ferro)
• decomposizione troppo veloce o distruzione abnorme dei GR (forma difettosa, patologia del sistema reticolo endoteliale)
Cosa significa un'aumento degli eritrociti (RBC)?
L'aumento degli eritrociti può essere dovuto a
• un minore apporto di ossigeno dall'esterno (lunga permanenza ad alte quota)
• una ridotta concentrazione interna di ossigeno (malattie polmonari o cardiache croniche)
• una malattia del midollo osseo per produzione eccessiva dei RBC
La valutazione del quadro ematologico non avviene mai in base ad un solo valore di laboratorio; presuppone invece il confronto con altri parametri, ad esempio numero di eritrociti, emoglobina ed ematocrito.

B) L'EMATOCRITO (HCT)
Attraverso un processo di centrifugazione, il sangue viene scomposto in parte corpuscolata e liquida, descrivendo quindi la quantità percentuale dei RBC rispetto al sangue totale. L'ematocrito costituisce quindi un altro parametro per definire la reale quantità di globuli rossi atti a trasportare ossigeno ai tessuti ed escludere anemie.
Valori normali dell’ematocrito
Uomini 42-50%
Donne 36-45%
Bambini: neonati 45-75%
1 mese 30-55%
6 mesi 34-46%
da 1 a 4 anni 33-44%
10 anni 36-43%

Cosa significa una riduzione dell'ematocrito?
Una riduzione dell'ematocrito significa che o la parte corpuscolata del sangue è diminuita (parimenti dovrebbero essersi abbassati anche il numero degli eritrociti e il valore dell'emoglobina) o che la parte liquida (ad esempio per una iperidratazione del corpo) è aumentata.

Cosa significa un aumento dell'ematocrito?
Un aumento dell'ematocrito può significare o un incremento della parte del sangue corpuscolata (poliglobulia) o una diminuzione della parte fluida (disidratazione molto grave del corpo detta ispissatio sanguinis).

C) IL VALORE ASSOLUTO DELL'EMOGLOBINA (HGB)
E’ definito come il pigmento dei globuli rossi atto a trasportare l’ossigeno ai tessuti. Quando l’HB, all’interno dei polmoni tramite il processo di respirazione, si lega all’ossigeno si chiama ossiemoglobina, un composto che conferisce al sangue il caratteristico colore rosso vivo. L’emoglobina è una grossa molecola che si forma nel midollo osseo a partire da due componenti: l’eme con atomi di ferro e una proteina a forma di doppia catena (alfa e beta), la globina, alla cui formazione provvedono principalmente la Vit. B12 e l’acido folico. Il sangue ricco di ossigeno scorre nelle arterie, quello che ne è povero nelle vene. Spesso in base al colore del sangue è possibile distinguere se un'emorragia è arteriosa o venosa.
Valori normali dell’HGB
Uomini 20-40 anni 13-18 g/dl
> 40 anni 14-17 g/dl
Donne 20-40 anni 12-16 g/dl
> 40 anni 12-17,5 g/dl
Bambini
Neonati 17-27 g/dl
1 mese 12-22 g/d
6 mesi 10-15 g/dI
1 anno 9,5-14,5 g/dI
4-10 anni 10-16g/dI

Cosa significa una riduzione di emoglobina?
Normalmente il valore dell'emoglobina è direttamente correlato al numero di eritrociti, quindi una loro carenza indica generalmente anche una scarsità di emoglobina. Un abbassamento del valore dell'emoglobina è perciò sintomo di un'anemia.

Cosa significa un aumento di emoglobina?
Anche nel caso di aumento dell'emoglobina si può prevedere un incremento dei globuli rossi (poliglobulia), le possibili cause sono quindi le stesse dell'aumento del numero di eritrociti.

Quando le due catene (alfa e beta) della globina sono sproporzionate nel loro rapporto, si parla di talassemia o anemia mediterranea. Talassemia alfa o talassemia beta, a seconda del deficit. In tal caso si ha una distruzione accentuata (anemia emolitica) dei globuli rossi.
D) GLI ALTRI PARAMETRI DEI GLOBULI PER LA VALUTAZIONE DELLE ANEMIE:
• MCV
• MCH
• MCHC
• RDW
• HDW
Lo studio delle anemie è un fenomeno complesso, ma spesso negli esami di routine appaiono dei valori che vanno conosciuti.
Quando l’eritropoiesi, cioè la formazione dei globuli rossi nel midollo osseo è qualitativamente normale, l’ematocrito e il numero dei globuli rossi per ml di sangue sono strettamente correlati tra loro e subiscono variazioni consensuali. Quando, al contrario l’eritropoiesi diviene qualitativamente alterata (come in alcune anemie acquisite o congenite) questi rapporti possono modificarsi. Vengono allora studiati altri parametri come il:
• MCV il volume corpuscolare medio dei globuli rossi (si ottiene dividendo l’ematocrito per il numero dei globuli rossi)
• MCH il contenuto medio di emoglobina per ciascun globulo rosso (si ottiene dividendo l’HB espressa in g/dl per il numero dei globuli rossi nello stesso volume)
• MCHC la concentrazione corpuscolare media di emoglobina è il rapporto fra la quantità di emoglobina in g/dl e il volume dei globuli rossi espressi nell’ematocrito.
In alcune situazioni anemiche, per esempio nelle anemie per difetto di ferro (anemie sideropeniche) il numero dei globuli rossi può essere normale o addirittura aumentato per riduzione del MCV (microcitosi) e della MCH (ipocromia). Nel caso di accentuata distruzione dei globuli rossi ( anemie emolitiche) si ha una diminuzione di RCB ma l’anemia è normocitica e normocromica per la normalità di MCV e MCH.
In altre situazioni anemiche il numero dei globuli rossi è invece diminuito più di quanto non siano ridotti l’ematocrito e l’emoglobina. Si viene allora a determinare un aumento del MCV e della MCH (macrocitosi). Questo fenomeno è caratteristico delle anemie perniciose, a causa della carenza di Vit.B12 e di acido folico (elementi essenziali alla formazione della globina) ma anche di altre anemie per difetto di formazione della struttura del globulo rosso.

In altri casi può essere aumentato il MCV ma non la MCH (microcitosi e normocromia) come nelle anemie carenziali, cioè quando vengono a mancare sia il ferro che la Vit.B12 e l’acido folico. Anche in quel caso si ha un grande globulo rosso ma scarsa MCHC, cioè diminuzione della concentrazione di emoglobina nel globulo. A seconda della caratteristica del deficit, si parlerà di megaloblastosi e megalocitosi in deficit di vitB12 e macroblastosi e macrocitosi nel deficit di acido folico.
Per una migliore valutazione delle anemie, in laboratorio oggi si applicano i cosiddetti parametri della distribuzione
RDW l’indice di distribuzione dei volumi eritrocitari vn.11-16.5 %
HDW l’indice di distribuzione della concentrazione di HB vn. 2.2-3.2 g/dl
Tutti gli eritrociti che l’analizzatore conta, vengono in questo caso riportati in un diagramma cartesiano, sul cui asse verticale viene indicato il volume delle emazie mentre sull’asse orizzontale si descrive il loro contenuto di emoglobina. Nel paziente normale la totalità delle emazie cade in un quadrante centrale del diagramma, mentre gli eritrociti di piccolo volume (microcitosi) e di basso contenuto di emoglobina (ipocromia) sono distribuiti in basso e a sinistra.
E) LA SIDEREMIA. LA FERRITINEMIA. LA TRANSFERRINEMIA.
Per la valutazione di un'anemia, cioè della diminuzione del trasporto di ossigeno ai tessuti per l'energia cellulare, si valutano anche gli elementi essenziali al formarsi dell'emoglobina e quindi del globulo rosso. La globina, com'è noto, si unisce agli atomi di ferro formando l'eme. Il ferro di deposito e di trasporto costituisce quindi un parametro essenziale per diagnosticare, prevenire e curare un'anemia.
Più della metà del ferro dell’organismo è contenuto nei globuli rossi e si rende disponibile per la formazione dei nuovi globuli a partire dalla distruzione dei vecchi, globuli da parte della milza e dell’intero sistema reticolo endoteliale. Quindi è un sistema chiuso e solo una piccola percentuale dipende dall’assorbimento intestinale. Tuttavia il ferro è distribuito anche in altre proteine di deposito circolante (sideremia) e di trasporto (transferrinemia). In alcune patologie o eventi emorragici, diminuiscono non solo l’ematocrito e l’emoglobina ma anche i parametri di deposito, di trasporto e lo stesso equilibrio di ferro nei tessuti (ferritinemia). Negli stati di anemia emolitica (accentuata distruzione dei GR) e nell'anemia perniciosa si può avere un certo incremento della ferritinemia. Un grande incremeneto si ha invece nel sovraccarico di ferro (emocromatosi).
Valori normali
Sideremia uomo 60-160mcg/dl
donna 40-140 mcg/dl

Ferritinemia uomo 30-400 ng/ml
donna fertile 15-150 ng/ml
in menopausa 30-400 ng/ml
Transferrinemia 200-300 mg/dl

la serie bianca
I globuli bianchi (leucociti) WBC
I globuli bianchi (leucociti) vengono chiamati anche "sentinelle del sangue” poiché svolgono una parte fondamentale nella difesa da agenti estranei o patogeni. Quando l'organismo viene messo all'erta per la comparsa di "nemici" come batteri, funghi, corpi estranei o anche per obesità e stress eccessivo, i leucociti vengono mobilitati e iniziano, se necessario, la loro lotta contro gli "intrusi".

Valori normali dei leucociti (WBC)

Adulti 4000-l0000/micronl
Bambini: neonati 9400-34000/ micronl
1 mese 5000-20000/ micronl
1 anno 6000-17000/ micronl
4 anni 5000-5500/ micronl
10 anni 4500-l3000/ micronl

Cosa significa un aumento dei leucociti?
La causa più frequente di un aumento moderato dei globuli bianchi è l'esposizione dell'organismo ad un'infiammazione provocata non da agenti patogeni. Può causare inoltre un aumento dei leucociti anche ogni forma di stress eccessivo e tutti gli stati di shock..
Un forte incremento (ma unito ad altri sintomi organici e, tuttavia, la valutazione è sempre del medico) del numero dei leucociti è presente nelle malattie più gravi del sistema sanguigno, le leucemie. Le leucemie insorgono a causa di una proliferazione neoplastica incontrollata nel midollo osseo di globuli bianchi maturi "completi" o immaturi "incompleti". Questi invadono il corpo, soppiantano gli altri elementi del sangue e inibiscono in modo irreversibile e incurabile il sistema di difesa, il sistema di coagulazione del sangue e di trasporto dell'ossigeno. In base al tipo di leucociti moltiplicatisi e al grado di aumento, viene fatta una distinzione tra leucemia acuta e cronica. A seconda del tipo di leucemia si può avere un decorso della malattia drammatico che porta al decesso in breve tempo senza possibilità di cura, oppure un'evoluzione che per anni non presenta grandi disturbi. Il tipo di approccio terapeutico varia a seconda delle proporzioni della malattia e va dalla "semplice osservazione" fino all'impiego di farmaci chemioterapici, radioterapia e trapianti dei midollo osseo.

Cosa significa una riduzione dei leucociti?
Un calo di leucociti si può trovare in quadri di infezione molto gravi, sintomatici di stati di esaurimento del sistema di difesa, di danni al midollo osseo (ad esempio a causa di medicine, radioterapia o sostanze chimiche), in molte infezioni da virus e in alcune malattie del sistema sanguigno.

