ALICE
ALICE, acronimo di A Large Ion Collider Experiment at CERN LHC è un progetto portato avanti da una collaborazione di un migliaio di ricercatori appartenenti a 86 istituti di 29 paesi che ha come fine la costruzione di un rivelatore di ioni pesanti che consenta di esaminare gli effetti delle interazioni fra nuclei pesanti alle energie ottenibili con il Large Hadron Collider (LHC) che diventerà operativo nel 2008 presso il CERN di Ginevra.
Lo scopo scientifico è quello di studiare la fisica della materia sottoposta alle interazioni forti che si riscontrano alle densità di energia estreme alle quali ci si aspetta la formazione di una nuova fase di materia chiamata plasma quark-gluone.
L'evidenza sperimentale di quasta fase e le sue proprietà costituiscono questioni centrali per la cromodinamica quantistica (QCD) ai fini della comprensione del confinamento e della restaurazione della simmetria chirale. Per questo motivo il progetto ALICE si propone di portare avanti uno studio ad ampio raggio degli adroni, degli elettroni, dei muoni e dei fotoni prodotti nella collisione dei nuclei pesanti. ALICE studierà anche collisioni protone-protone per confrontarli con le collisioni piombo-piombo nelle condizioni fisiche alle quali questo progetto è competitivo con altri esperimenti che saranno condotti con LHC.
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Che esito ha avuto l’esperimento?
Un anno fa a Ginevra veniva inaugurato il Large Hadron Collider, il più potente acceleratore di particelle del mondo. Ma invece di andare con lui a caccia dei segreti dell'universo, i fisici nucleari del CERN hanno passato il loro tempo a ripararlo.
Sonnecchia sottoterra, a cavallo tra Svizzera e Francia, la più grande macchina mai costruita dall'uomo, quella che dovrebbe imitare il big bang per permettere agli scienziati di studiare i primi vagiti dell'universo.
Al momento della sua inaugurazione, nel settembre del 2008, si attendeva impazienti che l'LHC contribuisse a spiegare l'origine di ogni cosa. Le speranze, però si sono allontanate allo stesso modo delle particelle: velocemente. Poco più di una settimana dopo l'accelerazione del primo fascio di adroni, l'LHC si è fermato, piantando in asso migliaia di scienziati che contavano sul suo contributo.
«È ovvio che ci sia molta delusione», afferma la fisica del CERN Edda Gschwendtner. «Tutti erano ansiosi di raccogliere nuovi dati».
L'acceleratore dovrebbe essere riacceso nel corso dei prossimi due mesi, non senza qualche precauzione. Per il momento non verranno superati i 3,5 teraelettronvolt (TeV), la metà della potenza massima dell'LHC.
«Non diventerà una cattedrale nel deserto», assicura a swissinfo.ch il portavoce del Cern, James Gillies.
Non farsi cadere le braccia
«Si guarda avanti, a novembre», afferma Gillies. Lo scorso anno ci si attendeva moltissimo dall'acceleratore. «Era qualcosa di enorme che tutti stavano aspettando».
Ora c'è stato un ridimensionamento delle attese, ma Edda Gschwendtner ricorda che in fondo l'LHC è due cose allo stesso tempo, prototipo e prodotto finale, e che resta «una vera e propria conquista. Non c'è mai stato un acceleratore del genere, prima».
Al CERN – dove i ricercatori vivono e lavorano in un ambiente che ricorda un campus universitario – tutti sono convinti che a tempo debito l'acceleratore funzionerà alla potenza prevista.
«Sono sicuro che alla fine tutto andrà per il verso giusto», dice ad esempio Werner Riegler. «Certo è difficile prevedere se sarà in novembre. Basta pensare a quanti sono i componenti che devono funzionare insieme – e ogni singolo deve funzionare – per capire che serve del tempo a mettere a punto le cose».
Riegler è il coordinatore tecnico del gruppo che si occupa del rivelatore ALICE, un gigante fatto di milioni di sensori e posto in fondo ad un buco rivestito di cemento.
Destinato a raccogliere i dati risultanti dallo scontro di particelle, ALICE è uno dei quattro rivelatori collegati all'LHC. Ha un diametro e una lunghezza di 20 metri. Insomma, è tanto grande quanto complicato.
Grandi numeri
«Al progetto collaborano tra le 1000 e le 2000 persone», spiega Riegler. Strumenti e tecnologie sono stati messi a punto espressamente per l'LHC. «Non c'è nulla che si possa trovare sul mercato».
Con una potenza di 7 TeV, l'acceleratore del CERN strappa il primato al quarantenne Tevatron, che, situato alle porte di Chicago, opera ad una potenza di 1 TeV.
Per trasmettere energia alle migliaia di magneti situati nell'anello dell'LHC è necessario raffreddare i cavi con elio liquido e portarli a temperature vicine allo zero assoluto. A temperature normali non potrebbero reggere la corrente.
«Ogni nuova macchina non spinge più in là soltanto le frontiere del sapere, ma anche le frontiere della tecnologia», ricorda Gillies.
Isolare un anello di 27 chilometri e mantenerlo a temperature più fredde di quelle dello spazio profondo non è impresa da poco. Pochi giorni dopo il lancio del primo fascio di particelle, una fuga di elio ha costretto il CERN a disinstallare 53 magneti.
Ognuno di questi è lungo più di dieci metri e ha un suo posto preciso all'interno dell'acceleratore. È stato necessario smontarli e riportarli in superficie al fine di pulirli.
Avanti tutta
Dopo un'iniziale delusione è necessario riprendersi, «cercando di capire come intervenire e questo è esattamente quello che ha fatto chi lavora qui», racconta Gillies.
Un obiettivo, l'acceleratore di particelle ginevrino l'ha già raggiunto: ha contribuito a portare tra la gente comune l'interesse per la fisica nucleare. Il CERN ha fatto la sua apparizione in un libro dello scrittore statunitense Dan Brown e le spiegazioni di Gillies sono state pubblicate in giornali e riviste di tutto il mondo.
Lo scorso anno, l'ufficio stampa del CERN ha accolto all'incirca 800 giornalisti, più del doppio del solito. E ha dovuto confrontarsi con i timori di chi aveva paura che l'LHC potesse creare un buco nero capace d'inghiottire il pianeta. Per bloccare gli esperimenti sono state intraprese senza successo delle azioni legali alle Hawaii e a Strasburgo.
Gillies, fisico prestato alla comunicazione che si esprime in modo affabile e chiaro, accetta le sfide di buon grado. In fondo – fa notare – il primo acceleratore del CERN, il protosincrotrone, è stato costruito cinquant'anni fa ed è ancora in funzione.
Nel frattempo, i fisici hanno placato la loro sete di conoscenza studiando i raggi cosmici e ora sono occupati con i preparativi per il secondo varo dell'LHC. «In questo momento», conclude Riegler, «la pressione è davvero sulle spalle di chi sta costruendo questo acceleratore».
Justin Häne, al confine tra Svizzera e Francia, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento dall'inglese, Doris Lucini)
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