I microarray a DNA, noti anche come DNA chip o chip genici, sono uno strumento importante delle cosiddette "nanotecnologie". Essi sono utili per lo studio dell'espressione genica e di grande interesse per i ricercatori che studiano le basi molecolari del cancro e di altre malattie complesse oltre che, in ambito farmacologico, per l'individuazione di nuovi farmaci.
Messi sul mercato nel 1996 consentono di analizzare contemporaneamente l'attività di decine di migliaia di geni (fino a poco tempo fa, i ricercatori potevano analizzare solo un gene alla volta, tanto che si diceva: "un gene, una vita"). I chip sono formati da moltissime molecole di DNA (detti sonde) depositate in una posizione nota su un supporto a formare una microgriglia (da cui il nome microarray) che consente di identificarle in modo univoco. Il supporto di solito è un vetrino da microscopio che ha le dimensioni, più o meno, di un pollice della mano. Ogni sonda è costituita da un segmento di DNA a singola elica di un gene e, nel loro insieme, tutte le sonde di un DNA chip rappresentano tutti, o la maggior parte, dei geni di un organismo.
I chip sfruttano una proprietà importante del DNA, ossia l'appaiamento tra basi complementari (la T si appaia con la A e la G con la C) nella sua struttura. Come esempio di applicazione dei microarray consideriamo l'identificazione dei geni peculiarmente espressi o non espressi in un tessuto tumorale rispetto al relativo tessuto normale. Quando i geni sono attivamente espressi, cioè sono attivamente "trascritti", nelle cellule di questo tessuto sarà presente un numero elevato di molecole di RNA messaggero corrispondente ai geni espressi rispetto al tessuto sano. Si estrae pertanto l'RNA dai due tipi di tessuti (sano e tumorale), si converte l'mRNA nella copia più stabile a DNA (cDNA) e vi si lega un marcatore fluorescente: ad esempio verde per il cDNA ottenuto da cellule tumorali e rosso per quello ottenuto da cellule sane. Si applicano poi i cDNA marcati al chip.
Quando il cDNA trova la sua sequenza di basi complementare tra le decine di migliaia di sonde depositiate sul chip, vi si appaia. In quel punto del microarray si ha emissione di fluorescenza, indice dell'espressione di quel determinato gene. I chip vengono quindi analizzati con uno scanner, strumento che valuta il quadro di fluorescenza e i risultati sono elaborati da un computer. Si ottiene come risposta una mappa a colori: segnale rosso se un gene è espresso solo nel tessuto sano, verde se un gene è espresso solo nel tessuto tumorale e diverse gradazioni di giallo (rosso + verde) se un gene è espresso in entrambi i tessuti a livelli diversi. In altre parole si ottiene quello che viene definito un profilo di espressione, che consente di confrontare i quadri di espressione genica in tessuti diversi o nello stesso tessuto in differenti condizioni oppure in cellule a stadi diversi di sviluppo
La tecnologia che è alla base dei chip in realtà è molto complessa e l'utilizzo nella ricerca biomedica di questi utili “cacciatori di geni” è solo agli inizi.
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