Incidenza e caratteristiche:
Questo tipo di distrofia è la più frequente e la meglio conosciuta. Ha un decorso relativamente rapido. L’incidenza varia da 13 a 33 casi ogni 100.000. Si osserva una forte predisposizione familiare; poiché la patologia è trasmessa come tratto recessivo legato al cromosoma X, si manifesta prevalentemente nei maschi. Nel 30 % dei pazienti vi è un’anamnesi familiare negativa e si ritiene che in questi casi avvenga una mutazione spontanea del cromosoma.
L’alterazione del gene del cromosoma X determina la mancata produzione di una proteina chiamata distrofina. Nel muscolo questa è localizzata sul versante citoplasmatico del sarcolemma contribuendo a costituire la struttura filamentosa di rinforzo della cellula muscolare.
Inoltre è strettamente legata ad un complesso di proteine sarcolemmali (DAPs) e quindi la sua mancanza conduce ad una perdita delle DAPs da cui consegue una suscetibilità del sarcolemma alla lacerazione durante la contrazione muscolare.
Negli stadi precoci le caratteristiche principali sono la fagocitosi di singole fibre o gruppi di esse e la rigenerazione promossa dalla necrosi.
Con il progredire della malattia si ha perdita di fibre muscolari (modificazione comune a tutti i tipi di distrofia muscolare) , fibre residue di maggiore o minore diametro rispetto al normale e disposte casualmente , aumento degli adipociti e fibrosi.
Si osserva quindi uno stato di ipertrofia, risultato dell’ingrossamento delle fibre sane rispetto alle fibre adiacenti inutilizzate. Successivamente si ha la sostituzione delle fibre degenerate con tessuto adiposo.
Alla fine le fibre scompaiono e degenerano, per la perduta capacità di rigenerazione dopo ripetuti insulti. In questo ultimo stadio rimangono solo poche fibre muscolari sparse, quasi perse in un mare di adipociti.
Quadro Clinico:
La distrofia di Duchenne viene di solito riconosciuta al terzo anno di vita, ma almeno la metà dei pazienti presenta i segni della malattia prima che inizi la deambulazione.
I primi segni che attirano l’attenzione sono l’incapacità di camminare o correre quando queste funzioni avrebbero già dovuto essere acquisite; oppure una volta che queste attività vengano acquisite, i bambini appaiono meno attivi della norma e cadono facilmente.
Col passare del tempo aumentano le difficoltà a camminare, correre, salire le scale. L’ingrossamento dei polpacci e di altri muscoli è progressivo nei primi stadi della malattia, ma alla fine la maggior parte dei muscoli, anche quelli originariamente ingrossati, tende a ridursi di volume.
Le ossa diventano sottili e demineralizzate; i muscoli lisci sono risparmiati,mentre il cuore è colpito e possono apparire vari tipi di aritmia.
Di solito la morte è dovuta ad insufficienza respiratoria, infezioni polmonari o scompenso cardiaco. Solitamente la morte sopraggiunge durante la tarda adolescenza e non più del 20-25% dei casi il paziente sopravvive oltre il venticinquesimo anno di vita.
Terapia:
Non esistono terapie specifiche per nessuna delle distrofie e si è costretti ad assistere impotenti alla perdita di forza e dell’ atrofia.
In molti casi è a un certo punto necessaria la respirazione assistita in quanto l’insufficienza respiratoria è un disturbo subdolo che si può manifestare sotto forma di apnee notturne.
Due rimangono i cardini del trattamento dei pazienti con distrofia muscolare: evitare il prolungato riposo a letto ed incoraggiare il paziente a condurre il più a lungo una vita normale. Questo aiuta a prevenire il rapido peggioramento che consegue all’inattività e a mantenere una sana alimentazione.
Le ricerche scientifiche proseguono alacremente in ogni parte del mondo e attualmente le speranze più fondate provengono dal tentativo di realizzare una terapia genica, e cioè di introdurre nell’organismo ammalato copie corrette (sane) di un gene difettoso.
domenica 18 maggio 2008
domenica 11 maggio 2008
LE ROCCE
LE ROCCE
La crosta terrestre è costituita da rocce, cioè grandi ammassi di materiale che hanno caratteristiche fisico-chimiche proprie e sono costituite da aggregati di minerali in proporzioni abbastanza costanti.
Le rocce vengono classificate in base alla loro composizione mineralogica e alla loro origine, per cui la distinzione fondamentale è tra le rocce ignee, sedimentarie e metamorfiche.
ROCCE IGNEE (ERUTTIVE O MAGMATICHE)
Si formano dal consolidamento (solidificazione) di un magma che consiste in una roccia fusa presente all’interno della Terra. La roccia ignea così generata ha composizione e aspetto diversi in rapporto alle caratteristiche fisico-chimiche dei magmi e al luogo dove i magmi si solidificano. La sostanza chimica più comune dei magmi è la silice (SiO2) e , in base alla quantità di silice presente, si distinguono magmi acidi, intermedi e basici nei quale si trova una quantità di silice decrescente.
Se il magma si consolida in profondità, al di sotto di altre rocce, il passaggio dallo stato fluido a quello solido è lento, il calore si disperde lentamente, in milioni di anni e la pressione rimane elevata a lungo. Gli ioni della massa fusa hanno il tempo di organizzarsi in reticoli cristallini dando origine a minerali ben definiti. Tali sono le rocce di tipo intrusivo.
Se il magma consolida, invece, in superficie, effuso in una colata lavica da un vulcano, la massa fusa pietrifica rapidamente perché il calore si irradia rapidamente nell’atmosfera e, inoltre, la pressione è bassa , pari a un atmosfera. Gli ioni del magma non hanno il tempo di formare reticoli e formare cristalli ma danno origine a una pasta amorfa , come il vetro, nella quali possono formarsi piccoli cristalli talora incompleti. Queste rocce sono di tipo effusivo.