IL QUADRO DIFFERENZIALE della serie bianca
In molte malattie o alterazioni del sangue, distinguere fra i diversi tipi di globuli bianchi è una preziosa fonte di informazione per la diagnosi.. L'analista può conseguirla mediante la separazione dei globuli bianchi oltre che attraverso la valutazione precisa al microscopio dei globuli rossi e delle piastrine. I globuli bianchi (leucociti) possono venire suddivisi in vari gruppi, i più importanti dei quali sono: i granulociti, i linfociti, i monociti
1) I granulociti si distinguono a loro volta in:
*neutròfili (neut) vn.45-70%
Sono i primi ad intervenire nei processi infiammatori attivando il complessosistema di fagocitosi e con la secrezione dei fattori umorali didifesa
Cosa significa un aumento dei neutrofili
L’aumento dei neutrofili può avvenire per sforzi fisici, stress, gravidanza, ciclo mestruale, infezioni batteriche, ustioni, emorragie, disturbi metabolici come il diabete, farmaci cortisonici, leucocemie etc
Cosa significa una diminuzione dei neutrofili
La diminuzione dei neutrofili può avvenire per infezioni sia batteriche che virali, le parassitosi o per scarsa produzione degli elementi da parte del midollo; per aumento dell’attività di distruzione da parte della milza; per malattie autoimmuni etc

*eosinòfili (eos) vn. 1-3%
Sono le particelle deputate al contrasto di alcuni processi di allergia e di parassitosi

Cosa significa un aumento degli eosinofili (eosinofilia)
Gli eosinofili aumentano in fenomeni allergici di qualsiasi natura; in fenomeni di parassitosi e di autoimmunità etc
Cosa significa una diminuzione degli eosinofili (eosinopenia)
Gli eosinofili diminuiscono in caso d’infezioni batteriche gravi.

*basòfili (baso) vn 0-0.5%
Sono le particelle deputate alla produzione delle immunoglobuline
Cosa significa un aumento dei basòfili (basofilia)
L’ aumento dei basòfili avviene in alcune malattie autoimmuni, nella malattia di Hodgkin per maggiore produzione delle immunoglobuline
Cosa significa una diminuzione dei basòfili
La diminuzione dei basofili si avvera per aumento della distruzione da parte della milza e nelle gravi immunodeficienze.

2) I linfociti (linf) vn.20-40%
Sono le cellule circolanti deputate alla difesa specializzata contro agenti estranei e una loro prima grande suddivisione li distingue in linfociti B (che in presenza dell’agente estraneo o antigene si moltiplica e si trasforma in plasmacellule secernendo le immunoglobuline o anticorpi) per la difesa immediata o umorale e linfociti T per la difesa ritardata o mediata da cellule soprattutto mediante la fagocitosi.

Cosa significa un aumento dei linfociti(linfocitosi)
L’ aumento dei linfociti avviene nelle infezioni batteriche e virali; nei processi allergici; nelle leucemie linfoidi, in alcune malattie dell’apparato endocrino come l’ipertiroidismo.
Cosa significa la presenza delle plasmacellule nel sangue (plasmocitosi)
In condizioni normali le plasmacellule non sono presenti nel sangue; si osserva invece nel mieloma multiplo, nella mononucleosi infettiva, nel morbillo, nella rosolia e nella varicella.
Cosa significa una diminuzione dei linfociti (linfopenia)
Una piccola diminuzione può essere addebitata a deficit immunitari acquisiti con infezioni croniche. In caso di immunodeficienze dopo infezioni o dopo chemioterapie o per malattie autoimmuni (del rene, della tiroide etc) o per leucemie la diminuzione deve essere molto importante.

3) I monociti (mono) vn. 3-7%

Sono cellule circolanti di grandi dimensioni deputati alla difesa immunitaria mediata da cellule soprattutto attraverso il cosiddetto processo di fagocitosi. L’agente estraneo viene letteralmente mangiato e metabolizzato all’interno.
Cosa significa un aumento dei monoliti (monocitosi)
L’aumento dei monociti avviene in alcune malattie (come la tubercolosi, la malaria etc) o altri processi patologici (malattie autoimmuni) come risposta di difesa in cui viene chiamato in causa soprattutto il sistema immunitario mediato da cellule (linfociti T e monociti). Nelle leucemie mieloidi e nei linfomi si ha semplicemente la iperproduzione o neoplasia di queste cellule.

la coagulazione del sangue
In occasione di un intervento chirurgico, l’operatore dovrà assicurarsi non solo che sia presente una quota sufficiente di sangue ma che funzioni perfettamente o quasi, il sistema di coagulazione o di tamponamento. Quando un vaso sanguigno viene comunque leso, si verifica una fuoriuscita di sangue tanto più consistente quanto più grandi sono le dimensioni della ferita. Senza contromisure da parte dell'organismo, il rischio di dissanguamento sarebbe sempre presente. A salvaguardia delle perdite di sangue, l'organismo dispone perciò di un perfetto sistema di sicurezza, il cosiddetto sistema di coagulazione. Questo consta di tre componenti principali:
La capacità dei vasi sanguigni di rimarginarsi dopo una ferita
Le piastrine (trombociti) che subito dopo una ferita si raggruppano lungo i bordi del vaso formando un tampone
I fattori della coagulazione che avviano il processo definitivo di coagulazione attraverso la produzione del coagulo impostando la riparazione del danno.

Un esame informativo sul sistema di coagulazione viene ordinato di routine in caso di intervento chirurgico. I test che vengono eseguiti comprendono di regola:
la determinazione del numero delle piastrine
il Tempo di Quick
il tempo di tromboplastina parziale
*Le piastrine (trombociti, platelets) PLT
Sono una delle componenti più importanti del sangue: con il loro aiuto infatti, le ferite dei vasi purché non troppo estese, vengono rirnarginate normalmente entro tre minuti. Quando un vaso subisce una lesione, le piastrine si depositano sui bordi della ferita, formando un tampone (trombo) che dovrebbe impedire un'ulteriore perdita di sangue. Le piastrine cedono inoltre alcune "sostanze" che avviano appunto la coagulazione attirando altre cellule deputate alla riparazione dei danni.

Valori normali
Adulti l50.000-400.000/ml
Cosa significa un aumento delle piastrine?
Rialzi transitori delle piastrine si riscontrano ad esempio in seguito a gravi malattie infettive, in seguito a perdite acute di sangue o asportazione o lesione della milza (organo con funzione di deposito delle piastrine). Un forte rialzo dei valori delle piastrine porta ad un elevato rischio di trombosi.
Cosa significa una riduzione delle piastrine?
Cause della diminuzione del numero delle piastrine si possono trovare nei disturbi di produzione nel midollo osseo, ad esempio a causa di danni da raggi o da farmaci, ma anche per una carenza cronica di vitamina B12 e acido folico. Inoltre alcune malattie maligne del midollo osseo (ad esempio la leucemia) possono ridurre o ostacolare la produzione di piastrine. Un marcato abbassamento del numero di piastrine porta al mancato funzionamento del meccanismo della coagulazione con il rischio di emorragia.
Oggi si usa anche valutare
il MPV volume piastrinico medio (vn 7-11 fL)
allo scopo di considerare la forma dei trombociti nelle situazioni di difetto della coagulazione.

*Il tempo di Quick (tempo di tromboplastina, tempo di protrombina) PT vn 70-120%.
Il tempo di Quick dà informazioni sull'integrità di una serie ben definita di fattori fondamentali della coagulazione. Con un campione di sangue, viene misurato il tempo di coagulazione e confrontato con i valori normali. Il Tempo di Quick serve anche come controllo nelle terapie con farmaci anticoagulanti, come ad esempio in caso di trombosi o infarto del miocardio.

*Il tempo di tromboplastina parziale (PTT) vn 33-55 secondi.
Anche la determinazione del PTT dà una visione generale del funzionamento di un'intera serie di fattori della coagulazione. Sempre con un campione di sangue e tramite l'aggiunta di un determinato fattore, viene misurato il tempo di coagulazione.

Gli esami specialistici nei difetti di coagulazione
In tutti i casi in cui i test di ricerca descritti approssimativamente diano indicazioni sull'esistenza di disturbi del sistema di coagulazione, è necessario prescrivere una serie di ulteriori analisi in modo da poter spiegare esattamente se il fattore della coagulazione alterato è responsabile o meno di un dato disturbo. Particolare significato assumono queste indagini in caso di sospetto di malattie ereditarie del sangue (emofilia) che rappresentano appunto difetti dei fattori di coagulazione.
I fattori della coagulazione
All'ultima fase della vera e propria coagulazione, prendono parte più di trenta differenti proteine, detti fattori della coagulazione, presenti nel plasma sanguigno, nelle piastrine e sulle pareti dei vasi sanguigni che, in una sorta di reazione a catena, la cosiddetta cascata di coagulazione, si attivano a vicenda. La mancanza di una di queste componenti porta ad un forte rallentamento o perfino ad un arresto della coagulazione, cosicché ferite minime arrivano ad assumere proporzioni pericolose per la vita stessa. Un esame dei fattori della coagulazione è quindi specialistico e si richiede solo se il medico debba proporre una diagnosi importante di emofilia.
LA GLICEMIA

La determinazione della glicemia si ottiene o con prelievo di sangue venoso, ad esempio tramite prelievo del sangue dalla piega del braccio, o più semplicemente e velocemente tramite prelievo da polpastrello del dito o lobo auricolare. Con quest'ultima tecnica di prelievo viene analizzato sangue ossigenato (capillare) il cui contenuto di zuccheri può essere determinato entro pochi secondi grazie ad un semplice apparecchio elettronico di misurazione della glicemia, idoneo anche per l'autocontrollo del diabete mellito.

A digiuno 60-110 mg./dl
A stomaco pieno >140 mg/100ml

Cosa significa un aumento di glicemia?
In linea di massima valori alti della glicemia indicano la presenza di un iperglicemia o di un franco diabete mellito, per cui occorre prestare attenzione anche ad un singolo rialzo della glicemia in quanto possibile segnale della presenza di un diabete. Particolarmente importante è conoscere quale intervallo di tempo intercorre tra l'ultima ingestione di cibo e la determinazione della glicemia.
Dopo un'alimentazione estremamente ricca di carboidrati è possibile, analizzando i valori della glicemia, trovarli aumentati fino a 220 mg/dl, senza che per questo sia presente un diabete.

Quali conseguenze comporta un aumento del valore della glicemia?
La prima conclusione che deve essere tratta dalla determinazione di un tasso di glicemia aumentato, è la necessità di un ripetuto controllo dei valori, possibilmente anche in differenti ore del giorno, in modo da ottenere un profilo giornaliero o settimanale dei valori della glicemia. Altrettanto importante è la ricerca di zucchero nell'urina detta glicosuria che in condizioni normali è uguale a zero) che è possibile eseguire velocemente e con facilità grazie a strisce reattive.
In caso di valori solo leggermente aumentati, è possibile con l'aiuto della prova da carico di glucosio, chiamato in medicina test orale di tolleranza al glucosio, esaminare la funzione e la reattività delle cellule produttrici di insulina del pancreas.

Un ulteriore esame di laboratorio che rende possibile la valutazione dello stato del metabolismo dello zucchero in modo da indicare se la glicemia durante le ultime tre-quattro settimane è essenzialmente normale o più alta è l'emoglobina glicosilata (HbAlc). Questo valore dipende dalla concentrazione del glucosio all’interno del globulo rosso e aumenta in modo netto nei diabetici. E’ un elemento importante per la valutazione del rischio di complicanze vascolari.
Emoglobina glicosilata vn.7 % dell’emoglobina normale

Naturalmente dopo aver rilevato il valore dello zucchero, devono essere valutate tutte le altre malattie o fattori di disturbo che potrebbero avere causato tali variazioni di laboratorio come, ad esempio, assunzione di determinati farmaci, malattie a carico delle ghiandole surrenali e della tiroide, malattie del fegato e del pancreas.
A possibile anche una riduzione della glicemia?
La causa certamente più frequente della comparsa di un abbassamento della glicemia è un sovradosaggio di farmaci che vengono amministrati per l’iperglicemia (ipoglicemizzanti). Possono causare una caduta della glicemia anche la carenza alimentare, l’eccessivo affaticamento fisico, l’alcolismo o più raramente le malattie del pancreas e del fegato.

il metabolismo lipidico


Il colesterolo totale
Il colesterolo si trova esclusivamente nell'organismo umano e animale (non è quindi presente nei vegetali). E’ un'importante elemento costitutivo della membrana cellulare, e della struttura fondamentale per la produzione di alcuni ormoni e della vitamina D. Il colesterolo è inoltre una materia prima insostituibile per l'acido biliare.

