lunedì 28 gennaio 2008

NOMI CELESTI

Cara (Chara)
di derivazione greca, significa "gioia".
Inventato da Johannes Hevelius, è il nome dato alla più meridinale delle stelle dei Cani da caccia. L'altra stella si chiama Asterion.

Adìl (Adhil)
da al Dahil, "lo strascico del vestito", nella costellazione di Andromeda.
Dista da noi 196 anni luce*

Amàl (Ahmal), "l'agnello".
Nella costellazione dell'Ariete. Dista da noi 66 anni luce

Arturo
(dal greco) rappresenta Arcade, il figlio di Callisto, una ninfa del corteggio di Artemide.
Zeus la vide, prese le sembianze della dea e la sedusse. La dea della caccia si arrabbiò moltissimo, poichè le sue ninfe dovevano rimanere vergini, e la trasformò in orsa. Il bambino che nacque, Arcade, andando a caccia nei boschi incontrò l'orsa sua madre, che tentò di avvicinarglisi. Egli, spaventato, stava per scoccare una freccia, ma Zeus, impietosito, li portò entrambi in cielo.

L'orsa divenne l'Orsa Maggiore che tutti conosciamo; Arcade divenne " il guardiano dell'Orsa", la stella della costellazione di Bootes (guardiano, pastore).
Arturo è la stella più brillante del cielo estivo: contende il primato a Vega della Lira.
Nel 1933, in occasione dell'Esposizione "Il secolo del Progresso", a Chicago, la sua luce fu usata per accendere l'illuminazione il giorno dell'inaugurazione. La ragione della scelta sta nel fatto che la stella è distante circa 40 anni luce dalla Terra, e la luce che brillava quel giorno era partita dalla stella 40 anni prima, giusto la data dell'esposizione precedente.

Sirio
Significa "ardente, splendente". E' la stella più luminosa del cielo. Iside per gli Egizi, alla sua levata eliaca (appena prima del sorgere del Sole), segnava il periodo dell'inondazione del Nilo. Chiamata anche Cane, da cui canicola, il periodo di intenso calore estivo, era considerata portatrice di malattie e pestilenze, che si verificavano per le alte temperature estive e per la mancanza di strumenti per la conservazione dei cibi.
Dista da noi 8,6 anni luce. E' una stella appartenente all'emisfero australe, visibile nei nostri cieli per l'inclinazione dell'asse terrestre. Scintilla cambiando colore a causa del fatto che è bassa sull'orizzonte e la sua luce viene distorta dall'atmosfera.
Nell'altro emisfero, (io non ho mai potuto verificare, ma se qualcuno può farlo è pregato di riferire), la bella stella non scintilla allo stesso modo.

Adàra (Adhara)
da al-adhara, "le vergini".Nella costellazione del Cane Maggiore. Dista da noi 431 anni luce.

Nàscira (Naschira)
Nella costellazio del Capricorno. Non si conosce il significato. Dista da noi 38,6 anni luce

Adàr ( Hadar)
dall'arabo hadari, sconosciuto il significato. Nota anche come Agéna (ginocchio), nella costellazione del Centauro. E' distante 530 anni luce.

Mira
Significa "la meravigliosa". Nella costellazione della Balena. E' una stella variabile, periodicamente (circa una volta l'anno e per circa 135 giorni), si rende visibile a occhio nudo e poi impallidisce. Dista da noi 419 anni luce.

Mimosa
Una della stelle della Croce del Sud. Il nome adottato di recente, nel XX secolo, potrebbe ispirarsi al fiore dallo stesso nome. Dista da noi 353 anni luce.

Gena (Gienah)
nella costellazione del Corvo, dall'arabo janah-al-ghurab, "l'ala del corvo".
Dista dalla Terra 165 anni luce

Altàis
da al-tinnin significa forse "il serpente". Nella costellazione del Dragone, dista da noi 100 anni luce.

Áza (Azha)
deriva dal nome attribuito dagli arabi a una costellazione il cui nome significava "il nido degli struzzi". Oggi si trova nella costellazione di Eridano.

Aléna (Alhena)
è nella costellazione dei Gemelli. Il nome significa, dall'arabo al-han'a, "il marchio sul collo del cammello". Dista 59 anni luce dalla Terra.