Rocce intrusive:
GRANITO : è una roccia molto comune che affiora su una parte consistente della crosta terrestre. Sono di granito il massiccio del Monte Bianco, del Gran Paradiso, del Monte Rosa. E’ una roccia ignea intrusiva di tipo acido (alta quantità di silice). Le rocce di tale tipo sono generalmente di colore chiaro. I minerali sempre presenti nel granito sono il quarzo (SiO2) di colore bianco, l’ortoclasio un silicato di potassio e alluminio di colore beige, il plagioclasio un silicato di sodio e calcio di colore scuro, la mica un silicato complesso contenente potassio,magnesio e ferro. I cristalli dei vari minerali sono ben visibile (fenocristalli) , le varietà di granito sono da mettere in relazione alla presenza di costituenti accessori e alla composizione chimica percentuale.
DIORITE: è simile al granito ma più scura, è infatti una roccia ignea intrusiva di tipo intermedio (quantità intermedia di silice). Contiene plagioclasi scuri (come il granito) e anfiboli e pirosseni , silicati che formano catene singole o doppie. Manca il quarzo.
Rocce effusive:
PORFIDO: con questo nome si comprendono diversi tipi di rocce ignee effusive acide come la riolite. Sono presenti fenocristalli immersi in una pasta vetrosa e amorfa. Deriva da colate laviche che consolidano in superficie. I porfidi italiani più noti sono di colore rosso chiaro e rosso violaceo e vengono utilizzati per pavimentare le strade e piazze. La pomice è un altro tipo comune di roccia effusiva acida.
BASANITE: roccia ignea effusiva di tipo basico. I basalti sono le rocce più diffuse al mondo; formano interi pavimenti oceanici. Il colore è tipicamente scuro (roccia basica). La struttura è vetrosa. Molte vie di Roma vengono lastricate con questa roccia (sanpietrini).
ROCCE SEDIMENTARIE
Circa il 75% della superficie terrestre è formata da rocce di questo tipo e formano un velo molto sottile di roccia. L’origine delle rocce sedimentarie è legata alla deposizione (sedimentazione) di materiali solidi in un bacino sedimentario , che può essere un fondale marino o lacustre, il letto di un fiume, il fronte di un ghiacciaio, le dune costiere e altri ambienti della terraferma come ad esempio il deserto.
Talvolta i sedimenti si conservano così come sono stati depositati (sedimenti incoerenti) come nel caso delle sabbie e delle ghiaie. Di solito, però, i sedimenti vanno incontro a processi complessi (diagenesi) che trasforma i sedimenti in roccia. Tale litificazione può richiedere tempi molto lunghi in dipendenza dal tipo di sedimento e dalla velocità di sedimentazione. Per esempio la velocità di sedimentazione media nei fondali oceanici è di un metro ogni milione di anni. Nell’ambiente di sedimentazione, i materiali depositati vengono via via sepolti da nuovi sedimenti che li schiacciano con il loro peso. Succede inoltre che i sedimenti sprofondino man mano che si depositano, spesso circa alla stessa velocità con cui si formano.
La classificazione più semplice delle rocce sedimentarie usa come criterio l’origine del materiale del sedimento da cui è derivata la roccia. Si distinguono quindi i seguenti gruppi:
- Rocce clastiche ( o detritiche): costituiscono la maggior parte delle rocce sedimentarie e sono prodotte dalla deposizione di materiale proveniente dalla disgregazione di altre rocce per azione di agenti come il gelo, le acque correnti e il vento. In questo gruppo rientrano i CONGLOMERATI come le BRECCE (con spigoli vivi) E LE PUDDINGHE (con spigoli arrotondati) ottenuti dalla cementazione di ghiaie ben visibili. Di solito provengono dalla cementazione di ghiaie costiere, di depositi fluviali o fluvioglaciali. Altre rocce comuni di tipo clastico sono le ARENARIE e le ARGILLE dove la dimensione dei granuli cementati è inferiore a quella dei conglomerati (i granuli non sono visibili).
- Rocce piroclastiche: derivano dalla deposizione e litificazione di ceneri e lapilli provenienti dai vulcani esplosivi. Le ceneri spossono essere trasportate dal vento molto lontano dal vulcano che le ha eruttate prima di sedimentarsi. La roccia piroclastica più tipica è il TUFO molto diffuso nell’Italia centrale (sottosuolo di Roma e Napoli). E’ frequente in questo tipo di roccia la presenza di cavità che la rendono inadatta per costruirvi grossi insediamenti urbani.
- Rocce di origine chimica o evaporiti: derivano dalla precipitazione di sali minerali, come GESSO E SALGEMMA, dall’acqua di un bacino marino in fase di evaporazione. L’ALABASTRO è una roccia di origine chimica formata da successivi veli di carbonato di calcio , depostisi all’aria libera per precipitazione di carbonato di calcio da acqua sovrassature di tale composto. I veli sono in parte bianchi (puri) e in parte colorati da pigmenti di ossido di ferro. E’ una delle più belle rocce ornamentali anche per la sua trasparenza alla luce.
- Rocce organogene: derivano dall’accumulo e cementazione di materiale di origine organico che sopravvive alla degradazione . Si pensi ad esempio alle conchiglie marine. Tra le più comuni rocce organogene citiamo i CALCARI costituiti quasi esclusivamente da carbonato di calcio (CaCO3) e di solito stratificati. Derivano dall’accumulo di gusci di scheletri mescolati con granuli di rocce calcaree preesistenti o da calcare di precipitazione chimica, il tutto cementato da processi di diagenesi. Vi sono però animali (come coralli e spugne) che costruiscono edifici non stratificati, come le barriere coralline, , in questo caso i resti fossili mantengono la struttura originaria. Le Dolomiti sono in gran parte costituite da DOLOMITE in cui una parte del calcio è stata sostituita da magnesio ( CaMg(CO3)2) , praticamente scogliere coralline fossili risalenti a circa 200 milioni di anni fa.