Valori normali
colesterolo totale 100 – 220 mg/dl

I trigliceridi
I trigliceridi, chiamati anche lipidi neutri, vengono assimilati in prevalenza con l'alimentazione e solo in minima parte vengono prodotti dall'organismo stesso. Riguardo alla calcificazione dei vasi, essi non rivestono un'importanza pari a quella del colesterolo, tuttavia spesso tassi alti di trigliceridi si associano ad altre malattie del ricambio (come diabete, obesità, gotta, ipertensione arteriosa) e nelle donne, dopo la menopausa, comportano un elevato rischio di infarto del miocardio.
Poiché i trigliceridi costituiscono la parte principale dei normali grassi alimentari e vengono prodotti anche nell'organismo mediante un'alimentazione ricca di carboidrati, è possibile regolarne rapidamente il tasso attraverso un'adeguata alimentazione.

Valori normali
trigliceridi 50 – 175 mg/dl

Le lipoproteine
I grassi non sono solubili né in acqua né nel sangue. Possono tuttavia essere trasportati senza problemi nelle diverse parti del corpo. A questo proposito, l'organismo usa un espediente: appena i grassi giungono nel flusso sanguigno, essi vengono quasi "presi in spalla" da determinate proteine e trasportati alla loro destinazione.
Queste combinazioni di lipidi e proteine vengono denominate lipoproteine e si possono ulteriormente suddividere in differenti categorie. In relazione al loro contenuto di colesterolo e trigliceridi, secondo la densità delle loro molecole e secondo la loro grandezza, le lipoproteine vengono divise in 4 classi fondamentali:
- Chilomicroni
- Lipoproteine di tipo VLDL
- Lipoproteine di tipo LDL
- Lipoproteine di tipo HDL

Nella comune diagnostica di laboratorio, rivestono particolare importanza soprattutto due classi di lipoproteine in quanto la loro percentuale nei grassi del sangue è di notevole significato nella genesi dell'arterioselerosi. Oggi giorno il valore del colesterolo viene perciò diviso, quasi di routine, nelle sue componenti HDL e LDL, allo scopo di valutare i fattori di rischio che vengono descritti.

Le lipoproteine ad alta densità HDL vengono considerate lipoproteine "buone", esse sembrano proteggere le arterie dall'arteriosclerosi. Più alto è il loro valore, maggiore sarà la protezione dal rischio:
Maschi azione protettiva elevata >>55
azione protettiva scarsa >>35-55
Femmine azione protettiva elevata >>65
azione protettiva scarsa >>45-65

Le lipoproteine ad bassa densità LDL, al contrario, vengono classificate come lipoproteine "cattive" perché favoriscono l’adesione dei grassi sulla parete delle arterie, aumentando così la probabilità della formazione di arteriosclerosi:
Maschi rischio medio 150-190
Femmine rischio elevato >>190


LA FUNZIONALITA' RENALE


Il sistema urinario (reni, uretere, vescica, uretra) adempie con la produzione e l'eliminazione di urina al compito vitale dell'eliminazione dei prodotti del metabolismo, le cosiddette sostanze tossiche, il cui accumulo, in caso contrario, condurrebbe ad un'intossicazione dell'organismo. Gli organi centrali del sistema urinario sono i reni, che si trovano situati bilateralmente nelle immediate vicinanze della colonna vertebrale, sotto al diaframma. Essi filtrano il sangue a loro condotto attraverso le arterie renali e l'urina prodotta, passando attraverso l'uretere, arriva alla vescica. Quest’ultima funge da bacino di raccolta e provvede all'eliminazione delle urine.
Tramite analisi del sangue e dell'urina è possibile accertare malattie e disfunzioni renali spesso ad uno stadio iniziale, soprattutto quando non si sia ancora manifestato alcun sintomo di malattia. I più importanti valori di laboratorio, che si riferiscono alla funzionalità renale, sono i valori sierici di creatinina e urea o azotemia.

CREATININEMIA
La creatinina è il prodotto terminale del metabolismo muscolare, e deriva da un enzima chiamato la creatinfosfochinasi che viene ceduta al sangue ed eliminata tramite i reni. Quando i reni riducono la loro funzione di filtro, cresce nel torrente sanguigno il valore della creatinina: Quest’ultima viene quindi presa a riferimento della corretta o alterata funzionalità renale
Valori normali
Uomini 0,7-1,4 mg/dl
Donne 0,6-1,2 mg/dl.

Cosa significa un aumento dei valori della creatinina?
Un aumento dei valori della creatinina può essere causato da:
• insufficienza renale acuta o cronica
• lesioni muscolari (ad esempio contusioni).
Cosa significa una riduzione dei valori della creatinina?
Valori ridotti non hanno normalmente alcun significato patologico, si possono rilevare in caso di:
• scarsa massa muscolare
• gravidanza
Con l'aiuto di ulteriori analisi di laboratorio (cioè non eseguite di routine) ( la clearance della creatinina) è possibile diagnosticare più rapidamente eventuali disturbi della funzionalità renale.

AZOTEMIA
Nell'organismo le proteine vengono continuamente composte ma anche scomposte. Gli aminoacidi prodotti dalla scomposizione vengono quindi impiegati per la costruzione di nuove proteine oppure eliminati. All'interno del fegato l'ammoniaca viene trasformata in urea non tossica ed escreta con l'urina. In laboratorio i valori della presenza nel sangue dei prodotti di scomposizione delle proteine vengono misurati o come urea o come azotemia, cioè azoto ureico.
Valori normali dell'urea 10.0 - 50.0 mg/dl
Valori normali di azotemia 5.0 - 23.0 mg/dl
Cosa significa un aumento dell'urea o dell'azotemia?
La causa più importante è un disturbo della funzionalità del rene. Altra causa è un accresciuto apporto di proteine (alimentazione troppo ricca di carne)o di aminoacidi integratori oppure una forte perdita di proteine nelle malattie con distruzione di tessuti.

FUNZIONALITA’ DEL FEGATO
E DELLE VIE BILIARI

Organo d'importanza fondamentale per il corpo, il fegato possiede anche una straordinaria capacità di rigenerazione e una capacità di riserva che gli consente, anche in caso di perdita di 2/3 della sua massa, di riuscire ancora a svolgere tutte le sue mansioni. Condizioni dannose per il fegato sono in primo luogo gli "avvelenamenti cronici" (ad esempio un eccessivo consumo di alcolici o un abuso di farmaci) e le infiammazioni epatiche (epatiti), più raramente tumori primitivi e metastasi provenienti da altri organi. La conseguenza di molte malattie epatiche è innanzi tutto un aumento delle dimensioni del fegato, il quale subisce nel corso degli anni ulteriori continue lesioni fino ad arrivare alla cirrosi epatica (distruzione della maggior parte delle cellule epatiche che sono sostituite da noduli di "tessuto cicatriziale"). E possibile rilevare una disfunzione del fegato, con una serie di esami del sangue, già molto tempo prima che insorga. qualche disturbo fisico. Principalmente si ricorre alla valutazione degli enzimi epatici, che possono usare informazioni anche quantitative di un danno epatico. Ecco i più importanti enzimi epatici che possono essere determinati di routine.

GOT (TRANSAMINASI-GLUTAMMICO OSSALACETICA o ALT
GPT (TRANSAMINASI-GLUTAMMICO PIRUVICA) o AST

Entrambi gli enzimi GOT e GPT, spesso indicati insieme semplicemente come transaminasi, svolgono una importante funzione nella decomposizione delle parti fondamentali delle proteine (aminoacidi) dell'organismo. Si trovano non solo nel fegato, ma ad esempio anche nella muscolatura (cuore e muscolatura scheletrica), nel cervello e nei reni. Un aumento dei valori necessita perciò sempre di una più precisa indagine ed eventualmente della realizzazione di ulteriori
analisi come i markers dell'epatite B
Valori normali
GOT GPT
Uomini sotto 19 U/1 sotto 23 U/1
Donne sotto 15 U/1 sotto 18 U/I.

Cosa significa un aumento dei valori delle transaminasi?
Cause più frequenti di un aumento dei valori delle transaminasi sono:
- un semplice sovraccarico del metabolismo epatico
- un'epatite infettiva (ad esempio, epatite virale ma la diagnosi va confermata e sostenuta dai markers dell'epatite)
- una cirrosi epatica
- tumori e metastasi del fegato
- malattie delle vie biliari, malattie di altri organi: ad esempio, infarto del miocardio, embolia polmonare.
Una diagnosi più precisa sul significato dell'aumento dei valori delle transaminasi (ad esempio, un accertamento sull'entità dei danni presenti nelle cellule del fegato) è possibile attraverso la determinazione del rapporto GOT/GPT come pure attraverso la determinazione di un parametro di laboratorio supplementare.

GAMMA GT
(GammaGIutamilTransferasi gamma GT)
Le GammaGT sono un importante enzima del metabolismo proteico che reagisce molto sensibilmente in una serie di malattie del fegato e delle vie biliari.
Valori normali
Uomini sotto 28 U/I
Donne sotto 18 U/I.

Cosa significa un aumento dei valori gammaGT?
Cause principali di un aumento dei valori delle GammaGT sono:
• abuso di alcolici
• epatiti
• effetti collaterali dei farmaci
• malattie delle vie biliari e pancreatiti.
Cause meno frequenti sono carcinoma del fegato (o metastasi secondarie del fegato), infarto dei miocardio, nefropatie e altre (le GammaGT non sono presenti solo nel fegato ma si possono rilevare anche in altri organi, anche se in minore quantità). Un aumento isolato del valore delle GammaGT non indica necessariamente la presenza di una malattia; una diagnosi certa è possibile solo mediante ulteriori esami di laboratorio come i MARKERS dell'EPATITE B

FOSFATASI ALCALINA (ALP)
La fosfatasi alcalina deriva dalle ossa, dal fegato, dalle vie biliari, dall'intestino tenue e da alcune componenti de sangue. Un aumento del valore necessita perciò sempre di un'indagine più approfondita e di un'attenta comparazione con altri valori di laboratorio.
Valori normali
Bambini fino a 15 anni fino a 300 U/1
Ragazzi da 15 a 18 anni fino a 400 U/1
Adulti sotto 170 U/I.

Cosa significa un aumento dei valori della fosfatasi alcalina ?
E’ possibile rilevare un aumento dei valori della fosfatasi alcalina soprattutto nelle malattie epatiche e delle vie biliari, come nelle malattie ossee. Per poter stabilire con precisione a quale organo sia da attribuire la causa, è possibile misurare particolari sottounità (isoenzimi) della fosfatasi alcalina, ottenendo così un isoenzirna epatico, un isoenzima pancreatico, un isoenzirna osseo,e dell'intestino. Dovrà essere il medico a valutare se è necessario e utile determinare questi valori, anche prendendo in considerazione altri esami di laboratorio.

LA BILIRUBINA
La bile è costituita, insieme ad acqua e ad elettroliti, da bilirubina, acidi biliari, colesterolo e altre sostanze liposolubili. La bilirubina deriva in massima parte dalla degradazione dei globuli rossi (eritrociti), che quando sono imperfetti o vecchi vengono "segregati" nella milza, nel midollo osseo, nel fegato e "scomposti" nelle loro parti costitutive. La parte dei globuli rossi, l'eme, destinata al trasporto dell'ossigeno, viene scomposta innanzitutto nella bilirubina giallognola, che può essere trasportata al fegato solo tramite il legame con molecole proteiche presenti nel sangue. Questa prima forma di bilirubina viene determinata dal laboratorio come bilirubina libera o indiretta. Essa viene separata dalle proteine a livello epatico e quindi legata ad uno specifico acido, l'acido glicuronico. Divenuta ora maggiormente idrosolubile e indicata come bilirubina diretta o coniugata, può essere eliminata con la bile nell'intestino ed eventualmente anche tramite l'urina. E' quindi possibile determinare in laboratorio le diverse frazioni della bilirubina e individuare in quale ambito dell'organismo si trovi la causa di una eventuale alterazione dei valori.

Valori normali
Bilirubina totale
Adulti fino a 1,1 mg/dl
Bambini fino a 1,0 mg/dl
Neonati valori massimi a 5/6 giorni di vita fino a 13,5 mg/dl

Bilirubina diretta
Non è normalmente presente nel sangue, i valori fino a 0,30 mg/dl possono però essere ottenuti artificiosamente tramite i comuni metodi di misurazione e sono ritenuti quindi come normali.
Bilirubina indiretta
(Si calcola mediante la sottrazione della bilirubina diretta dalla bilirubina totale)
Adulti fino 1,1 mg/dl.