Niàl (Nihal)
Il nome deriva dall'arabo al-nihal, e significa "i cammelli che iniziano a dissetarsi". Si trova nella costellazione della Lepre. Dista da noi 1280 anni luce.

Vega
La stella piu' luminosa della costellazione della Lira. E' di un soffio meno luminosa di Arturo. Il nome deriva dall'arabo al-nasr-al waki, "l'aquila che attacca". Dista dalla Terra 25,3 anni luce. E' la prima stella ad essere stata fotografata.

Alnilàm
la stella di mezzo dei Tre re, le tre stelle della cintura di Orione, la costellazione piu' bella del nosro cielo. Il suo nome deriva da un'antica costellazione a cui apparteneva: al-nizam "il filo di perle". Dista da noi 1340 anni luce.

Meissa
deriva dal nome al-maisan, che potrebbe significare "la splendente". E' nella costellazione di Orione. Dista da noi 1060 anni luce.

Sam (Sham)
"la freccia", dall'arabo al-sahm. Nella costellazione della Sagitta (freccia). Dista 473 anni luce.

Antares
il suo nome deriva dal greco, e significa "simile a Marte", per il suo colore rossastro. Si trova nella costellazione dello Scorpione. Dista 500 anni luce.

Sàula (Shaula)
Deriva dal nome arabo di una antica costellazione: al-shaula, "il pungiglione dello Scorpione".
Dista 700 anni luce.

Áldebaràn
Nella costellazione del Toro ne rappresenta l'occhio. Significa probabilmente "la seguente", con riferimento al fatto che segue Le Pleiadi. Sembra immersa nell'ammasso aperto delle Iadi, ma è lontana da loro. Dista 65 anni luce, mentre le Iadi distano oltre 150 anni luce.

COORDINATE CELESTI

Volendo definire un sistema di coordinate anche per la volta celeste, vengono definiti due poli celesti in analogia con quelli sulla Terra: il Polo Nord celeste si trova su quel punto della sfera immaginaria identificato dal prolungamento dell’asse terrestre che esce dal polo Nord. Esso si trova vicinissimo, alla Stella Polare. Dalla parte opposta del globo possiamo definire un polo Sud celeste con lo stesso criterio.

I poli Nord e Sud celesti si trovano agli antipodi di una sfera immaginaria, su cui si proiettano le stelle. Oltre ai poli celesti, si può definire l’Equatore celeste, cioè un cerchio massimo che circonda la sfera celeste e che è equidistante dai poli.
Sulla sfera celeste poi si costruisce idealmente tutta una serie di cerchi massimi passanti per i poli celesti e dei circoli paralleli all'equatore celeste. Otteniamo così meridiani e paralleli celesti che formano un vero e proprio reticolato di coordinate, del tutto analogo a quello definito sulla Terra.
Questo sistema di coordinate è detto Sistema Equatoriale di coordinate celesti. È da notare però che i meridiani ed i paralleli celesti non sono solidali con quelli terrestri, poiché il moto di rotazione terrestre nelle 24 ore lo impedisce.

Se vogliamo definire la posizione di una stella o di un qualsiasi oggetto celeste (una galassia per esempio) sulla sfera celeste, applichiamo gli stessi metodi che si usano per definire un punto sulla superficie terrestre, anche se le misure hanno nomi e modalità differenti.


La "latitudine" viene chiamata declinazione (Decl. detta anche Delta), cioé il valore in gradi che esprime la distanza angolare dell’ oggetto celeste dall’Equatore celeste, positivo verso Nord e negativo verso Sud.
La "longitudine" viene sostituita, dall’Ascensione Retta (A.R. detta anche Alpha) che viene misurata in ore anzichè in gradi ed è il valore in ore, minuti e secondi esprimente la distanza (detta angolo orario) dell’oggetto dal meridiano celeste fondamentale. Tale meridiano passa per un punto nella costellazione dei Pesci (detto punto gamma, ), dove si proietta il Sole durante l’Equinozio di Primavera, il 21 Marzo.
L’Ascensione Retta viene contata con valori crescenti verso Est da 0 a 24 ore, facendo un giro completo, ed è quindi differente dalla longitudine terrestre, che invece viene contata in gradi sia verso Est che verso Ovest dal meridiano di Greenwich.