ROCCE METAMORFICHE
Ogni roccia, come i minerali che la compongono, si mantiene integra finché non cambiano le condizioni di temperatura e pressione nelle quali si è formata. Quando invece queste cambiano, essa tende ad adattarsi alle nuove condizioni metamorfosandosi in un’altra roccia. Il metamorfismo, cioè il cambiamento, riguarda sempre litologie allo stato solido ( perché i processi che avvengono in materiali fusi sono di competenza del magmatismo) e temperature superiori ai 150°C circa. Durante il metamorfismo la composizione generale chimica della roccia non cambia, mentre è modificata quella dei singoli minerali. Si tratta di fenomeni di ricristallizzazione e di reazioni chimiche tra minerali , che però rimangono allo stato solido. Praticamente avviene un rimescolamento a freddo degli elementi componenti: alla fine è nato un nuovo tipo di roccia. Con il variare delle condizioni di temperatura e pressioni si hanno diversi tipi di metamorfismo. Per esempio il MARMO deriva dalla metamorfosi di un calcare abbastanza puro (roccia sedimentaria) in cui, per effetto dell’aumento della temperatura, i minuti cristalli di calcite ricristallizzano formando cristalli di dimensioni maggiori. Il marmo è quindi ancora costituito da calcite (CaCO3) ma ha una grana di maggiori dimensioni.
Un indizio per riconoscere una roccia metamorfica è dato dalla presenza di una struttura scistosa cioè con cristalli allungati in una sola direzione e disposti in piani circa paralleli. Per questo le rocce metamorfiche possono essere facilmente suddivise in lastre sottili seguendo i piani di scistosità.
Il SERPENTINO è facilmente riconoscibile dal colore verde più o meno scuro. Deriva da un ambiente metamorfico di basso grado ricco d’acqua, di silicati di magnesio (olivine), pirosseni e anfiboli. Le rocce serpentinose hanno impieghi in edilizia. La varietà fibrosa “amianto di serpentino” è un ottimo isolante termico e acustico.
La crosta terrestre è costituita da rocce, cioè grandi ammassi di materiale che hanno caratteristiche fisico-chimiche proprie e sono costituite da aggregati di minerali in proporzioni abbastanza costanti.
Le rocce vengono classificate in base alla loro composizione mineralogica e alla loro origine, per cui la distinzione fondamentale è tra le rocce ignee, sedimentarie e metamorfiche.
ROCCE IGNEE (ERUTTIVE O MAGMATICHE)
Si formano dal consolidamento (solidificazione) di un magma che consiste in una roccia fusa presente all’interno della Terra. La roccia ignea così generata ha composizione e aspetto diversi in rapporto alle caratteristiche fisico-chimiche dei magmi e al luogo dove i magmi si solidificano. La sostanza chimica più comune dei magmi è la silice (SiO2) e , in base alla quantità di silice presente, si distinguono magmi acidi, intermedi e basici nei quale si trova una quantità di silice decrescente.
Se il magma si consolida in profondità, al di sotto di altre rocce, il passaggio dallo stato fluido a quello solido è lento, il calore si disperde lentamente, in milioni di anni e la pressione rimane elevata a lungo. Gli ioni della massa fusa hanno il tempo di organizzarsi in reticoli cristallini dando origine a minerali ben definiti. Tali sono le rocce di tipo intrusivo.
Se il magma consolida, invece, in superficie, effuso in una colata lavica da un vulcano, la massa fusa pietrifica rapidamente perché il calore si irradia rapidamente nell’atmosfera e, inoltre, la pressione è bassa , pari a un atmosfera. Gli ioni del magma non hanno il tempo di formare reticoli e formare cristalli ma danno origine a una pasta amorfa , come il vetro, nella quali possono formarsi piccoli cristalli talora incompleti. Queste rocce sono di tipo effusivo.
Rocce intrusive:
GRANITO : è una roccia molto comune che affiora su una parte consistente della crosta terrestre. Sono di granito il massiccio del Monte Bianco, del Gran Paradiso, del Monte Rosa. E’ una roccia ignea intrusiva di tipo acido (alta quantità di silice). Le rocce di tale tipo sono generalmente di colore chiaro. I minerali sempre presenti nel granito sono il quarzo (SiO2) di colore bianco, l’ortoclasio un silicato di potassio e alluminio di colore beige, il plagioclasio un silicato di sodio e calcio di colore scuro, la mica un silicato complesso contenente potassio,magnesio e ferro. I cristalli dei vari minerali sono ben visibile (fenocristalli) , le varietà di granito sono da mettere in relazione alla presenza di costituenti accessori e alla composizione chimica percentuale.
DIORITE: è simile al granito ma più scura, è infatti una roccia ignea intrusiva di tipo intermedio (quantità intermedia di silice). Contiene plagioclasi scuri (come il granito) e anfiboli e pirosseni , silicati che formano catene singole o doppie. Manca il quarzo.
Rocce effusive:
PORFIDO: con questo nome si comprendono diversi tipi di rocce ignee effusive acide come la riolite. Sono presenti fenocristalli immersi in una pasta vetrosa e amorfa. Deriva da colate laviche che consolidano in superficie. I porfidi italiani più noti sono di colore rosso chiaro e rosso violaceo e vengono utilizzati per pavimentare le strade e piazze. La pomice è un altro tipo comune di roccia effusiva acida.
BASANITE: roccia ignea effusiva di tipo basico. I basalti sono le rocce più diffuse al mondo; formano interi pavimenti oceanici. Il colore è tipicamente scuro (roccia basica). La struttura è vetrosa. Molte vie di Roma vengono lastricate con questa roccia (sanpietrini).
ROCCE SEDIMENTARIE
Circa il 75% della superficie terrestre è formata da rocce di questo tipo e formano un velo molto sottile di roccia. L’origine delle rocce sedimentarie è legata alla deposizione (sedimentazione) di materiali solidi in un bacino sedimentario , che può essere un fondale marino o lacustre, il letto di un fiume, il fronte di un ghiacciaio, le dune costiere e altri ambienti della terraferma come ad esempio il deserto.
Talvolta i sedimenti si conservano così come sono stati depositati (sedimenti incoerenti) come nel caso delle sabbie e delle ghiaie. Di solito, però, i sedimenti vanno incontro a processi complessi (diagenesi) che trasforma i sedimenti in roccia. Tale litificazione può richiedere tempi molto lunghi in dipendenza dal tipo di sedimento e dalla velocità di sedimentazione. Per esempio la velocità di sedimentazione media nei fondali oceanici è di un metro ogni milione di anni. Nell’ambiente di sedimentazione, i materiali depositati vengono via via sepolti da nuovi sedimenti che li schiacciano con il loro peso. Succede inoltre che i sedimenti sprofondino man mano che si depositano, spesso circa alla stessa velocità con cui si formano.