Cosa significa un aumento dei valori della bilirubina totale?
Un aumento dei valori della bilirubina totale dovrebbe
sempre indurre ad ulteriori accertamenti di laboratorio
mediante la determinazione delle frazioni diretta e indiretta.

Un aumento dei valori della bilirubina indiretta può essere causato da:
• malattie che provocano un aumento della distruzione degli eritrociti circolanti (è il caso in cui la perdita giornaliera supera il 5% -invece del normale 0,8% e il fegato non riesce più a metabolizzare i prodotti di degradazione).
• neonati di 2 o 3 giorni di vita con fisiologico "ittero neonatale" (il fegato è inizialmente ancora troppo im maturo per le sue funzioni)
• neonati che,presentano un fattore Rh (Rhesus) incompatibile con il sangue materno
• soggetti con disturbi metabolici benigni di probabile origine ereditaria (ittero familiare, ecc.)

Un aumento dei valori della bilirubina diretta può essere causato da:
*infiammazioni acute del fegato (epatite A, B, C) vai aiMARKERS dell'EPATITEB
*cirrosi epatica e steatosi epatica
*tumori epatici
*disturbi del deflusso biliare (ad esempio *occlusione biliare a causa di calcoli o tumori
*effetti collaterali causati dall'assunzione di determinati farmaci.

LA TIROIDE


PRINCIPI GENERALI
La tiroide è situata nella regione dei collo, davanti alla trachea, immediatamente al di sotto della laringe, ed è una ghiandola ormonale di importanza vitale per il nostro organismo. Gli ormoni tiroidei, cioè la tiroxina (T4) e la tri-iodotironina (T3) hanno un ruolo determinante nel metabolismo basale, cioè nella velocità con cui le cellule del corpo a riposo producono e consumano energia. Un eccesso di tiroxina comporta quindi un maggior consumo di energia, un deficit di tiroxina comporta una riduzione dei metabolismo basale.
Il controllo della produzione di tiroxina avviene attraverso una serie di meccanismi, dove ipofisi e ipotalamo fungono da centrali superiori. Queste vengono continuamente informate su fabbisogno e quantità disponibile di tiroxina ed intervengono in caso di un aumento o di una diminuzione della produzione di essa. Ecco perché il valore dell'ormone ipofisario stimolante la tioride TSH ha grande valore. La materia prima più importante per la produzione di tiroxina è lo iodio. L'alterazione che si riscontra più frequentemente a carico della tiroide è un suo ingrossamento. Esso viene chiamato gozzo (struma) e la sua comparsa dovrebbe sempre essere ritenuta un valido motivo di controllo delle funzioni tiroidee. Di routine dovrebbero innanzi tutto essere determinati i valori della tiroxina (T4) e della tri-iodotironina (T3). Oggi si preferisce determinare la frazione libera dei due ormoni.

TSH, TIROXINA (FT4) E TRI-IODOTIRONINA (FT3)

Valori normali
(subordinati al metodo di determinazione del laboratorio)
TSH adulti 0.2-0.4 mU/ml
FT4 Adulti 5-12 mg/dl
FT3 Adulti 80-180 mg/dl.

Anche in presenza di un gozzo è possibile rilevare valori di ormoni tiroidei normali; la causa di un ingrossamento della tiroide è spesso una carenza di iodio nell'alimentazione.

Cosa significa un aumento dei valori della tiroide?
Un aumento dei valori della tiroide indica una iperfunzione tiroidea. A questo proposito spesso si riscontrano nei soggetti colpiti i seguenti sintomi:
• agitazione, nervosismo, calo di peso, diarrea
• tremore alle mani
• vampate di calore
• tachicardia, disturbi del ritmo cardiaco.

Cosa significa una riduzione dei valori della tiroide?
Una riduzione dei valori della tiroide indica una ipofunzione tiroidea.
A questo proposito spesso si riscontrano nei soggetti colpiti i seguenti sintomi:
• aumento di peso, stipsi
• modificazioni dei capelli, gonfiore della pelle
• astenia, depressione.

I SALI MINERALI
Insieme a un apporto adeguato di calorie acqua e vitamine, sono indispensabili per la funzionalità degli organi anche i sali minerali, specie il sodio, il potassio, il cloro e il calcio. Li troviamo all'interno dell'organismo in concentrazione di grammi e vengono assimilati in tali quantità con l'alimentazione. I sali vengono sottoposti a meccanismi di eliminazione in grado di evitare una loro eccessiva concentrazione.

il CALCIO contribuisce alla formazione di ossa e denti; partecipa al processo di coagulazione, alla conduzione del sistema nervoso, alla contrattilità muscolare e alla difesa immunitaria. Fonti principali sono latte e latticini, frutta, verdura, avena integrale e noci.
valori normali 8.10 - 10.40mg/dl

il POTASSIO contribuisce all'equilibrio acido-base intraccellulare e alla ritenzione idrica; alla trasmissione nervosa, all'attività muscolare e all'efficacia della funzione di molti enzimi. Fonti principali sono la frutta come le banane, la verdure, la frutta secca, le patate, il riso integrale, il latte.
valori normali 3.5 - 5.5 mEq/l

il SODIO contribuisce all'equilibrio idrico intracellulare, alla trasmissione nervosa, alla contrattilità muscolare. Fonti principali sono la carne, il sale.
valori normali 135 - 145 mEq/l

il CLORO contribuisce all'equilibrio idrico intracellulare. Fonti principali sono il brodo di carne, il sale.
valori normali 100 - 112 mEq/l

Facendo ad esempio riferimento ad alcune patologie studiate, si è visto come per l’infarto l’esame del sangue sia di grande aiuto nella diagnosi.
I cosiddetti “enzimi cardiaci”costituiscono dei parametri di orientamento per escludere altre malattie. Nel sangue si possono valutare:
_parametri specifici:mioglobina, troponina T o I (diagnosi precoce); percentuale delle CPK-MB rispetto alle CPK totali e loro valore assoluto; Got, HBDH e LDH (valutazione del decorso);
_parametri generali:test di coagulazione, emocromo, VES, elettroliti (sodio, potassio), creatinina, glicemia, uricemia, colesterolemia, trigliceridemia.

mercoledì 28 maggio 2008

Morbo di Parkinson

Il morbo di Parkinson (IPD nelle abbreviazioni - Idiopathic Parkinson's Disease) è una patologia dovuta alla degenerazione cronica e progressiva che interessa soprattutto alcune strutture del sistema extrapiramidale, cioè un'area ridotta del sistema nervoso centrale, detta sostanza nera o substantia nigra, un nucleo situato a livello del mesencefalo in cui viene prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti corporei. Nell'organismo si crea perciò uno squilibrio fra i meccanismi inibitori e quelli eccitatori, a favore di questi ultimi. L'innervazione eccitatoria (colinergica) prevale su quella inibitoria provocando progressivamente tremore a riposo, ipertonia con rigidità, incapacità al movimento senza riduzione della forza muscolare (acinesia), instabilità posturale, disturbi della parola e della scrittura, turbe vegetative e spesso sintomi ansioso-depressivi. Sebbene il deterioramento intellettivo non rappresenti un elemento tipico del quadro clinico delle fasi precoci della malattia, la demenza appare come uno degli esiti più frequentemente riscontrabili nelle fasi tardive, nella misura di circa un terzo dei casi.
Sintomi: Nella maggior parte dei casi il sintomo d'esordio è il tremore, ma in una percentuale non indifferente l'esordio è caratterizzato da impaccio motorio, senso di rigidezza o disturbi molto poco specifici. In genere all'esordio la sintomatologia è unilaterale e può restare tale anche per anni. La triade cardine del morbo è costituita da: tremore, rigidità ed acinesia, con variabile gravità. L'acinesia è la complessiva riduzione della motilità volontaria ed involontaria, e di regola si associa a lentezza dei movimenti (bradicinesia). Il tremore è tipicamente "a riposo", con bassa frequenza, scompare durante i movimenti volontari e in genere peggiora nelle situazioni di stress emozionale mentre è assente durante il sonno. Nelle fasi iniziali è localizzato soprattutto ai settori distali degli arti (è descritto spesso come "contare monete", meno frequente agli arti inferiori, può essere presente al volto (in particolare alla mandibola).
La rigidità è un segno caratteristico e costante e a volte costituisce per lungo tempo il solo segno di malattia. Colpisce tutti i distretti muscolari, anche se in genere esordisce ai muscoli assiali e col passare del tempo diventa prevalente ai muscoli flessori ed adduttori determinando il caratteristico atteggiamento "camptocormico", con capo flesso sul tronco, avambracci semiflessi ed intraruotati, cosce addotte e in leggera flessione sul tronco. Per eseguire movimenti il paziente necessità di molta concentrazione e tipicamente la gestualità e la mimica sono molto scarse. La mimica facciale è scarsa, l'espressione impassibile. La deambulazione è tipicamente a piccoli passi, strisciati, con avvio molto problematico e spesso si apprezza il fenomeno della "festinazione", cioè progressiva accelerazione della camminata sino a cadere. Il linguaggio diviene monotono, poco espressivo. Nella fase avanzata di malattia la disartria sfocia spesso nella anartria. Anche la scrittura in un certo senso evolve nello stesso modo (micrografia parkinsoniana) con grafia che tende a rimpicciolirsi. Oltre alla triade di base molti altri sintomi si possono associare a completare un quadro molto variabile da paziente a paziente.
alterazioni posturali (correlate alla rigidità ma comprendenti anche perdita del controllo posturale con frequenti cadute)
disturbi soggettivi delle sensibilità
ridotta velocità dei movimenti oculari
scialorrea, cioè eccessiva salivazione
disfunzioni vegetative
disturbi del sonno
turbe dell'affettività sono molto frequenti nei pazienti con malattia di Parkinson.
La diagnosi del Parkinson si basa essenzialmente sull'esame clinico, e a questo scopo è stata proposta una classificazione che divide la diagnosi in Possibile, Probabile e Certa, in modo simile a quello che accade in altre patologie neurologiche, come la paralisi sopranucleare progressiva. Questa classificazione mette in evidenza il fatto che la diagnosi di morbo di Parkinson in vivo sia solo presuntiva, e che la certezza la si riserva all'esame neuropatologico. La somiglianza clinica della malattia con altre forme di Parkinsonismo rende anche ragione del fatto che vi sia una percentuale di errore diagnostico del 20-25%. D'altra parte diverse caratteristiche della malattia di Parkinson all'esordio sono presenti anche in altre condizioni: le condizioni con le quali deve andare in diagnosi differenziale sono essenzialmente queste:
Tremore essenziale: il tremore essenziale è caratterizzato da un tremore che non si inibisce con il movimento volontario e quindi interferisce tipicamente con azioni con ad esempio, il bere da una tazzina.
Atrofia Multisistemica l' Atrofia multi sistemica è una rara patologia caratterizzata, nelle sue diverse forme cliniche da sintomi di tipo Parkinsoniano, cerebellare e disautonomico; nella sua espressione Parkinsoniana rende la diagnosi differenziale molto ardua;
Paralisi sopranucleare progressiva: la Paralisi sopranucleare progressiva è una rara patologia che esordisce con paralisi sopranucleare dello sguardo verticale, instabilità posturale e ipertono assiale che rende ragione delle frequenti cadute all'indietro. In mancanza di una eclatante sintomatologia sopranucleare, uno dei metodi di disgnosi differenziale consiste nella somministrazione ex juvantibus di L-DOPA, in quanto i pazienti con PSP non ne sono responsivi.
Degenerazione cortico basale: la diagnosi con il Parkinson risulta molto ardua, specie quando la demenza non è molto pronunciata e vi è tremore.
Parkinsonismo vascolare: il Parkinsonismo vascolare è causato da infarti multipli a carico della sostanza bianca e dei nuclei della base, che si presenta con difficoltà motorie, demenza, sintomi pseudobulbari, disautonomia e segni piramidali, e non risponde alla L-DOPA.
Terapia
La terapia della malattia di Parkinson è principalmente di tipo medico. La terapia tradizionale mira a risolvere la sintomatologia di tipo motorio (tremori, rigidità, acinesia), e permette una remissione dei sintomi specialmente a breve termine, laddove nel tempo essa non permette un controllo soddisfacente a causa di effetti collaterali importanti e di “wearing off” come nel caso della L-DOPA. Alla luce delle ultime scoperte scientifiche, però, i ricercatori e i clinici si sono accorti che questa malattia può essere corretta tanto meglio quanto più precocemente si riesce a ottenere prima la diagnosi, ma soprattutto a iniziare la terapia; partendo dal presupposto che la IPD è una malattia neurodegenerativa progressiva il cui esordio clinico avviene in una fase neuropatologicamente avanzata di malattia, e per questo quasi irreversibile, le nuove tendenze della diagnosi e della terapia si sono rivolte alla ricerca di farmaci neuroprotettori che preservino le cellule della SN dagli insulti principalmente ossidativi a cui sono sottoposte