Ogni ora di Ascensione Retta (A.R.) corrisponde ad un angolo sessagesimale di 15 gradi. Si è scelto di esprimere l’A. R. in ore semplicemente perchè la Terra ruota attorrno a se stessa in 24 ore, e dopo questo lasso di tempo le stelle dovrebbero apparire nella stessa posizione del giorno precedente. In realtà ciò è un po’ più complicato, perchè al moto di rotazione si sovrappone il moto orbitale terrestre attorno al Sole, che giorno per giorno fa anticipare di 4 minuti il passaggio delle stelle al meridiano. Ciò vuol dire che una stella che abbiamo visto passare esattamente al meridiano Sud alle 24 della notte precedente, questa notte passerà a Sud alle ore 23:56.

Un’altro sistema di coordinate astronomiche è rappresentato dalle coordinate altazimutali.
È un sistema di riferimento relativo, le coordinate cioè valgono solo per la postazione in cui ci troviamo e per quell’istante preciso che prendiamo in considerazione; quelle equatoriali sono invece assolute, ovvero valgono per ogni luogo ed istante.


Nelle coordinate altazimutali vengono definiti un'Altezza ed un Azimuth. La prima si definisce come la distanza angolare, in gradi, di un astro dall’orizzonte locale, la misura va fatta lungo una linea meridiana che passa per un punto proprio sulla nostra verticale, chiamato zenith, per l’astro stesso e va a intersecare un punto dell’orizzonte.
l’Azimuth invece è definito come la distanza angolare in gradi dell’intersezione della linea meridiana appena vista (congiungente la stella e passante per lo Zenith) dal punto cardinale Nord sull’orizzonte; esso va contato in senso orario cioè partendo da Nord nella direzione Est - Sud - Ovest.

domenica 27 gennaio 2008

PADRE ANGELO SECCHI

PADRE ANGELO SECCHI

Nato a Reggio Emilia, Padre Angelo Secchi entrò nella Compagnia di Gesù nel 1833, e nel 1835 andò a studiare astronomia, nel famoso Collegio Romano dell'ordine. Nel 1849 divenne direttore dell'osservatorio del Collegio Romano. Secchi è oggi principalmente ricordato come uno dei grandi pionieri della spettroscopia stellare, e planetaria. Ideò un nuovo sistema di classificazione per le stelle, che divise in quattro tipi sulla base del colore dominante: fu l’inizio dell’astrofisica e dell’analisi chimica delle atmosfere stellari, Il suo sistema fu sostituito in seguito da quello di Harvard. Un altro campo a cui Secchi diede fondamentali contributi fu quello degli studi sul Sole, e fu il primo a fotografare la corona solare. Oltre a pioniere della spettroscopia, Secchi fu anche maestro nell'osservazione del Sole e dei pianeti. Nel 1858, iniziò ad osservare Marte, utilizzando il rifrattore (costruito da Merz di 24 centimetri di diametro) installato sopra la chiesa di San Ignazio, nell'osservatorio del Collegio Romano di Roma. Nel 1869: vedendo certe linee scure e una larga macchia triangolare anch’essa scura nella regione della Syrtis Major, battezzò quella struttura «Canale d’America», pensando probabilmente a un braccio di mare (e infatti in italiano la parola canale è usata anche in questo significato). Fu il primo ad osservare canali e nubi bianche su Marte, disegnando valide mappe del pianeta. I suoi delicati disegni del pianeta rosso, conservati tuttora all'osservatorio di Monte Mario, mostrano il pianeta con bianche calotte e mari azzurri su sfondi rossastri e rosati, mentre le macchie sono delineate con nitidezza e decisione. Queste mappe sono il preludio alle dettagliate carte che presto altri areografi disegneranno in un futuro ormai non lontano.