La classificazione più semplice delle rocce sedimentarie usa come criterio l’origine del materiale del sedimento da cui è derivata la roccia. Si distinguono quindi i seguenti gruppi:
- Rocce clastiche ( o detritiche): costituiscono la maggior parte delle rocce sedimentarie e sono prodotte dalla deposizione di materiale proveniente dalla disgregazione di altre rocce per azione di agenti come il gelo, le acque correnti e il vento. In questo gruppo rientrano i CONGLOMERATI come le BRECCE (con spigoli vivi) E LE PUDDINGHE (con spigoli arrotondati) ottenuti dalla cementazione di ghiaie ben visibili. Di solito provengono dalla cementazione di ghiaie costiere, di depositi fluviali o fluvioglaciali. Altre rocce comuni di tipo clastico sono le ARENARIE e le ARGILLE dove la dimensione dei granuli cementati è inferiore a quella dei conglomerati (i granuli non sono visibili).
- Rocce piroclastiche: derivano dalla deposizione e litificazione di ceneri e lapilli provenienti dai vulcani esplosivi. Le ceneri spossono essere trasportate dal vento molto lontano dal vulcano che le ha eruttate prima di sedimentarsi. La roccia piroclastica più tipica è il TUFO molto diffuso nell’Italia centrale (sottosuolo di Roma e Napoli). E’ frequente in questo tipo di roccia la presenza di cavità che la rendono inadatta per costruirvi grossi insediamenti urbani.
- Rocce di origine chimica o evaporiti: derivano dalla precipitazione di sali minerali, come GESSO E SALGEMMA, dall’acqua di un bacino marino in fase di evaporazione. L’ALABASTRO è una roccia di origine chimica formata da successivi veli di carbonato di calcio , depostisi all’aria libera per precipitazione di carbonato di calcio da acqua sovrassature di tale composto. I veli sono in parte bianchi (puri) e in parte colorati da pigmenti di ossido di ferro. E’ una delle più belle rocce ornamentali anche per la sua trasparenza alla luce.
- Rocce organogene: derivano dall’accumulo e cementazione di materiale di origine organico che sopravvive alla degradazione . Si pensi ad esempio alle conchiglie marine. Tra le più comuni rocce organogene citiamo i CALCARI costituiti quasi esclusivamente da carbonato di calcio (CaCO3) e di solito stratificati. Derivano dall’accumulo di gusci di scheletri mescolati con granuli di rocce calcaree preesistenti o da calcare di precipitazione chimica, il tutto cementato da processi di diagenesi. Vi sono però animali (come coralli e spugne) che costruiscono edifici non stratificati, come le barriere coralline, , in questo caso i resti fossili mantengono la struttura originaria. Le Dolomiti sono in gran parte costituite da DOLOMITE in cui una parte del calcio è stata sostituita da magnesio ( CaMg(CO3)2) , praticamente scogliere coralline fossili risalenti a circa 200 milioni di anni fa.
ROCCE METAMORFICHE
Ogni roccia, come i minerali che la compongono, si mantiene integra finché non cambiano le condizioni di temperatura e pressione nelle quali si è formata. Quando invece queste cambiano, essa tende ad adattarsi alle nuove condizioni metamorfosandosi in un’altra roccia. Il metamorfismo, cioè il cambiamento, riguarda sempre litologie allo stato solido ( perché i processi che avvengono in materiali fusi sono di competenza del magmatismo) e temperature superiori ai 150°C circa. Durante il metamorfismo la composizione generale chimica della roccia non cambia, mentre è modificata quella dei singoli minerali. Si tratta di fenomeni di ricristallizzazione e di reazioni chimiche tra minerali , che però rimangono allo stato solido. Praticamente avviene un rimescolamento a freddo degli elementi componenti: alla fine è nato un nuovo tipo di roccia. Con il variare delle condizioni di temperatura e pressioni si hanno diversi tipi di metamorfismo. Per esempio il MARMO deriva dalla metamorfosi di un calcare abbastanza puro (roccia sedimentaria) in cui, per effetto dell’aumento della temperatura, i minuti cristalli di calcite ricristallizzano formando cristalli di dimensioni maggiori. Il marmo è quindi ancora costituito da calcite (CaCO3) ma ha una grana di maggiori dimensioni.
Un indizio per riconoscere una roccia metamorfica è dato dalla presenza di una struttura scistosa cioè con cristalli allungati in una sola direzione e disposti in piani circa paralleli. Per questo le rocce metamorfiche possono essere facilmente suddivise in lastre sottili seguendo i piani di scistosità.
Il SERPENTINO è facilmente riconoscibile dal colore verde più o meno scuro. Deriva da un ambiente metamorfico di basso grado ricco d’acqua, di silicati di magnesio (olivine), pirosseni e anfiboli. Le rocce serpentinose hanno impieghi in edilizia. La varietà fibrosa “amianto di serpentino” è un ottimo isolante termico e acustico.
venerdì 9 maggio 2008
Infarto del miocardio
Caratteristiche:
L’infarto del miocardio è la necrosi del tessuto cardiaco causata da un’interruzione o diminuzione dell’irrorazione sanguigna arteriosa. L’occlusione trombotica delle arterie costituenti la circolazione coronarica (arterie coronarie che nascono dalla radice dell’aorta) costituisce la causa principale, ma non l’unica d’infarto: altre cause sono rappresentate da : spasmo coronario (ad esempio abuso di cocaina), malattie infiammatorie (come LES, rigetto da trapianto cardiaco, aortiti).
L’infarto del miocardio affligge prevalentemente i maschi (con fattore 4 a1 ) tra i 40 e i 60 anni di vita. Il fattore di rischio per le donne aumenta con la menopausa, arrivando al livello di quello maschile dopo i 50-60 anni. I fattori di rischio sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo, l’obesità e ipercolesterolemia.
Sintomi:
Il dolore è il sintomo più comune; talvolta è così intenso da essere descritto come il peggior dolore mai provato. Dal punto di vista qualitativo è simile a quello dell’angina pectoris, ma di solito è più intenso e prolungato spesso accompagnato da nausea e sudorazione profusa. Abitualmente interessa la regione precordiale (regione mammaria sinistra) ed in alcuni casi si irradia alle braccia. Altre zone meno comuni di irradiazione sono il collo, la mandibola, l’addome, il dorso. Non si irradia mai al di sotto dell’ombelico. Spesso è accompagnato da astenia (riduzione della forza muscolare che porta a movimenti eseguiti con lentezza e con poca energia), sudorazioni , nausea, vomito, tremori e soprattutto ansietà: un paziente con un infarto non è mai tranquillo.