PNEUMOTORACE

Presenza di aria nella cavità pleurica. Il pneumotorace viene distinto in spontaneo, traumatico o terapeutico. Cause di pneumotorace spontaneo sono tutte le affezioni polmonari che provochino rottura degli alveoli nello spazio pleurico (bolle di enfisema, caverne polmonari, asma bronchiale). La rottura degli alveoli nello spazio pleurico pone quest’ultimo in diretta comunicazione con l’albero tracheobronchiale e vi permette l’ingresso dell’aria inspirata. Cause di pneumotorace traumatico sono ferite o perforazioni della parete toracica, con ingresso dell’aria dall’esterno. Il pneumotorace terapeutico (di Forlanini) un tempo veniva usato per indurre il collasso di caverne tubercolari che si producevano nel parenchima polmonare e facilitarne la guarigione. Da ricordare il pneumotorace spontaneo idiopatico, che colpisce perlopiù i giovani, per rottura nel cavo pleurico di una bolla di enfisema formatasi nei pressi di una cicatrice tubercolare. Normalmente la pressione nel cavo pleurico è inferiore rispetto a quella atmosferica. Questa pressione pleurica negativa è essenziale per mantenere il polmone in condizioni di espansibilità. In corso di pneumotorace, l’aria penetrata nel cavo pleurico annulla la normale differenza di pressione e provoca il collasso del polmone
Se la pressione pleurica non solo eguaglia, ma anche supera quella atmosferica, oltre al collasso polmonare si ha anche uno spostamento laterale degli organi mediastinici, con grave compromissione funzionale, simile alla sindrome mediastinica (vedi mediastinica, sindrome).
Sintomi di pneumotorace sono il dolore, la dispnea e l’insufficienza respiratoria. L'urgenza e il tipo di trattamento più indicato sono in rapporto al grado di collasso polmonare, allo stato di ossigenazione, alla pressione intrapleurica e alla presenza o meno di ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio.
In presenza di un collasso polmonare superiore al 15-20% si deve provvedere al posizionamento di un drenaggio toracico, collegato con aspiratore; tale tubo non deve essere rimosso prima di 48 ore e comunque prima che il polmone non sia rimasto "a parete", anche dopo la provvisoria chiusura del drenaggio stesso.
Recidive si verificano in circa il 50% dei casi, e a tal scopo sono utili l'astensione dal fumo, evitare la pesca subacquea e i voli non pressurizzati. In caso invece di almeno tre recidive, oppure di non risoluzione del quadro col semplice drenaggio, o infine in presenza di pneumotorace bilaterale, si dovrà ricorrere al trattamento chirurgico.

ENFISEMA

Letteralmente, indica una condizione patologica caratterizzata dall'infiltrazione gassosa di segmenti corporei: polmoni (enfisema polmonare), mediastino (enfisema mediastinico), sottocute (enfisema sottocutaneo) ecc. Comunemente si fa riferimento all'enfisema polmonare che, tra tutte queste condizioni, è la più frequente. L'enfisema polmonare consiste in un aumento del contenuto d’aria del polmone conseguente alla scomparsa o alla diminuzione delle fibre elastiche, con dilatazione permanente delle vie aeree intrapolmonari. L’enfisema polmonare è distinto in panlobulare e centrolobulare, a seconda che sia distrutto tutto il lobulo polmonare oppure solamente la sua sezione centrale. L’enfisema panlobulare si associa generalmente alla deficienza genetica di alfa-1-antitripsina, e può essere altamente invalidante: il torace si espande a forma di botte e la dispnea è intensa; le indagini spirometriche rivelano un rallentamento dell’espirazione forzata. L’enfisema centrolobulare è la forma di gran lunga più frequente: è più rappresentato nel sesso maschile, e strettamente associato al fumo di sigaretta e all’inquinamento atmosferico.
È chiaramente dimostrato che il fumo di sigaretta provoca come segno più precoce l’ostruzione dei bronchioli, che è reversibile se si sospende tempestivamente il fumo. Insieme alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (vedi BPCO) e all’asma, è la causa più frequente di insufficienza respiratoria ostruttiva. Alterazioni enfisematose sono molto comuni negli adulti oltre i 50 anni, pur in assenza di sintomatologia clinica.
Oggi si tende a considerare la broncopneumopatia cronica ostruttiva e l’enfisema centrolobulare come due malattie strettamente connesse. Il quadro clinico è rappresentato, oltre da quanto già detto per l’enfisema panlobulare, da dispnea, cianosi, tosse con espettorato e insufficienza respiratoria ostruttiva di varia gravità. Altre forme di enfisema sono l’enfisema bolloso (bolle d’aria vicino a cicatrici tubercolari) e l’enfisema compensatorio (iperdistensione dei segmenti polmonari residui, contigui a tratti di parenchima asportato chirurgicamente).

APPENDICITE

Generalità: Malattia infiammatoria acuta, ricorrente o cronica dell’appendice cecale. Il disturbo è più frequente nei soggetti di sesso maschile, di età compresa tra i 10 e i 30 anni. L’appendice, per la ricchezza di tessuto linfatico e per la ristrettezza del diametro interno, può facilmente essere ostruita, ulcerarsi e venire rapidamente invasa dai batteri intestinali. Si distinguono varie forme di appendicite acuta. Nella variante catarrale l’organo appare ancora integro, benché sia arrossato e rigonfio; in seguito il processo infiammatorio può guarire o evolvere verso l’appendicite flemmonosa, in cui il pus infiltra diffusamente i tessuti, potendo anche causare una peritonite circoscritta. La forma più grave, o appendicite gangrenosa, è caratterizzata da necrosi dell’appendice, con formazione di una massa palpabile anche dall’esterno; l’organo si può perforare, determinando una peritonite acuta diffusa.
I pazienti, nelle fasi iniziali, lamentano vaghi disturbi addominali e lieve malessere; in seguito il dolore si fa più intenso e si localizza al quadrante inferiore destro dell’addome, compare la febbre, accompagnata da nausea, vomito, diarrea o stitichezza; nelle forme più gravi l’addome diventa contratto, le condizioni generali peggiorano e si può giungere allo shock
L’appendicite cronica e quella ricorrente danno disturbi meno precisi e mal classificabili.
La terapia è di tipo chirurgico nelle forme acute, mentre nelle forme più gravi è necessario somministrare per qualche giorno antibiotici prima di procedere all’intervento. In casi selezionati, è possibile effettuare l'intervento per via laparoscopica. Non vanno assunti antidolorifici e antispastici, che potrebbero rendere più difficile una diagnosi corretta. Nelle forme più lievi e nelle varianti croniche, se la dieta e una corretta terapia antibatterica non danno risultati, è preferibile il ricorso alla terapia chirurgica.

domenica 18 maggio 2008

LE NUOVE TECNICHE

T.A.C.
La tomografia assiale computerizzata (TAC) negli anni settanta ha rivoluzionato la neurologia clinica in quanto per la prima volta era possibile visualizzare con buona risoluzione le strutture nervose del cranio e della colonna vertebrale. La TAC è ancora oggi un esame di routine, perché le macchine sono ormai di vasta diffusione nei centri ospedalieri e perché è rapida ed economica. La TAC è un esame leggermente invasivo, come gli altri esami radiologici che usano i raggi X. È indicata in tutte le situazioni di emergenza (traumi cranici, diagnosi di emorragie, ischemie o tumori, diagnosi nei casi di coma per causa sconosciuta) in cui un esame di risonanza magnetica (RM) non è accessibile o praticabile. Mentre in tali situazioni (in particolare per la visualizzazione di emorragie cerebrali) la TAC può avere vantaggi rispetto alla RM, in molti altri casi è preferibile un esame di RM perché completamente innocuo e di risoluzione notevolmente migliore. La TAC può essere eseguita senza o con iniezione endovenosa di un mezzo di contrasto, che facilita la visualizzazione di processi infiammatori e di tessuti molto vascolarizzati, come ad es. nel caso di tumori.

Endoscopia:
L'endoscopia è un metodo di esplorazione dal punto di vista medico che permette di visualizzare l'interno (endon in greco) del corpo.
Per questo esame viene utilizzato un endoscopio. Quest'ultimo è un tubo ottico munito di microcamere che trasmettono le immagini in uno schermo.
L'endoscopia può essere utilizzata sia per la diagnostica, sia come strumento di supporto in un intervento chirurgico. La broncoscopia è l'esame specifico per l'esplorazione dei bronchi, così come la colonscopia è l'esame del colon etc.
Gli endoscopi si inseriscono quando è possibile per via naturale, di solito per via orale. A volte invece è necessario un intervento (in questo caso si parla di endoscopia chirurgica).

Biopsia:
La biopsia è un esame medico che consiste nel prelievo di una porzione di tessuto da un organismo vivente. Il tessuto prelevato viene quindi analizzato al microscopio o anche con tecniche di microbiologia o biologia molecolare. La biopsia viene eseguita al fine di escludere o confermare un sospetto di malattia (ad es. infiammazione o tumore), ovvero di definirne con precisione le caratteristiche (gravità, estensione, possibili terapie).
Il prelievo di tessuto può avvenire per via percutanea, sotto guida TAC o ecografica, per via endoscopica (ad es. nel contesto di una gastroscopia, colonscopia o broncoscopia) mediante prelievo con ago (agobiopsia) o mediante escissione nel contesto di un intervento operatorio. Il tessuto così ottenuto viene inviato in un laboratorio di anatomia patologica dove viene processato. Per consentire l'allestimento di preparati osservabili al microscopio, il tessuto viene prima fissato in formalina, quindi incluso in paraffina. Il campione così ottenuto puó essere tagliato in fette dello spessore di 2-4 micron e montato su un vetrino portaoggetti. Sarà un medico specialista in anatomia patologica a valutare al microscopio il vetrino e a formulare la diagnosi.
Nella medicina moderna la biopsia svolge un ruolo fondamentale nella terapia di molte malattie. È la diagnosi bioptica che guida il clinico e in particolare il chirurgo nella scelta della terapia a cui sottoporre il paziente. In molte malattie, in particolare in quelle tumorali, la biopsia, oltre a fornire la diagnosi, può fornire informazioni sulla prognosi, ovvero sul prevedibile decorso della malattia.

AIDS

AIDS è l’acronimo di Acquired Immune Deficiency Sindrome o, in italiano, sindrome da immunodeficienza acquisita e con esso si definisce la sindrome in cui si riscontra un insieme di manifestazioni dovute alla deplezione (diminuzione) di linfociti T.
In queste manifestazioni sono comprese infezioni da microrganismi rari o non patogeni ed insorgenza di tumori sia comuni nella popolazione generale sia caratteristici delle persone immunocompromesse sia peculiari di chi presenta tale sindrome. L’AIDS è causato dal virus HIV.
La sindrome (sindrome: è un insieme di sintomi che si manifestano insieme) è , allo stadio attuale delle cose, curabile con numerosi farmaci ma non guaribile, nel senso che non è possibile eradicare totalmente il virus dall’ospite. Le terapie odierne riescono ad abbassare la viremia (quantità di virus presente nel sangue) a livelli bassissimi o non rilevabili consentendo la rigenerazione dei linfociti e la prosecuzione di una vita esente dalle malattie opportunistiche che normalmente si presentano nelle persone non curate.
Nei paesi in cui le costose cure antiretrovirali e le cure per le infezioni opportunistiche e neoplastiche sono maggiormente disponibili la mortalità dell’AIDS è molto ridotta.
 Epidemiologia:
Si pensa che la sindrome sia originata in Africa subsahariana per mutazione di un retrovirus animale, forse della scimmia, che nel XX secolo fu trasmesso alla popolazione umana diventando poi un’epidemia globale. Si stimano circa 25 milioni di morti dalla scoperta della sindrome, il che ne fa una delle più terribili epidemie della storia.
Nei paesi dell’Africa Subsahariana vi sono circa 25-28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione e più dei tre quarti delle donne.
 