sabato 26 gennaio 2008

LE CEFEIDI

LE CEFEIDI E LE DISTANZE DEL COSMO
Da Ipparco in poi, lo splendore di una stella è stato indicato dalla magnitudine: più una stella è luminosa, minore è la sua magnitudine. Ipparco definì le venti stelle più luminose come stelle di prima magnitudine, mentre quelle un po’ più deboli le chiamò di seconda magnitudine; e così via, fino alla sesta magnitudine, cui appartenevano le stelle a malapena visibili. Nel 1856 tale sistema fu trasformato in un preciso sistema quantitativo (formula di Pogson), basato sul fatto che una stella di prima magnitudine è 100 volte più luminosa di una di sesta. In base a ciò, il rapporto tra due magnitudini successive è uguale a 2,512. Queste sono le magnitudini apparenti, cioè ciò che vediamo dal nostro punto di osservazione. Le magnitudini assolute sono stabilite calcolando la luminosità che la stella avrebbe se fosse posta ad una distanza standard di 10 parsec (1 parsec=3,26 a. l.).

Nel 1912 H. Leavitt scoprì nella piccola Nube di Magellano 25 cefeidi, di ognuna delle quali determinò il periodo. Più il periodo era lungo, più la stella era luminosa. Tale relazione non era mai stata notata per le cefeidi più vicine perché di queste conoscevamo solo la magnitudine apparente, dato che non erano note le distanze. Nella Nube di Magellano, trovandosi tutte le stelle a distanze da noi praticamente uguali, le magnitudine apparenti possono essere considerate una misura relativa delle magnitudine assolute. Così la relazione rilevata poteva essere considerata valida: il periodo delle cefeidi aumenta all’aumentare della magnitudine assoluta. Fu quindi possibile stabilire una curva periodo-luminosità.

Se tutte le cefeidi dell’universo si comportano allo stesso modo, esse possono rappresentare un parametro relativo per misurare le distanze. Osservate due cefeidi di uguale periodo, si può supporre che abbiano uguale magnitudine assoluta, e quindi, se una cefeide appare quattro volte più luminosa di un’altra di uguale periodo, quest’ultima sarà distante il doppio da noi, dato che la luminosità apparente diminuisce col quadrato della distanza.

Purtroppo, anche la più vicina delle cefeidi, la Stella Polare, era troppo lontana perché determinarne la parallasse con i mezzi di allora. Quindi, per stabilire le distanze delle cefeidi più vicine, dalle quali ricavare una scala di distanze per le più lontane, si dovette ripiegare su metodi più indiretti e meno certi. Nel 1913 Hertzsprung stabilì che una cefeide con un periodo di 6,6 giorni aveva una magnitudine assoluta di –2,3: e in base a questo risultato, sulla curva della Leavitt, determinò la magnitudine assoluta di tutte le cefeidi. Qualche anno dopo Shapley corresse il valore di Hertzsprung a 5,96 giorni (sempre per una cefeide di magnitudine assoluta –2,3). Nel 1918 Shapley cominciò ad osservare le cefeidi della nostra galassia, nel tentativo di determinare con questo nuovo metodo le dimensioni della galassia stessa. A tal fine si occupò degli Ammassi Globulari, le cui distanze valutò tra i 20.000 e i 200.000 a. l.
Nel 1924, Hubble osservò alla periferia di M31, la Grande Galassia di Andromeda, alcune cefeidi, che permisero di dimostrare come quella che ancora molti astronomi credevano una nebulosa fosse in realtà un’altra galassia come la nostra Via Lattea, distante oltre un milione di a. l. Nel 1942 Baade, godendo di un cielo particolarmente buio grazie all’oscuramento di Los Angeles dovuto alla guerra, scoprì in M31 un’insospettata differenza tra le stelle delle zone più interne e quelle più esterne, giungendo alla differenziazione tra le due popolazioni stellari oggi note, la Popolazione I e la Popolazione II; in seguito, quando entrò in funzione lo specchio da 200 pollici, Baade confrontò le cefeidi di Popolazione II, situate negli ammassi globulari, con quelle del nostro braccio di spirale (Popolazione I): risultò che quelle di Popolazione II seguivano effettivamente la curva stabilita dalla Leavitt, mentre quelle di Popolazione I hanno una luminosità tra quattro e cinque volte maggiore di una di Popolazione II con lo stesso periodo. Ciò fece aumentare la stima della distanza della galassia di Andromeda da meno di un milione a due milioni e mezzo di anni luce. Oggi le misurazioni astrometriche del satellite Hipparcos hanno consentito di misurare le parallassi di stelle distanti centinaia e centinaia di anni luce: ciò ha reso possibile misurare esattamente la distanza di molte cefeidi (compresa la gloriosa d Cephei), per cui possiamo ben dire che le distanze ottenute grazie al metodo delle cefeidi sono sicuramente affidabili.