Anche se i dolore è il sintomo più frequente, nel 25% dei casi non è presente
Diagnosi:
La diagnosi di infarto miocardico acuto non è solo elettrocardiografia, è importante anche l’aspetto clinico e i marker sierologici, infatti in seguito all’infarto viene rilasciata nel sangue una gran quantità di proteine dai tessuti muscolari necrotici denominate marker cardiaci serici (Creatinfosfatochinasi, TroponinaT, Mioglobina)
Esiste anche un aumento dei globuli bianchi 2 ore dopo un infarto, la VES rimane generalmente normale per 1 o 2 giorni con un picco al quinto giorno e rimane elevata per settimane
Terapia:
Il trattamento immediato , o sintomatico, è volto a ridurre il dolore e a prevenire l’estensione della lesione cardiaca (terapia con ossigeno, morfina, aspirina). Nella seconda fase rientrano trattamenti successivi ma volti a risolvere il trombo attraverso farmaci trombolitici che ripristinano il flusso di sangue nelle coronarie. Essa va effettuata quanto più precocemente possibile, possibilmente entro un’ora e non oltre le 12 ore dall’insorgenza dei sintomi.
Attualmente esistono altre strategie di rivascolarizzazione miocardia più invasive ma più efficaci. L’esame coronarografico e il successivo trattamento delle stenosi coronariche tramite angioplastica sono ad oggi le terapie di elezione per i pazienti con infarto miocardico. L’esame coronarografico fornisce anche informazioni anatomiche importanti per il successivo intervento di bypass aorto coronario ( creazione di un nuovo percorso per il flusso ematico del cuore)
L’infarto del miocardio è la necrosi del tessuto cardiaco causata da un’interruzione o diminuzione dell’irrorazione sanguigna arteriosa. L’occlusione trombotica delle arterie costituenti la circolazione coronarica (arterie coronarie che nascono dalla radice dell’aorta) costituisce la causa principale, ma non l’unica d’infarto: altre cause sono rappresentate da : spasmo coronario (ad esempio abuso di cocaina), malattie infiammatorie (come LES, rigetto da trapianto cardiaco, aortiti).
L’infarto del miocardio affligge prevalentemente i maschi (con fattore 4 a1 ) tra i 40 e i 60 anni di vita. Il fattore di rischio per le donne aumenta con la menopausa, arrivando al livello di quello maschile dopo i 50-60 anni. I fattori di rischio sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo, l’obesità e ipercolesterolemia.
Sintomi:
Il dolore è il sintomo più comune; talvolta è così intenso da essere descritto come il peggior dolore mai provato. Dal punto di vista qualitativo è simile a quello dell’angina pectoris, ma di solito è più intenso e prolungato spesso accompagnato da nausea e sudorazione profusa. Abitualmente interessa la regione precordiale (regione mammaria sinistra) ed in alcuni casi si irradia alle braccia. Altre zone meno comuni di irradiazione sono il collo, la mandibola, l’addome, il dorso. Non si irradia mai al di sotto dell’ombelico. Spesso è accompagnato da astenia (riduzione della forza muscolare che porta a movimenti eseguiti con lentezza e con poca energia), sudorazioni , nausea, vomito, tremori e soprattutto ansietà: un paziente con un infarto non è mai tranquillo.
Anche se i dolore è il sintomo più frequente, nel 25% dei casi non è presente
Diagnosi:
La diagnosi di infarto miocardico acuto non è solo elettrocardiografia, è importante anche l’aspetto clinico e i marker sierologici, infatti in seguito all’infarto viene rilasciata nel sangue una gran quantità di proteine dai tessuti muscolari necrotici denominate marker cardiaci serici (Creatinfosfatochinasi, TroponinaT, Mioglobina)
Esiste anche un aumento dei globuli bianchi 2 ore dopo un infarto, la VES rimane generalmente normale per 1 o 2 giorni con un picco al quinto giorno e rimane elevata per settimane
Terapia:
Il trattamento immediato , o sintomatico, è volto a ridurre il dolore e a prevenire l’estensione della lesione cardiaca (terapia con ossigeno, morfina, aspirina). Nella seconda fase rientrano trattamenti successivi ma volti a risolvere il trombo attraverso farmaci trombolitici che ripristinano il flusso di sangue nelle coronarie. Essa va effettuata quanto più precocemente possibile, possibilmente entro un’ora e non oltre le 12 ore dall’insorgenza dei sintomi.
Attualmente esistono altre strategie di rivascolarizzazione miocardia più invasive ma più efficaci. L’esame coronarografico e il successivo trattamento delle stenosi coronariche tramite angioplastica sono ad oggi le terapie di elezione per i pazienti con infarto miocardico. L’esame coronarografico fornisce anche informazioni anatomiche importanti per il successivo intervento di bypass aorto coronario ( creazione di un nuovo percorso per il flusso ematico del cuore)
Angina pectoris
Caratteristiche:
L’angina pectoris è una sindrome provocata dall’insufficiente ossigenazione del muscolo cardiaco a causa di una transitoria diminuzione del flusso sanguigno attraverso le arterie coronarie. Rientrando pienamente nel quadro delle ischemie, la motivazione principale di questo fenomeno è da rinvenire nell’ostruzione di un vaso ad opera di una placca aterosclerotica.
Il quadro ischemico è normalmente causa dell’accumulo di metaboliti tossici nel muscolo cardiaco in grado di scatenare un dolore, caratterizzato da un senso di profonda oppressione o costrizione, normalmente dislocato in zona retrosternale e della durata di pochi minuti.