Vie di trasmissione:
L’HIV si trasmette:
a)      con il sangue (trasfusioni, scambio di siringhe fra tossicodipendenti)
b)     con rapporti sessuali
c)      durante il parto , per l’abbondante contatto del neonato col sangue della madre (il virus non riesce invece ad attraversare la placenta)
Non esistono altre vie di trasmissione
 Patogenesi:
L’infezione virale provoca la comparsa di uno stato infiammatorio cronico che si risolve in un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Evento centrale nella patogenesi dell’infezione da HIV è l’interessamento della linea linfocitaria.
Effettivamente oltre alla riduzione numerica si notano anche vari fenomeni imputabili alla riduzione funzionale dei linfociti T
 Quadro clinico:
Il momento dell’infezione può passare completamente inosservato oppure può manifestarsi una sindrome con ingrossamento linfonodale e sintomi infiammatori sistemici.
In circa la metà delle persone infettate dal virus dopo circa 3-6 settimane dal contatto si verificano faringite, febbre, linfoadenopatia, astenia, cefalea, sonnolenza e rush cutaneo morbilliforme.

La semplice sieropositività non è indice di malattia in atto, ma solo di avvenuto contagio; questa fase può durare anche molti anni poiché il virus impiega molto tempo a determinare i danni dell’organismo. La fase successiva è quella della LAS (linfoadenopatia sistemica) ed è caratterizzata dall’ingrossamento di più stazioni linfonodali senza altri sintomi clinici. Segue la fase di AIDS conclamato con graduale indebolimento e successive infezioni
Diagnosi:
La diagnosi di sieropositività viene effettuata mediante un test sul siero che ricerca gli anticorpi antivirus prodotti dall’individuo. In caso di riscontro di test positivo, si effettuano test più sofisticati di conferma per aver diagnosi di certezza. E’ anche possibile determinare la carica virale presente nel sangue (numero di copie virali).
 Terapia:
Oltre la carica virale - soglia (300.000 copie virali), è utile iniziare immediatamente la terapia antivirale, una terapia precoce è in grado di ritardare significativamente l’insorgenza della fase conclamata dell’AIDS. Sono disponibili farmaci antiretrovirali (inibitori della trascrittasi inversa) dotati di buona efficacia e tollerabilità. Tuttavia la terapia attualmente non è ancora in grado di guarire completamente dalla malattia, perciò la principale arma per controllare il vaccino è la prevenzione.

Ictus

Caratteristiche:
Detto anche colpo. I termini utilizzati per definire questa patologia rispecchiano la storia della medicina, si passa dal greco apoplessi, al latino ictus, all’inglese stroke, che significano tutti allo stesso modo “colpo”. Un termine italiano è “accidente cerebrovascolare”, che rientra nell’ambito delle sindromi vascolari acute, tra cui annoveriamo anche il TIA o attacco ischemico transitorio e l’emorragia cerebrale.
Secondo la definizione dell’OMS l’ictus è l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 oree ad esito infausto. L’ictus è un’emergenza medica e deve essere prontamente diagnosticato e trattato in un ospedale per l’elevato rischio di disabilità e di morte che esso comporta. La definizione di ictus comprende l’ictus ischemico, più frequente, e l’ictus emorragico, nel 15% dei casi
Ictus ischemico:
E’ una condizione caratterizzata dall’occlusione di un vaso (ischemia) a causa di una trombosi (formazione di un coagulo all’interno di un vaso sanguigno che ne ostruisce il lume) o di un’embolia ( ostruzione di un’arteria o di una vena con un corpo estraneo, detto embolo, che può essere un coagulo, una bolla d’aria, o altro) o, meno frequentemente, da un’improvvisa e greve riduzione della pressione del circolo ematico.
Ictus emorragico
O emorragia intracerebrale primaria, è una condizione determinata dalla presenza di un’emorragia intracerebrale non traumatica. L’emorragia è più frequentemente causata dall’ipertensione arteriosa
Ogni anno si verificano in Italia circa 196.000 casi di ictus, di cui il 20% è costituito da recidive. L’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10-12% di tutti i decessi per anno, rappresenta la principale causa d’invalidità e la seconda causa di demenza. L’incidenza dell’ictus aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni
 
Fattori di rischio e prevenzione primaria:
Molti fattori aumentano il rischio di ictus, alcuni di questi non possono essere modificati, principalmente l’età; altri fattori possono essere modificati con misure non farmacologiche o farmacologiche. Alcuni fattori fattori di rischio ben documentati sono: ipertensione arteriosa, alcune cardiopatie, diabete mellito, fumo di sigaretta, eccessivo consumo di alcool, ridotta attività fisica.
La prevenzione primaria per tutti, ma specialmente per le persone a rischio, si basa su un’educazione a stili di vita adeguati. La cessazione del fumo, svolgere una regolare attività fisica, meglio un’attività di tipo graduale di lieve intensità, di tipo aerobio (passeggiata a passo spedito) è indicata nella maggior parte dei giorni della settimana, preferibilmente ogni giorno. Mantenere un peso corporeo salutare, controllando l’apporto di grassi e dolciumi ed aumentando il consumo di frutta e verdura. Ridurre l’apporto di sale nella dieta , preferire i grassi vegetali a quelli animali ed utilizzarli preferibilmente a crudo. Mangiare pesce 2-3 volte a settimana, mangiare molta verdura e frutta e con regolarità cereali integrali e legumi.
Accanto a queste azioni preventive è previsto anche un trattamento medico che può ridurre il rischio di ictus.
Sintomi:
Quando si è colpiti da ictus improvvisamente compaiono varie combinazioni di questi disturbi: non si riesce a parlare nel modo corretto; perdere la forza in metà corpo; sentire de formicolii o perdere la sensibilità in metà corpo; non vedere bene in una metà del campo visivo; altri sintomi possono essere la maldestrezza, l’assenza di equilibrio e le vertigini; le emorragie più gravi si annunciano con un improvviso mal di testa (cefalea) che sembra un colpo di pugnale alla nuca.
L’ictus è una malattia grave e in alcuni casi non si supera la fase acuta e si muore durante le prime settimane. In altri casi si può avere un miglioramento una volta superata la fase acuta, in questo caso accade che le cellule lesionate in modo reversibile possono riprendere a funzionare. Inoltre nelle fasi acute dell’ictus, intorno alle aree lese il cervello si gonfia per effetto dell’edema. Quando l’edema si riduce il funzionamento delle aree sane riprende regolarmente. Infine altre aree sane dl cervello possono sostituire le funzioni di quelle lesionate. Le possibilità di recupero variano in relazione all’estensione della lesione e alla particolarità della zona colpita.. Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcune sperimentano solo disturbi lievi, altri invece portano gravi segni della malattia per mesi o per anni.
 Diagnosi:
All’ingresso in ospedale vengono di solito svolti i seguenti esami: radiografia al torace, elettrocardiogramma, esami ematochimici (emocromo con piastrine, glicemia, elettroliti serici, creatinemia, azoto ureico, proteine totali, bilirubina, transaminasi, tempo di protrombina). Si esegue una tomografia computerizzata cerebrale (TAC). Nei pazienti con ictus in fase subacuta, la RM (risonanza magnetica) presenta dei vantaggi rispetto alla TAC in quanto permette di riconoscere infarti anche di piccole dimensioni

Talassemia

Caratteristiche:
L’Anemia mediterranea o Talassemia è una malattia ereditaria che è dovuta alla sequenza anomala di una delle catene dell’emoglobina, una proteina situata all’interno del globulo rosso e che ha il compito di trasportare l’ossigeno.
L’emoglobina è composta da 4 catene, uguali a due a due; in un individuo adulto il 96% dell’emoglobina è composta da catene alfa e catene beta, il 3% da catene alfa e catene delta, il restante 1% da catene alfa e catene gamma.
Esistono tre tipi di Talassemia chiamate alfa-Talassemia, beta-Talassemia e delta-beta-Talassemia a seconda se il difetto sia appunto a carico delle catene alfa, beta o delta e beta.
Le Taleassemie sono malattie recessive; gli omozigoti sono soggetti a crisi dovute alla menomata funzione dei globuli rossi, che sono più piccoli di quelli normali ed hanno una membrana leggermente deformata. L’eterozigosi pere la beta-Talasssemia è conosciuta in Italia e in altri paesi col nome di Microcitemia.
La patologia deve il suo nome alla particolare diffusione nei paesi mediterranei spiegabile con la scoperta che i portatori della malattia godono di un buon grado di immunità contro la malaria, che una volta era molto diffusa in queste zone, grazie al fatto che i loro globuli rossi hanno una vita più breve del normale e quindi rendono più difficile il completamento del ciclo riproduttivo del plasmodio della malaria.
I geni che codificano per la catena alfa sono sul cromosoma 16, e sono in numero di due per ogni cromosoma 16. Ogni individuo ha quindi quattro copie di geni per la catena alfa. La gravità della malattia è dovuta a quante di queste copie sono difettose o più spesso del tutto mancanti. La mancanza di tutte e quattro le copie porta ad una condizione non compatibile con la vita ed alla morte del feto.
Nella beta talassemia (anche chiamata morbo di Cooley) il difetto è invece a carico della catena beta, il cui gene è sul cromosoma 11. Anche per la beta talassemia il difetto può portare a diversi quadri clinici: una semplice diminuzione nella produzione della catena beta caratterizza lo stadio del portatore sano, un difetto maggiore porta alla condizione di “Talassemia intermedia”, mentre una mancanza totale di proteina configura la condizione di “Talassemia major”.
La Talassemia major è la condizione più grave: la malattia si manifesta in genere dopo pochi mesi di vita, e rende necessarie continue trasfusioni di sangue che devono essere effettuate ogni circa 15-30 giorni e per tutta la vita del soggetto. L’unica terapia curativa è il trapianto di midollo osseo, che sostituisce le cellule portatrici del difetto genetico con le cellule del donatore sano. Il trapianto di midollo osseo comporta dei rischi; infatti nel periodo prima dell’innesto del trapianto il malato deve essere sottoposto a chemioterapia, e in ogni fase del trapianto (che dura circa 1 anno) esiste un rischio di morte, il che porta alcuni talassemici a rinunciare ad intraprendere questa strada
 Sintomi:
Le alfa- talassemie: I portatori silenti (alterazione in una sola copia del gene afa globinico) della talassemia alfa non mostrano nessun sintomo mentre il portatore classico (due geni alfa globinici alterati) ha un volume ridotto dei globuli rossi (microcitosi) e la riduzione della quantità di emoglobina contenuta nei globuli rossi (riduzione del contenuto emoglobinico corpuscolare o MCH)
La mancanza totale del gene alfa globinico porta da una grave situazione spesso fatale per il feto durante la gravidanza o subito dopo la nascita; tuttavia i neonati trasfusi dalla nascita in modo regolare hanno una sopravvivenza analoga a quelli affetti da talassemia major.
Diagnosi:
Oltre ai sintomi, il medico baserà la sua diagnosi su una serie di esami che comprendono la determinazione della quantità e del tipo di emoglobine presenti, e del numero e del volume di globuli rossi. L’elettroforesi è una tecnica molto usata nei laboratori per l’analisi delle proteine. In questo caso viene usata per identificare i diversi tipi di emoglobine presenti nel sangue.
Nella beta talassemia major, oltre ai dati ematici, i segni tipici sono pallore, ittero, grave anemia, abbiamo inoltre caratteristiche deformazioni del cranio rilevabili in radiografia ed anche delle ossa lunghe (femore).
Le talassemie minor invece vengono il più delle volte diagnosticate incidentalmente, cioè perché si esegue un test di routine e viene riscontrata una debole anemia non riconducibile ad altre cause, oppure perché è nota la familiarità e quindi si procede ad analisi mirate.
 Terapia:
Se la talassemia maior non viene trattata l’ingrossamento di fegato e milza aumenta, le ossa diventano pericolosamente fragili e soprattutto si ha la dilatazione del muscolo cardiaco. Il danno a carico di fegato e milza compromettono le difese immunitarie ragion per cui le malattie infettive e l’insufficienza cardiaca sono le principali cause di morte tra i malati non trattati.
La terapia classica per la Talassemia major consiste in ripetute trasfusioni. Queste, però, provocano un accumulo di ferro nel sangue che bisogna eliminare con una terapia a base di farmaci detti chelanti, che sequestrano ed eliminano il ferro.
Per la talassemia intermedia il trattamento è sintomatico e le trasfusioni non sono necessarie