domenica 13 gennaio 2008

L'uomo che aveva osato contraddire Newton: Robert Hooke

Robert Hooke (Freshwater, Isola di Wight, 18 luglio 1635 – Londra, 3 marzo 1703) è stato un fisico, biologo, geologo e architetto inglese. Fu uno dei più grandi scienziati del Seicento e una delle figure chiave della rivoluzione scientifica.

Robert Hooke nacque nella cittadina di Freshwater, nell'Isola di Wight, da una famiglia di medie condizioni (il padre, John, era curato della locale parrocchia). Sin da bambino mostrò un'eccezionale attitudine per la pittura e la meccanica, ma la salute malferma gli impediva spesso di dedicarsi allo studio. Nel 1648, dopo la morte del padre, si trasferì a Londra, dove trascorse prima un anno come apprendista del pittore Peter Lely e poi frequentò la Westminster School. Dal 1653 frequentò l'Università di Oxford e dal 1657 fu assunto da Robert Boyle come assistente personale.
Nel novembre del 1662 ebbe un impiego presso la Royal Society come curatore degli esperimenti, una nuova figura professionale, creata per lui, che fece di Hooke il primo scienziato pagato al solo scopo di svolgere ricerche. Tra i compiti previsti dal contratto di assunzione vi era quello di ideare e preparare, per ogni riunione della Royal Society (che avvenivano normalmente con frequenza settimanale), tre o quattro nuovi esperimenti da mostrare ai soci. Dal 1665 Hooke divenne anche professore di geometria al Gresham College.
Negli anni successivi Hooke affiancò al lavoro sperimentale svolto per la Royal Society (che per molti anni costituì il fulcro dell'attività scientifica della famosa istituzione inglese) un'intensa attività di teorico, architetto e inventore. Dopo il grande incendio di Londra fu impegnato nella ricostruzione della città. Dal 1677 svolse anche il compito di segretario della Royal Society.
Gli ultimi anni furono segnati dal disaccordo con Newton, che provocò il suo crescente isolamento nell'ambiente scientifico.

Hooke microscopista

Alcuni dei risultati più famosi di Hooke sono connessi ai perfezionamenti da lui apportati al microscopio. I microscopi da lui costruiti, che si avvalevano di nuovi sistemi ottici e di un nuovo sistema di illuminazione, gli permisero una serie di scoperte esposte nel libro Micrographia: da risultati sull'anatomia degli insetti alla famosa scoperta, nel sughero, di quelle cavità, separate da pareti, che chiamò 'cells' (cellule), a osservazioni sui cristalli essenziali per la nascente scienza della cristallografia (alla cui fondazione Hooke contribuì anche elaborando pionieristici modelli per dedurre dalla forma dei cristalli macroscopici le loro disposizioni atomiche).
Strumenti astronomici e osservazioni [modifica]
Hooke progettò e perfezionò vari strumenti astronomici. Contribuì in modo essenziale, tra l’altro, a progettare ed equipaggiare l’Osservatorio di Greenwich. Se la priorità nell’invenzione del telescopio a riflessione spetti a lui o a Newton è oggetto di discussione. Tra i risultati astronomici ottenuti con gli strumenti da lui progettati vi sono la scoperta della Grande macchia rossa sul pianeta Giove, che gli permise di dimostrare la rotazione di Giove intorno al suo asse, e la misura del periodo di rotazione di Marte.

Gravitazione e Dinamica

Nel 1670[1] Hooke propose di spiegare il moto dei pianeti e delle comete con una nuova meccanica basata su tre ipotesi: che tutti i corpi celesti si attraggano tra loro; che i corpi si muovano di moto rettilineo uniforme se non sono deviati da forze; che le forze di attrazione decrescano con la distanza. La legge matematica con cui la forza di attrazione decresce con la distanza fu da lui precisata negli anni successivi, in particolare in una lezione sulla luce del 1681 [2], nella quale precisò che la forza doveva decrescere con il quadrato della distanza. Hooke capì anche che da questa legge dovevano dedursi le leggi di Keplero, ma non riuscì ad effettuare la deduzione. Questo passo decisivo fu compiuto da Newton nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, ma il contributo di Hooke alla sistemazione newtoniana era stato certamente importante.