Frequenti sono le irradiazioni del dolore al braccio sinistro, alle scapole, alla mandibola o alla bocca dello stomaco. Spesso il fattore scatenante è un’attività che ha comportato un aumento dell’attività cinetica del cuore e della velocità del flusso sanguigno all’interno delle arterie coronariche (uno sforzo, un’emozione e perfino un pasto importante)
E’ possibile dividere l’angina pectoris classica in stabile e instabile: la prima è cronica e spesso prevedibile tanto nella sua frequenza, insorgenza ed intensità; la seconda è meno prevedibile ed afflitta da un quadro crescente in termini di frequenza ed intensità.
Un quadro clinico più raro e preoccupante è rappresentato invece dall’ angina pectoris variante la cui peculiarità è rappresentata dall’insorgenza di attacchi in condizioni di riposo e non durante l’aumento di attività cinetica del cuore.
Diagnosi:
La diagnosi si avvale di diversi strumenti a crescente livello di completezza: l’elettrocardiogramma non è in grado, a meno che non venga praticato durante una crisi, di rilevare l’esistenza di un quadro di angina pectoris; performance migliori può darle l’impiego dell’holter (ECG continuo di 24 ore). Gli strumenti elettivi restano però l’ECG sotto sforzo ed in particolare la coronarografia e l’angiocardiografia (visualizzazione radiografica di arterie e camere cardiache)
Terapia:
La scelta del trattamento stabilita in relazione al tipo di angina diagnosticato e dall’eventuale compresenza di altre malattie. Importanza primaria è data dalla cessazione di comportamenti a rischio come fumare, nutrirsi smodatamente oltre che al controllo della pressione sanguigna e dello stress. Importante è anche la correzione di situazione predisponesti quali vizi alveolari, aritmie e problemi tiroidei.
La terapia medica si avvale di numerosi farmaci operanti tanto a livello emodinamico quanto ritmico. Anche l’acido acetilsalicilico (l’aspirina) trova impiego nella terapia di questa patologia.
Il trattamento chirurgico, quando necessario, è orientato all’angioplastica coronaria, in particolare l’uso di stent (struttura metallica cilindrica a maglie che viene introdotta nel lume dell’arteria e viene fatta espandere a livello dell’ostruzione riducendo la stenosi) e bypass aortocoronarico.
L’angina pectoris è una sindrome provocata dall’insufficiente ossigenazione del muscolo cardiaco a causa di una transitoria diminuzione del flusso sanguigno attraverso le arterie coronarie. Rientrando pienamente nel quadro delle ischemie, la motivazione principale di questo fenomeno è da rinvenire nell’ostruzione di un vaso ad opera di una placca aterosclerotica.
Il quadro ischemico è normalmente causa dell’accumulo di metaboliti tossici nel muscolo cardiaco in grado di scatenare un dolore, caratterizzato da un senso di profonda oppressione o costrizione, normalmente dislocato in zona retrosternale e della durata di pochi minuti.
Frequenti sono le irradiazioni del dolore al braccio sinistro, alle scapole, alla mandibola o alla bocca dello stomaco. Spesso il fattore scatenante è un’attività che ha comportato un aumento dell’attività cinetica del cuore e della velocità del flusso sanguigno all’interno delle arterie coronariche (uno sforzo, un’emozione e perfino un pasto importante)
E’ possibile dividere l’angina pectoris classica in stabile e instabile: la prima è cronica e spesso prevedibile tanto nella sua frequenza, insorgenza ed intensità; la seconda è meno prevedibile ed afflitta da un quadro crescente in termini di frequenza ed intensità.
Un quadro clinico più raro e preoccupante è rappresentato invece dall’ angina pectoris variante la cui peculiarità è rappresentata dall’insorgenza di attacchi in condizioni di riposo e non durante l’aumento di attività cinetica del cuore.
Diagnosi:
La diagnosi si avvale di diversi strumenti a crescente livello di completezza: l’elettrocardiogramma non è in grado, a meno che non venga praticato durante una crisi, di rilevare l’esistenza di un quadro di angina pectoris; performance migliori può darle l’impiego dell’holter (ECG continuo di 24 ore). Gli strumenti elettivi restano però l’ECG sotto sforzo ed in particolare la coronarografia e l’angiocardiografia (visualizzazione radiografica di arterie e camere cardiache)
Terapia:
La scelta del trattamento stabilita in relazione al tipo di angina diagnosticato e dall’eventuale compresenza di altre malattie. Importanza primaria è data dalla cessazione di comportamenti a rischio come fumare, nutrirsi smodatamente oltre che al controllo della pressione sanguigna e dello stress. Importante è anche la correzione di situazione predisponesti quali vizi alveolari, aritmie e problemi tiroidei.
La terapia medica si avvale di numerosi farmaci operanti tanto a livello emodinamico quanto ritmico. Anche l’acido acetilsalicilico (l’aspirina) trova impiego nella terapia di questa patologia.
Il trattamento chirurgico, quando necessario, è orientato all’angioplastica coronaria, in particolare l’uso di stent (struttura metallica cilindrica a maglie che viene introdotta nel lume dell’arteria e viene fatta espandere a livello dell’ostruzione riducendo la stenosi) e bypass aortocoronarico.
Artrite reumatoide
Incidenza e caratteristiche:
Le donne sono colpite più degli uomini (rapporto 3:1). E’ una malattia frequente: circa lo 0.6% della popolazione in Italia è colpita da AR. E’ una malattia che, se non curata, induce invalidità conseguente alla perdita della capacità di usare le articolazioni.
In alcun soggetti sono colpiti organi ed apparati non scheletrici (cute, occhio, polmone, rene, cuore). L’infiammazione cronica e sistemica dell’AR induce un invecchiamento precoce del sistema cardio-vascolare. Ciò è responsabile della riduzione dell’aspettativa di vita dei soggetti portatori di AR.
Colpisce ogni età evolutiva, ma il picco d’incidenza massimo è tra i 35 e 50 anni.
La causa non è conosciuta, la genesi della malattia è probabilmente multifattoriale
Si ritiene che esista una predisposizione genetica allo sviluppo della malattia (terreno genetico predisponente). Le caratteristiche genetiche di questi soggetti li predispongono ad una alterata risposta immunitaria a taluni agenti ambientali (virus, batteri, ecc.), con innesco di reazioni infiammatorie a catena, non controllate dallo stesso sistema immunitario.