Sclerosi laterale amiotrofica

Caratteristiche:
La sclerosi laterale amiotrofica, chiamata anche morbo di Lou Gerhrig (dal nome del giocatore statunitense di baseball che fu la prima vittima accertata di questa malattia) , malattia di Charcot o malattia dei motoneuroni, è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che colpisce selettivamente i cosiddetti motoneuroni.
Il paziente affetto da SLA perde progressivamente i motoneuroni centrali e periferici, con un decorso del tutto imprevedibile e differente da soggetto a soggetto, con esiti disastrosi per la qualità di vita oltre che sulla sua sopravvivenza.
La SLA è una patologia rara (incidenza: 2 casi ogni 100.00 abitanti all’anno), ad eziopatogenesi sconosciuta (cioè le cause sono del tutto ignote). Verosimilmente si tratta di una malattia ad origine multifattoriale.
Le conseguenze di questa malattia sono la perdita progressiva ed irreversibile della normale capacità di deglutizione (disfagia), dell’articolazione della parola (disartria) e del controllo dei muscoli scheletrici, con una paralisi che può avere un’estensione variabile, fino alla compromissione dei muscoli respiratori ed alla necessità di una respirazione assistita e quindi alla morte. La SLA non altera le funzioni cognitive, sensoriali , sessuali e sfinteriali del malato.
Generalmente la SLA colpisce individui adulti di età superiore ai vent’anni, di entrambi i sessi, ma con maggiore frequenza dopo i cinquant’anni.

Sintomi iniziali:
Essi variano da persona a persona e sono talmente impercettibili che spesso vengono ignorati. Comune a tutti è sicuramente la progressiva perdita di forza che può interessare tutti i movimenti volontari. Nella maggior parte dei casi l’indebolimento riguarda prima i muscoli delle mani o dei piedi, delle braccia o delle gambe e porta generalmente a far cadere gli oggetti, a inciampare frequentemente o a compromettere semplici attività della vita quotidiana, quali vestirsi, lavarsi o abbottonarsi i vestiti.
Altre manifestazioni possono essere la difficoltà nel parlare, nel parlare, nel deglutire. Dal punto di vista strettamente muscolare, oltre alla debolezza si possono avvertire rigidità (spasticità) e contrazioni muscolari involontarie (fascicolazioni). Quando vengono coinvolti i muscoli respiratori, può comparire affanno dopo sforzi lievi e difficoltà nel tossire.
La diagnosi può emergere solo attraverso un attento esame clinico, ripetuto nel tempo da parte di un neurologo esperto e una serie di esami diagnostici utili ad escludere altre patologie.
 
Trattamenti:
Al momento non esiste una terapia capace di guarire la SLA, L’unico farmaco approvato in questo senso è il riluzolo, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia.
Esistono invece dei farmaci per ridurne i sintomi, come anche ausili per migliorare l’autonomia personale, il movimento e la comunicazione.
 

Osteomalacia

L’osteomalacia è un’osteopatia metabolica caratterizzata da una massa ossea di volume normale, ma con un ridotto contenuto minerale per un difetto di mineralizzazione delle ossa. E’ di solito causata da una ridotta disponibilità o da un alterato metabolismo della vitamina D. Se presente nell’infanzia questa malattia prende il nome di rachitismo.
I sintomi,i più comuni sono nel bambino deformità ossee a carico del cranio, della colonna (cifosi e scoliosi), del bacino, del torace e degli arti inferiori (ginocchio valgo o varo), assumendo spesso conformazioni caratteristiche.
Negli adulti il quadro clinico è dominato da dolori ossei diffusi e da un’astenia muscolare che può far pensare inizialmente ad una patologia muscolare più che ossea, mentre le deformità scheletriche possono passare inosservate.
Una volta che il medico sospetta l’osteomalacia, gli esami più comuni consistono in un esame del sangue volto ad accertare la concentrazione ematica di calcio e fosforo ed una radiografia delle ossa colpite.
Nei casi in cui l’osteomalacia è conseguenza di un problema intestinale o renale, la terapia deve essere volta a risolvere il problema di base. In alcuni casi è utile somministrare vitamina D come terapia di supporto soprattutto nei casi in cui la malattia è causata da malassorbimento intestinale negli adulti. I casi in cui la malattia è accompagnata da nefropatia sono di solito più complessi da trattare , e si giovano di una somministrazione di fosfati in aggiunta di calcio e vitamina D. Dato che in età infantile l’osteomalacia può risultare in deformità importanti, è utile correggere fin da subito tali deformità mediante intervento chirurgico per evitare l’osteomalacia degenerativa che ne potrebbe derivare in età adulta.

Lupus eritematoso sistemico

Caratteristiche:
Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia cronica rara di natura autoimmune, che può colpire diversi organi e tessuti del corpo. Autoimmune significa che c’è una disfunzione del sistema immunitario che, invece di proteggere il corpo da virus, batteri e agenti estranei, produce auto-anticorpi che aggrediscono i propri componenti.
Il LES è classificato come malattia reumatica
Lupus è la parola latina che significa lupo, e si riferisce alla caratteristica eruzione cutanea a forma di farfalla riscontrata sul viso di molti pazienti affetti da LES, che ricordava ai medici i contrassegni bianchi presenti sul muso dei lupi. Eritematoso si riferisce al rossore della pelle. Sistemico significa che interessa diversi organi del corpo.
L’esordio della malattia è raro prima del quinto anno di età ed insolito prima dell’adolescenza. Si riscontra più frequentemente nella popolazione femminile di età fertile (da 15 a 45 anni) .
La malattia non è ereditaria e non è assolutamente trasmissibile da uomo a uomo. Tutt’oggi non si conoscono le cause specifiche de LES, anche se ci sono alcun punti fermi: predisposizione genetica in primis, fattori ambientali (esposizione al sole, infezione da virus o batteri, stress , alcuni medicinali…), età in cui sono in atto modifiche ormonali (pubertà, gravidanza, menopausa…)
Sintomi:
La diagnosi di LES è molto difficile: nei paesi anglosassoni è conosciuto come the great imitator. La malattia può manifestarsi con dolori alle articolazioni, affaticamento anomalo, febbre, manifestazioni cutanee, perdita di capelli, ulcere alle mani, anemia, tendiniti, pleuriti, nefriti, pericarditi, ma il fattore più indicativo è la sistemicità di questi sintomi, cioè colpiscono diversi organi contemporaneamente.
La malattia può manifestarsi con svariate sfumature diverse, è infatti conosciuta come la malattia dai mille volti
 
Trattamento:
Non esiste ancora una cura definitiva, ma è possibile trattare la malattia, soprattutto per cercare di portarla in uno stato di remissione, cioè farla regredire ad uno stato simile alla guarigione; a oggi non si guarisce dal LES , la malattia resta sempre presente anche nei periodi di remissione, e va tenuta costantemente sotto controllo.
L’intervento terapeutico è diverso a seconda del quadro clinico: nei casi lievi si procede al trattamento con alcuni farmaci antimalarici associati al cortisone o altri infiammatori; nei casi più severi occorre utilizzare anche farmaci immunosoppressori, i quali impediscono la moltiplicazione dei linfociti B responsabili della produzione di auto-anticorpi

Ulcera Gastrica

Caratteristiche:
L’ulcera gastrica è un’interruzione della parete dello stomaco. Può variare da una semplice erosione della mucosa fino alla completa perforazione della parete.
Colpisce circa il 10% della popolazione; si osserva più spesso nei soggetti anziani con maggior frequenza nel sesso maschile. Fra i fattori socioambientali di rischio vanno ricordati il fumo di sigaretta, il consumo di sale, gli acidi grassi insaturi ed in genere sostanze che stimolano la secrezione acida (caffè).
L’abuso di FANS sembra avere un ruolo determinante nello sviluppo di patologie ulcerative a carico dell’apparato digestivo, in particolare verso l’esofago e lo stomaco.
L’Helicobacter pilori sembra rappresentare il maggior imputato nello sviluppo dell’ulcera. Il germe è presente nel 65-70% dei pazienti con ulcera gastrica e nel 90-95% dei pazienti con gastrite cronica, che sembra invariabilmente precedere la formazione di un’ulcera.
L’ulcera è considerata la risultante di uno squilibrio a livello della mucosa gastrica tra i fattori “aggressivi” (acido e pepsina)e i fattori difensivi (muco, prostaglandine). L’ipersecrezione di acido cloridrico e di ioni H+ sono considerati un fattore aggressivo che può provocare direttamente danni cellulari
Sintomi:
Il sintomo tipico è il dolore, che è caratteristico per almeno cinque aspetti: il tipi, il ritmo,la sede, l’irradiazione e la periodicità. Il dolore è di solito crampiforme o avvertito dal paziente come “senso doloroso di fame” o “vuoto di stomaco”. La sede classica è in alto a sinistra rispetto alla linea che congiunge lo sterno all’ombelico. Le crisi dolorose si presentano tutti i giorni dopo i pasti per un periodo ben definito di 2-3 settimane, e sono intervallate da periodi anche lunghi di benessere. I periodi dolorosi coincidono con le stagioni di transizione (primavera ed autunno).
Nausea e vomito possono affliggere all’ulceroso dopo i pasti; la paura di soffrire determina una riduzione dell’appetito, con successivo dimagrimento.
Diagnosi:
L’anamnesi è di fondamentale importanza, evidenziando la tipico sintomatologia dolorosa. Per la conferma diagnostica si ricorre alla radiografia gastroduodenale con mezzo di contrasto dove l’ulcera appare come una nicchia.
Di fondamentale importanza è l’endoscopia associata alla biopsia, soprattutto per confermare la benignità o la malignità di un’ulcera.
Terapia:
E’ stato dimostrato che il paziente non trae grande beneficio da diete totalmente “in bianco”. E’ invece utile una dieta normocalorica, ricca di alimenti non raffinati e suddivisa in tre o più pasti, che escluda il vino e gli alcolici, il caffè, il the, i cibi stimolanti la secrezione (brodo di carne) o conditi con spezie (pepe, paprika e peperoncino)
Assoluta sospensione del fumo di sigaretta , comunque dannoso, e va assolutamente vietata anche l’assunzione di aspirina, FANS e corticosteroidi, soprattutto a stomaco vuoto.