Negli ultimi anni della vita, quando la sconfitta nella disputa che lo aveva opposto a Newton era ormai chiara, Hooke fu angosciato dal timore di essere completamente dimenticato. Non si trattava di un timore infondato. L’anno della sua morte, il 1703, fu anche l’anno dell’elezione di Isaac Newton alla presidenza della Royal Society. Negli anni successivi, mentre l’influenza di Newton sugli ambienti scientifici inglesi diveniva un’egemonia incontrastata, il ricordo dell’antico rivale fu sistematicamente cancellato. Non solo molti dei suoi risultati furono attribuiti ad altri, ma fu persino rimosso dai locali della Royal Society il suo ritratto.
Recentemente vi è stata una notevole rivalutazione del lavoro di Hooke: in particolare molte pubblicazioni sono apparse nel 2003, in occasione del terzo centenario della morte. L’illusione di averne ritrovato un ritratto si è però rapidamente spenta. Con ogni probabilità non potremo mai conoscere le fattezze dell’uomo che aveva osato contraddire Newton.

ENERGIA ED ENTROPIA

Assumendo che l'intero universo sia un sistema isolato - ovvero un sistema per il quale è impossibile scambiare materia ed energia con l'esterno - il primo ed il secondo principio della termodinamica possono essere riassunti da un'unica frase:
l'energia totale dell'universo è costante e l'entropia totale è in continuo aumento.
valida per qualsiasi sistema isolato.
In altre parole ciò significa che non solo non si può né creare né distruggere l'energia, ma nemmeno la si può completamente trasformare da una forma in un'altra senza che una parte venga dissipata sotto forma di calore.
Se per esempio si brucia un pezzo di carbone, la sua energia si conserva e si converte in energia contenuta nell'anidride carbonica, nell'anidride solforosa e negli altri residui di combustione oltre che naturalmente in forma di calore. Per quanto non si sia persa energia nel processo, sappiamo che non possiamo invertire il processo di combustione e ricreare dai suoi scarti il pezzo di carbone originale.
La spiegazione si trova nel secondo principio della termodinamica che può così essere parafrasato:
ogni volta che una certa quantità di energia viene convertita da uno stato ad un altro si ha una penalizzazione che consiste nella degradazione di una parte dell'energia stessa in forma di calore, in particolare questa parte non sarà più utilizzabile per produrre lavoro.
Lo stato in cui l'entropia raggiunge il massimo livello e non vi è più energia libera disponibile per compiere ulteriore lavoro è detto stato di equilibrio. Per l'intero universo concepito come sistema isolato ciò significa che la progressiva conversione di lavoro in calore (per il principio di aumento dell'entropia totale), a fronte di una massa dell'universo finita, porterà infine ad uno stato in cui l'intero universo si troverà in condizioni di temperatura uniforme; la cosiddetta morte termica dell'Universo.
L'entropia caratterizza il verso di qualunque trasformazione reale come trasformazione irreversibile: infatti anche tornando da uno stato finale a uno identico allo stato iniziale (per temperatura, volume, pressione o altri parametri, come continuamente avviene nei cicli di una centrale) almeno una variabile fisica differirebbe dal punto da cui si è partiti, l'entropia (che inevitabilmente aumenta).
Ogni trasformazione reale è una trasformazione irreversibile perché l'entropia aumenta; l'ipotesi di idealità equivale appunto all'ipotesi di una variazione d'entropia nulla.

venerdì 11 gennaio 2008

IL MONDO E LA FORZA DI GRAVITA'

La Via Lattea è una del gruppo di galassie note come Agglomerato Locale (o Gruppo Locale) che comprende la galassia di Andromeda , parecchie galassie “nane”, come la grande nebulosa di Magellano.
L’Agglomerato Locale è uno del centinaio di gruppi di galassie che costituiscono il Superagglomerato . Da misurazioni recenti risulta che il nostro ed un altro superagglomerato , quello delle galassie Idra e Centauro, stiano convergendo verso una regione dell’universo estremamente densa di masse stellari, il cosiddetto Grande Attrattore, una regione distante forse 300 milioni di anni luce.
La forza che lega queste strutture di dimensioni crescenti , dalle galassie ai superagglomerati, e che li sta forse trascinando lentamente verso il Grande Attrattore, è la forza di gravità. Questa forza non ci tiene soltanto incollati alla Terra, ma regna ovunque, nella verità degli spazi intergalattici.