Numerose sono le alterazioni della risposta immunitaria e l’anomala attivazione delle cellule T-helper nella membrana sinoviale ha un ruolo centrale. Queste cellule riconoscono le molecole estranee (antigeni) in associazione a molecole proprie (HLA) presentate dalle cellule deputate a questa funzione. Questo riconoscimento associativo tra “proprio” ed “estraneo” induce l’attivazione dei linfociti T-helper che sono in grado di proliferare e di produrre fattori solubili (interleuchine o citochine) che regolano la funzione di numerose altre cellule (linfociti B, che producono anticorpi, monociti, linfociti citotossici, linfociti soppressori…). Si innesca cioè in tutta la sua potenza la riposta immunitaria all’antigene.
Nei soggetti portatori di Artrite Reumatoide sono state individuate numerose particolarità genetiche nel sistema HLA, del repertorio recettoriale dei linfociti T, dei meccanismi di liberazione della produzione di citochine.
L’alterata risposta immunitaria conduce ad infiammazione sinoviale con conseguente proliferazione cellulare (panno sinoviale). Il panno sinoviale, ricco di enzimi proteolitici, intacca la cartilagine articolare distruggendola.
Sintomi e Diagnosi:
Le caratteristiche di esordio e di evoluzione dell’AR sono molto diverse tra i soggetti colpiti. Ogni malato, si può dire, ha la sua malattia. Tuttavia a prescindere dalle particolarità di ogni singolo individuo, si possono descrivere sintomi e segni comuni. Ne citiamo alcuni della fase precoce: Dolore alle mani e prolungata (oltre 1 ora) che si riduce col movimento e riscaldamento delle articolazioni. Febbricola, malessere e astenia non sono infrequenti.
La diagnosi nelle fasi iniziali della malattia è squisitamente clinica. Non esistono esami di laboratorio che possano fare, da soli, diagnosticare l’AR. La concomitante presenza di questi sintomi e segni permette la diagnosi con significativa specificità e sensibilità.
Sono pochi gli esami di laboratorio e strumentali richiesti e conseguentemente scarsi i costi necessari alla convalida della diagnosi.
Il Fattore Reumatoide (FR) può essere rilevato nel siero di soggetti senza AR. Si tratta di un anticorpo, generalmente di isotipo IgM (meno frequentemente può essere IgG) , è rilevabile in circa il 70% dei casi di AR; all’esordio solo la metà dei pazienti presenta il fattore AR e può essere osservata in un ulteriore 20% dei pazienti nel corso del primo anno di malattia.
Si osservano alterazioni anatomiche delle articolazioni osservabili mediante radiografia convenzionale.
Terapia:
Considerando che l’AR è una malattia cronica, perdurante cioè per l’intera vita, capace di alterare seriamente la funzione articolare, è chiaro che i provvedimenti da prendere dovranno essere articolati su più piani.
a) Informazione del paziente: Revisione del suo stile di vita. Consigliabile un sano regime di vita, includente un’attenzione alla dieta (evitare il sovrappeso) , alle abitudini voluttuarie (fumo, alcool).
b) Fare una ginnastica di mantenimento (fisiocinesiterapia), mantenersi in forma e volgere un’attività fisica non logorante le articolazioni (ideale il nuoto in piscina, sconsigliato invece il tennis)
c) Farmaci Anti-Infiammatori Non Steroidei (FANS) e Corticosteroidi. Sia i FANS che i cortisonici sono di certo in grado di attenuare , o correggere anche completamente in certi casi, lo stato infiammatorio articolare, ma non sono in grado di modificare per nulla l’evoluzione della malattia. Hanno comunque un ampio uso, specie per superare sintomatologie particolarmente acute.
Le donne sono colpite più degli uomini (rapporto 3:1). E’ una malattia frequente: circa lo 0.6% della popolazione in Italia è colpita da AR. E’ una malattia che, se non curata, induce invalidità conseguente alla perdita della capacità di usare le articolazioni.
In alcun soggetti sono colpiti organi ed apparati non scheletrici (cute, occhio, polmone, rene, cuore). L’infiammazione cronica e sistemica dell’AR induce un invecchiamento precoce del sistema cardio-vascolare. Ciò è responsabile della riduzione dell’aspettativa di vita dei soggetti portatori di AR.
Colpisce ogni età evolutiva, ma il picco d’incidenza massimo è tra i 35 e 50 anni.
La causa non è conosciuta, la genesi della malattia è probabilmente multifattoriale
Si ritiene che esista una predisposizione genetica allo sviluppo della malattia (terreno genetico predisponente). Le caratteristiche genetiche di questi soggetti li predispongono ad una alterata risposta immunitaria a taluni agenti ambientali (virus, batteri, ecc.), con innesco di reazioni infiammatorie a catena, non controllate dallo stesso sistema immunitario.
Numerose sono le alterazioni della risposta immunitaria e l’anomala attivazione delle cellule T-helper nella membrana sinoviale ha un ruolo centrale. Queste cellule riconoscono le molecole estranee (antigeni) in associazione a molecole proprie (HLA) presentate dalle cellule deputate a questa funzione. Questo riconoscimento associativo tra “proprio” ed “estraneo” induce l’attivazione dei linfociti T-helper che sono in grado di proliferare e di produrre fattori solubili (interleuchine o citochine) che regolano la funzione di numerose altre cellule (linfociti B, che producono anticorpi, monociti, linfociti citotossici, linfociti soppressori…). Si innesca cioè in tutta la sua potenza la riposta immunitaria all’antigene.
Nei soggetti portatori di Artrite Reumatoide sono state individuate numerose particolarità genetiche nel sistema HLA, del repertorio recettoriale dei linfociti T, dei meccanismi di liberazione della produzione di citochine.
L’alterata risposta immunitaria conduce ad infiammazione sinoviale con conseguente proliferazione cellulare (panno sinoviale). Il panno sinoviale, ricco di enzimi proteolitici, intacca la cartilagine articolare distruggendola.
Sintomi e Diagnosi:
Le caratteristiche di esordio e di evoluzione dell’AR sono molto diverse tra i soggetti colpiti. Ogni malato, si può dire, ha la sua malattia. Tuttavia a prescindere dalle particolarità di ogni singolo individuo, si possono descrivere sintomi e segni comuni. Ne citiamo alcuni della fase precoce: Dolore alle mani e prolungata (oltre 1 ora) che si riduce col movimento e riscaldamento delle articolazioni. Febbricola, malessere e astenia non sono infrequenti.