Distrofia muscolare di Duchenne

Incidenza e caratteristiche:
Questo tipo di distrofia è la più frequente e la meglio conosciuta. Ha un decorso relativamente rapido. L’incidenza varia da 13 a 33 casi ogni 100.000. Si osserva una forte predisposizione familiare; poiché la patologia è trasmessa come tratto recessivo legato al cromosoma X, si manifesta prevalentemente nei maschi. Nel 30 % dei pazienti vi è un’anamnesi familiare negativa e si ritiene che in questi casi avvenga una mutazione spontanea del cromosoma.
L’alterazione del gene del cromosoma X determina la mancata produzione di una proteina chiamata distrofina. Nel muscolo questa è localizzata sul versante citoplasmatico del sarcolemma contribuendo a costituire la struttura filamentosa di rinforzo della cellula muscolare.
Inoltre è strettamente legata ad un complesso di proteine sarcolemmali (DAPs) e quindi la sua mancanza conduce ad una perdita delle DAPs da cui consegue una suscetibilità del sarcolemma alla lacerazione durante la contrazione muscolare.
Negli stadi precoci le caratteristiche principali sono la fagocitosi di singole fibre o gruppi di esse e la rigenerazione promossa dalla necrosi.
Con il progredire della malattia si ha perdita di fibre muscolari (modificazione comune a tutti i tipi di distrofia muscolare) , fibre residue di maggiore o minore diametro rispetto al normale e disposte casualmente , aumento degli adipociti e fibrosi.
Si osserva quindi uno stato di ipertrofia, risultato dell’ingrossamento delle fibre sane rispetto alle fibre adiacenti inutilizzate. Successivamente si ha la sostituzione delle fibre degenerate con tessuto adiposo.
Alla fine le fibre scompaiono e degenerano, per la perduta capacità di rigenerazione dopo ripetuti insulti. In questo ultimo stadio rimangono solo poche fibre muscolari sparse, quasi perse in un mare di adipociti.
Quadro Clinico:
La distrofia di Duchenne viene di solito riconosciuta al terzo anno di vita, ma almeno la metà dei pazienti presenta i segni della malattia prima che inizi la deambulazione.
I primi segni che attirano l’attenzione sono l’incapacità di camminare o correre quando queste funzioni avrebbero già dovuto essere acquisite; oppure una volta che queste attività vengano acquisite, i bambini appaiono meno attivi della norma e cadono facilmente.
Col passare del tempo aumentano le difficoltà a camminare, correre, salire le scale. L’ingrossamento dei polpacci e di altri muscoli è progressivo nei primi stadi della malattia, ma alla fine la maggior parte dei muscoli, anche quelli originariamente ingrossati, tende a ridursi di volume.
Le ossa diventano sottili e demineralizzate; i muscoli lisci sono risparmiati,mentre il cuore è colpito e possono apparire vari tipi di aritmia.
Di solito la morte è dovuta ad insufficienza respiratoria, infezioni polmonari o scompenso cardiaco. Solitamente la morte sopraggiunge durante la tarda adolescenza e non più del 20-25% dei casi il paziente sopravvive oltre il venticinquesimo anno di vita.
 Terapia:
Non esistono terapie specifiche per nessuna delle distrofie e si è costretti ad assistere impotenti alla perdita di forza e dell’ atrofia.
In molti casi è a un certo punto necessaria la respirazione assistita in quanto l’insufficienza respiratoria è un disturbo subdolo che si può manifestare sotto forma di apnee notturne.
Due rimangono i cardini del trattamento dei pazienti con distrofia muscolare: evitare il prolungato riposo a letto ed incoraggiare il paziente a condurre il più a lungo una vita normale. Questo aiuta a prevenire il rapido peggioramento che consegue all’inattività e a mantenere una sana alimentazione.
Le ricerche scientifiche proseguono alacremente in ogni parte del mondo e attualmente le speranze più fondate provengono dal tentativo di realizzare una terapia genica, e cioè di introdurre nell’organismo ammalato copie corrette (sane) di un gene difettoso.

domenica 11 maggio 2008

LE ROCCE

LE ROCCE
La crosta terrestre è costituita da rocce, cioè grandi ammassi di materiale che hanno caratteristiche fisico-chimiche proprie e sono costituite da aggregati di minerali in proporzioni abbastanza costanti.
Le rocce vengono classificate in base alla loro composizione mineralogica e alla loro origine, per cui la distinzione fondamentale è tra le rocce ignee, sedimentarie e metamorfiche.

ROCCE IGNEE (ERUTTIVE O MAGMATICHE)

Si formano dal consolidamento (solidificazione) di un magma che consiste in una roccia fusa presente all’interno della Terra. La roccia ignea così generata ha composizione e aspetto diversi in rapporto alle caratteristiche fisico-chimiche dei magmi e al luogo dove i magmi si solidificano. La sostanza chimica più comune dei magmi è la silice (SiO2) e , in base alla quantità di silice presente, si distinguono magmi acidi, intermedi e basici nei quale si trova una quantità di silice decrescente.
Se il magma si consolida in profondità, al di sotto di altre rocce, il passaggio dallo stato fluido a quello solido è lento, il calore si disperde lentamente, in milioni di anni e la pressione rimane elevata a lungo. Gli ioni della massa fusa hanno il tempo di organizzarsi in reticoli cristallini dando origine a minerali ben definiti. Tali sono le rocce di tipo intrusivo.
Se il magma consolida, invece, in superficie, effuso in una colata lavica da un vulcano, la massa fusa pietrifica rapidamente perché il calore si irradia rapidamente nell’atmosfera e, inoltre, la pressione è bassa , pari a un atmosfera. Gli ioni del magma non hanno il tempo di formare reticoli e formare cristalli ma danno origine a una pasta amorfa , come il vetro, nella quali possono formarsi piccoli cristalli talora incompleti. Queste rocce sono di tipo effusivo.
Rocce intrusive:
GRANITO : è una roccia molto comune che affiora su una parte consistente della crosta terrestre. Sono di granito il massiccio del Monte Bianco, del Gran Paradiso, del Monte Rosa. E’ una roccia ignea intrusiva di tipo acido (alta quantità di silice). Le rocce di tale tipo sono generalmente di colore chiaro. I minerali sempre presenti nel granito sono il quarzo (SiO2) di colore bianco, l’ortoclasio un silicato di potassio e alluminio di colore beige, il plagioclasio un silicato di sodio e calcio di colore scuro, la mica un silicato complesso contenente potassio,magnesio e ferro. I cristalli dei vari minerali sono ben visibile (fenocristalli) , le varietà di granito sono da mettere in relazione alla presenza di costituenti accessori e alla composizione chimica percentuale.

DIORITE: è simile al granito ma più scura, è infatti una roccia ignea intrusiva di tipo intermedio (quantità intermedia di silice). Contiene plagioclasi scuri (come il granito) e anfiboli e pirosseni , silicati che formano catene singole o doppie. Manca il quarzo.

Rocce effusive:
PORFIDO: con questo nome si comprendono diversi tipi di rocce ignee effusive acide come la riolite. Sono presenti fenocristalli immersi in una pasta vetrosa e amorfa. Deriva da colate laviche che consolidano in superficie. I porfidi italiani più noti sono di colore rosso chiaro e rosso violaceo e vengono utilizzati per pavimentare le strade e piazze. La pomice è un altro tipo comune di roccia effusiva acida.

BASANITE: roccia ignea effusiva di tipo basico. I basalti sono le rocce più diffuse al mondo; formano interi pavimenti oceanici. Il colore è tipicamente scuro (roccia basica). La struttura è vetrosa. Molte vie di Roma vengono lastricate con questa roccia (sanpietrini).

ROCCE SEDIMENTARIE

Circa il 75% della superficie terrestre è formata da rocce di questo tipo e formano un velo molto sottile di roccia. L’origine delle rocce sedimentarie è legata alla deposizione (sedimentazione) di materiali solidi in un bacino sedimentario , che può essere un fondale marino o lacustre, il letto di un fiume, il fronte di un ghiacciaio, le dune costiere e altri ambienti della terraferma come ad esempio il deserto.
Talvolta i sedimenti si conservano così come sono stati depositati (sedimenti incoerenti) come nel caso delle sabbie e delle ghiaie. Di solito, però, i sedimenti vanno incontro a processi complessi (diagenesi) che trasforma i sedimenti in roccia. Tale litificazione può richiedere tempi molto lunghi in dipendenza dal tipo di sedimento e dalla velocità di sedimentazione. Per esempio la velocità di sedimentazione media nei fondali oceanici è di un metro ogni milione di anni. Nell’ambiente di sedimentazione, i materiali depositati vengono via via sepolti da nuovi sedimenti che li schiacciano con il loro peso. Succede inoltre che i sedimenti sprofondino man mano che si depositano, spesso circa alla stessa velocità con cui si formano.
La classificazione più semplice delle rocce sedimentarie usa come criterio l’origine del materiale del sedimento da cui è derivata la roccia. Si distinguono quindi i seguenti gruppi:

- Rocce clastiche ( o detritiche): costituiscono la maggior parte delle rocce sedimentarie e sono prodotte dalla deposizione di materiale proveniente dalla disgregazione di altre rocce per azione di agenti come il gelo, le acque correnti e il vento. In questo gruppo rientrano i CONGLOMERATI come le BRECCE (con spigoli vivi) E LE PUDDINGHE (con spigoli arrotondati) ottenuti dalla cementazione di ghiaie ben visibili. Di solito provengono dalla cementazione di ghiaie costiere, di depositi fluviali o fluvioglaciali. Altre rocce comuni di tipo clastico sono le ARENARIE e le ARGILLE dove la dimensione dei granuli cementati è inferiore a quella dei conglomerati (i granuli non sono visibili).

- Rocce piroclastiche: derivano dalla deposizione e litificazione di ceneri e lapilli provenienti dai vulcani esplosivi. Le ceneri spossono essere trasportate dal vento molto lontano dal vulcano che le ha eruttate prima di sedimentarsi. La roccia piroclastica più tipica è il TUFO molto diffuso nell’Italia centrale (sottosuolo di Roma e Napoli). E’ frequente in questo tipo di roccia la presenza di cavità che la rendono inadatta per costruirvi grossi insediamenti urbani.
- Rocce di origine chimica o evaporiti: derivano dalla precipitazione di sali minerali, come GESSO E SALGEMMA, dall’acqua di un bacino marino in fase di evaporazione. L’ALABASTRO è una roccia di origine chimica formata da successivi veli di carbonato di calcio , depostisi all’aria libera per precipitazione di carbonato di calcio da acqua sovrassature di tale composto. I veli sono in parte bianchi (puri) e in parte colorati da pigmenti di ossido di ferro. E’ una delle più belle rocce ornamentali anche per la sua trasparenza alla luce.
- Rocce organogene: derivano dall’accumulo e cementazione di materiale di origine organico che sopravvive alla degradazione . Si pensi ad esempio alle conchiglie marine. Tra le più comuni rocce organogene citiamo i CALCARI costituiti quasi esclusivamente da carbonato di calcio (CaCO3) e di solito stratificati. Derivano dall’accumulo di gusci di scheletri mescolati con granuli di rocce calcaree preesistenti o da calcare di precipitazione chimica, il tutto cementato da processi di diagenesi. Vi sono però animali (come coralli e spugne) che costruiscono edifici non stratificati, come le barriere coralline, , in questo caso i resti fossili mantengono la struttura originaria. Le Dolomiti sono in gran parte costituite da DOLOMITE in cui una parte del calcio è stata sostituita da magnesio ( CaMg(CO3)2) , praticamente scogliere coralline fossili risalenti a circa 200 milioni di anni fa.

ROCCE METAMORFICHE
Ogni roccia, come i minerali che la compongono, si mantiene integra finché non cambiano le condizioni di temperatura e pressione nelle quali si è formata. Quando invece queste cambiano, essa tende ad adattarsi alle nuove condizioni metamorfosandosi in un’altra roccia. Il metamorfismo, cioè il cambiamento, riguarda sempre litologie allo stato solido ( perché i processi che avvengono in materiali fusi sono di competenza del magmatismo) e temperature superiori ai 150°C circa. Durante il metamorfismo la composizione generale chimica della roccia non cambia, mentre è modificata quella dei singoli minerali. Si tratta di fenomeni di ricristallizzazione e di reazioni chimiche tra minerali , che però rimangono allo stato solido. Praticamente avviene un rimescolamento a freddo degli elementi componenti: alla fine è nato un nuovo tipo di roccia. Con il variare delle condizioni di temperatura e pressioni si hanno diversi tipi di metamorfismo. Per esempio il MARMO deriva dalla metamorfosi di un calcare abbastanza puro (roccia sedimentaria) in cui, per effetto dell’aumento della temperatura, i minuti cristalli di calcite ricristallizzano formando cristalli di dimensioni maggiori. Il marmo è quindi ancora costituito da calcite (CaCO3) ma ha una grana di maggiori dimensioni.
Un indizio per riconoscere una roccia metamorfica è dato dalla presenza di una struttura scistosa cioè con cristalli allungati in una sola direzione e disposti in piani circa paralleli. Per questo le rocce metamorfiche possono essere facilmente suddivise in lastre sottili seguendo i piani di scistosità.
Il SERPENTINO è facilmente riconoscibile dal colore verde più o meno scuro. Deriva da un ambiente metamorfico di basso grado ricco d’acqua, di silicati di magnesio (olivine), pirosseni e anfiboli. Le rocce serpentinose hanno impieghi in edilizia. La varietà fibrosa “amianto di serpentino” è un ottimo isolante termico e acustico.