Nel 1665 il ventitreenne Isaac Newton diede un formidabile contributo alle scienze fisiche dimostrando che la forza che trattiene la Luna nella sua orbita è la stessa forza che fa cadere una mela . Newton arrivò alla conclusione che non soltanto la Terra attira sia una mela ce la Luna, ma che ogni corpo dell’universo attira ogni altro corpo; questa tendenza dei corpi a muoversi l’uno verso l’altro è chiamata gravitazione. Questo concetto incontrò una certa difficoltà a farsi strada nell’opinione comune, perché l’attrazione della Terra per i corpi terrestri è così predominante da occultare l’attrazione reciproca che quei corpi tra loro esercitano.
Quantitativamente Newton formulò la cosiddetta legge di gravitazione universale: ogni particella attira ogni altra particella con una forza gravitazionale la cui intensità è espressa così:

(1) F = G m1m2 /r2 (legge di gravitazione universale di Newton)

Qui m1m2 rappresentano le masse e r la distanza delle due particelle, mentre G è la costante di gravitazione. Notare che la forza di attrazione reciproca tra le due particelle dipende dalla distanza ce separa le particelle ma non dalla natura del luogo in cui si trovano, nel profondo di una grotta o nello spazio siderale.
La legge di Newton come l’abbiamo formulata si applica esclusivamente ad ai corpi puntiformi , possiamo estenderne l’applicazione anche ad oggetti reali, purchè le loro dimensioni siano piccole rispetto alla distanza che li separa. Dal punto di vista della gravità, la Luna e la Terra sono abbastanza lontane da potere, in prima approssimazione, essere considerate puntiformi. Ma fra una mela e la Terra? Dal punto di vista della mela, l’enorme Terra pianeggiante che si estende sull’orizzonte non ha proprio l’aspetto di una particella.
Per risolvere il problema Terra-mela Newton dimostrò un importante teorema:
Un guscio sferico uniforme di materia (la Terra) attira una particella che si trova all’esterno (la mela) come se tutta la massa dello strato sferico fosse concentrata nel suo centro.
La Terra può essere considerata come una serie di gusci sferici di questo tipo, uno dentro l’altro, ciascuno dei quali attira una particella esterna alla superficie terrestre come se tutta la sua massa fosse concentrata nel suo centro.

Assimiliamo quindi la Terra ad una sfera piena omogenea di massa M. Dall’equazione (1) si ricava che l’intensità della forza di gravità che agisce su una particella di massa m posta all’esterno della Terra alla distanza r dal suo centro:
(2) F = G Mm/r2

Se lasciamo libera la particella di cadere, la forza di gravità F la fa cadere verso il centro della Terra con un’accelerazione ag, che chiameremo accelerazione gravitazionale. Applicando la seconda legge di Newton possiamo scrivere a riguardo dei loro moduli:
(3) F = m ag

Risolvendo la (3) rispetto ad ag, dopo aver sostituito a F l’espressione della (2), troviamo:
m ag= G Mm/r2

ag= G M/r2

Ignorando l’effetto della rotazione terrestre (e la forza centrifuga che ne deriva), approssimando la forma della Terra ad una sfera con densità omogenea, possiamo considerare l’accelerazione di gravità g uguale all’accelerazione che qui abbiamo chiamato gravitazionale ag e considerala costante (come si deduce dall’ultima formula ) per corpi sulla superficie terrestre e con il valore di 9,8 m /s2

Concludendo: quando trattiamo di caduta libera dei gravi (sperimento di Gugliemini) si applica la formula F= m g , quando parliamo di pianeti o di corpi celesti in generale che si attraggono , applichiamo la formula ) F = G m1m2 /r2