La diagnosi nelle fasi iniziali della malattia è squisitamente clinica. Non esistono esami di laboratorio che possano fare, da soli, diagnosticare l’AR. La concomitante presenza di questi sintomi e segni permette la diagnosi con significativa specificità e sensibilità.
Sono pochi gli esami di laboratorio e strumentali richiesti e conseguentemente scarsi i costi necessari alla convalida della diagnosi.
Il Fattore Reumatoide (FR) può essere rilevato nel siero di soggetti senza AR. Si tratta di un anticorpo, generalmente di isotipo IgM (meno frequentemente può essere IgG) , è rilevabile in circa il 70% dei casi di AR; all’esordio solo la metà dei pazienti presenta il fattore AR e può essere osservata in un ulteriore 20% dei pazienti nel corso del primo anno di malattia.
Si osservano alterazioni anatomiche delle articolazioni osservabili mediante radiografia convenzionale.
Terapia:
Considerando che l’AR è una malattia cronica, perdurante cioè per l’intera vita, capace di alterare seriamente la funzione articolare, è chiaro che i provvedimenti da prendere dovranno essere articolati su più piani.
a) Informazione del paziente: Revisione del suo stile di vita. Consigliabile un sano regime di vita, includente un’attenzione alla dieta (evitare il sovrappeso) , alle abitudini voluttuarie (fumo, alcool).
b) Fare una ginnastica di mantenimento (fisiocinesiterapia), mantenersi in forma e volgere un’attività fisica non logorante le articolazioni (ideale il nuoto in piscina, sconsigliato invece il tennis)
c) Farmaci Anti-Infiammatori Non Steroidei (FANS) e Corticosteroidi. Sia i FANS che i cortisonici sono di certo in grado di attenuare , o correggere anche completamente in certi casi, lo stato infiammatorio articolare, ma non sono in grado di modificare per nulla l’evoluzione della malattia. Hanno comunque un ampio uso, specie per superare sintomatologie particolarmente acute.
mercoledì 7 maggio 2008
La creatura di Craig Venter
Spara quella che potrebbe essere la scoperta scientifica del secolo in un’intervista al Guardian, ma poi, saggiate le reazioni di stupore misto a scetticismo, fa parziale marcia indietro. Così Craig Venter, pioniere della genomica e sequenziatore del genoma umano, ha promesso che sarà su una autorevole rivista scientifica e non su un quotidiano che verranno pubblicati i risultati del suo studio sulla cellula minima.
La creazione della vita artificiale non sarebbe ancora stata realizzata, ma di certo la tecnica messa a punto da Venter e compagni (che viene illustrata a un convegno che si tiene a San Diego in questi giorni) ha enormi potenzialità. La creazione di un cromosoma sintetico a partire dal dna di un batterio molto semplice, il Mycoplasma genitalium, ulteriormente semplificato “liberandolo” dei geni non essenziali, comporta la possibilità di creare cellule in grado di svolgere un ampio spettro di funzioni. Le applicazioni sarebbero molteplici: il passaggio dalla semplice lettura del codice genetico alla sua scrittura, come ha dichiarato Venter, è epocale.
Oltre allo scetticismo di chi ancora non crede che il biologo sia davvero riuscito nell’impresa, vi è la preoccupazione per gli impieghi potenziali di una simile scoperta. Certo, sarebbe possibile creare organismi “buoni” per mettere a punto nuovi farmaci, per soccorrere l’ambiente (batteri in grado di assorbire le emissioni che causano l’effetto serra) e anche per fornire nuove fonti di energia pulita (con la creazione di carburanti non inquinanti). Ma nelle mani sbagliate il cromosoma artificiale può trasformarsi in una fabbrica di armi biologiche. La perplessità del mondo accademico riguarda il personaggio, prima ancora della sua creatura, il Mycoplasma laboratorium. Venter infatti è noto per avere pochi scrupoli nell’utilizzo delle sue scoperte. Lo dimostra il fatto che parte del genoma umano sequenziato dalla sua Celera Genomics, in concorrenza con il consorzio pubblico che stava facendo lo stesso lavoro nel 2001, è coperto da brevetto. In pratica parecchi dei nostri geni appartengono al signor Venter.
La creazione della vita artificiale non sarebbe ancora stata realizzata, ma di certo la tecnica messa a punto da Venter e compagni (che viene illustrata a un convegno che si tiene a San Diego in questi giorni) ha enormi potenzialità. La creazione di un cromosoma sintetico a partire dal dna di un batterio molto semplice, il Mycoplasma genitalium, ulteriormente semplificato “liberandolo” dei geni non essenziali, comporta la possibilità di creare cellule in grado di svolgere un ampio spettro di funzioni. Le applicazioni sarebbero molteplici: il passaggio dalla semplice lettura del codice genetico alla sua scrittura, come ha dichiarato Venter, è epocale.
Oltre allo scetticismo di chi ancora non crede che il biologo sia davvero riuscito nell’impresa, vi è la preoccupazione per gli impieghi potenziali di una simile scoperta. Certo, sarebbe possibile creare organismi “buoni” per mettere a punto nuovi farmaci, per soccorrere l’ambiente (batteri in grado di assorbire le emissioni che causano l’effetto serra) e anche per fornire nuove fonti di energia pulita (con la creazione di carburanti non inquinanti). Ma nelle mani sbagliate il cromosoma artificiale può trasformarsi in una fabbrica di armi biologiche. La perplessità del mondo accademico riguarda il personaggio, prima ancora della sua creatura, il Mycoplasma laboratorium. Venter infatti è noto per avere pochi scrupoli nell’utilizzo delle sue scoperte. Lo dimostra il fatto che parte del genoma umano sequenziato dalla sua Celera Genomics, in concorrenza con il consorzio pubblico che stava facendo lo stesso lavoro nel 2001, è coperto da brevetto. In pratica parecchi dei nostri geni appartengono al signor Venter.
domenica 4 maggio 2008
I Classico A: Assegno Di Biologia Per Lunedì 05 Maggio
Ripasso degli argomenti per il compito in classe di Lunedì 28/04/08
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