AIDS è l’acronimo di Acquired Immune Deficiency Sindrome o, in italiano, sindrome da immunodeficienza acquisita e con esso si definisce la sindrome in cui si riscontra un insieme di manifestazioni dovute alla deplezione (diminuzione) di linfociti T.
In queste manifestazioni sono comprese infezioni da microrganismi rari o non patogeni ed insorgenza di tumori sia comuni nella popolazione generale sia caratteristici delle persone immunocompromesse sia peculiari di chi presenta tale sindrome. L’AIDS è causato dal virus HIV.
La sindrome (sindrome: è un insieme di sintomi che si manifestano insieme) è , allo stadio attuale delle cose, curabile con numerosi farmaci ma non guaribile, nel senso che non è possibile eradicare totalmente il virus dall’ospite. Le terapie odierne riescono ad abbassare la viremia (quantità di virus presente nel sangue) a livelli bassissimi o non rilevabili consentendo la rigenerazione dei linfociti e la prosecuzione di una vita esente dalle malattie opportunistiche che normalmente si presentano nelle persone non curate.
Nei paesi in cui le costose cure antiretrovirali e le cure per le infezioni opportunistiche e neoplastiche sono maggiormente disponibili la mortalità dell’AIDS è molto ridotta.
Epidemiologia:
Si pensa che la sindrome sia originata in Africa subsahariana per mutazione di un retrovirus animale, forse della scimmia, che nel XX secolo fu trasmesso alla popolazione umana diventando poi un’epidemia globale. Si stimano circa 25 milioni di morti dalla scoperta della sindrome, il che ne fa una delle più terribili epidemie della storia.
Nei paesi dell’Africa Subsahariana vi sono circa 25-28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione e più dei tre quarti delle donne.
Vie di trasmissione:
L’HIV si trasmette:
a) con il sangue (trasfusioni, scambio di siringhe fra tossicodipendenti)
b) con rapporti sessuali
c) durante il parto , per l’abbondante contatto del neonato col sangue della madre (il virus non riesce invece ad attraversare la placenta)
Non esistono altre vie di trasmissione
Patogenesi:
L’infezione virale provoca la comparsa di uno stato infiammatorio cronico che si risolve in un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Evento centrale nella patogenesi dell’infezione da HIV è l’interessamento della linea linfocitaria.
Effettivamente oltre alla riduzione numerica si notano anche vari fenomeni imputabili alla riduzione funzionale dei linfociti T
Quadro clinico:
Il momento dell’infezione può passare completamente inosservato oppure può manifestarsi una sindrome con ingrossamento linfonodale e sintomi infiammatori sistemici.
In circa la metà delle persone infettate dal virus dopo circa 3-6 settimane dal contatto si verificano faringite, febbre, linfoadenopatia, astenia, cefalea, sonnolenza e rush cutaneo morbilliforme.
La semplice sieropositività non è indice di malattia in atto, ma solo di avvenuto contagio; questa fase può durare anche molti anni poiché il virus impiega molto tempo a determinare i danni dell’organismo. La fase successiva è quella della LAS (linfoadenopatia sistemica) ed è caratterizzata dall’ingrossamento di più stazioni linfonodali senza altri sintomi clinici. Segue la fase di AIDS conclamato con graduale indebolimento e successive infezioni
Diagnosi:
La diagnosi di sieropositività viene effettuata mediante un test sul siero che ricerca gli anticorpi antivirus prodotti dall’individuo. In caso di riscontro di test positivo, si effettuano test più sofisticati di conferma per aver diagnosi di certezza. E’ anche possibile determinare la carica virale presente nel sangue (numero di copie virali).
Terapia:
Oltre la carica virale - soglia (300.000 copie virali), è utile iniziare immediatamente la terapia antivirale, una terapia precoce è in grado di ritardare significativamente l’insorgenza della fase conclamata dell’AIDS. Sono disponibili farmaci antiretrovirali (inibitori della trascrittasi inversa) dotati di buona efficacia e tollerabilità. Tuttavia la terapia attualmente non è ancora in grado di guarire completamente dalla malattia, perciò la principale arma per controllare il vaccino è la prevenzione.
domenica 18 maggio 2008
Ictus
Caratteristiche:
Detto anche colpo. I termini utilizzati per definire questa patologia rispecchiano la storia della medicina, si passa dal greco apoplessi, al latino ictus, all’inglese stroke, che significano tutti allo stesso modo “colpo”. Un termine italiano è “accidente cerebrovascolare”, che rientra nell’ambito delle sindromi vascolari acute, tra cui annoveriamo anche il TIA o attacco ischemico transitorio e l’emorragia cerebrale.
Secondo la definizione dell’OMS l’ictus è l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 oree ad esito infausto. L’ictus è un’emergenza medica e deve essere prontamente diagnosticato e trattato in un ospedale per l’elevato rischio di disabilità e di morte che esso comporta. La definizione di ictus comprende l’ictus ischemico, più frequente, e l’ictus emorragico, nel 15% dei casi
Ictus ischemico:
E’ una condizione caratterizzata dall’occlusione di un vaso (ischemia) a causa di una trombosi (formazione di un coagulo all’interno di un vaso sanguigno che ne ostruisce il lume) o di un’embolia ( ostruzione di un’arteria o di una vena con un corpo estraneo, detto embolo, che può essere un coagulo, una bolla d’aria, o altro) o, meno frequentemente, da un’improvvisa e greve riduzione della pressione del circolo ematico.
Ictus emorragico
O emorragia intracerebrale primaria, è una condizione determinata dalla presenza di un’emorragia intracerebrale non traumatica. L’emorragia è più frequentemente causata dall’ipertensione arteriosa
Ogni anno si verificano in Italia circa 196.000 casi di ictus, di cui il 20% è costituito da recidive. L’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10-12% di tutti i decessi per anno, rappresenta la principale causa d’invalidità e la seconda causa di demenza. L’incidenza dell’ictus aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni
Fattori di rischio e prevenzione primaria:
Molti fattori aumentano il rischio di ictus, alcuni di questi non possono essere modificati, principalmente l’età; altri fattori possono essere modificati con misure non farmacologiche o farmacologiche. Alcuni fattori fattori di rischio ben documentati sono: ipertensione arteriosa, alcune cardiopatie, diabete mellito, fumo di sigaretta, eccessivo consumo di alcool, ridotta attività fisica.
La prevenzione primaria per tutti, ma specialmente per le persone a rischio, si basa su un’educazione a stili di vita adeguati. La cessazione del fumo, svolgere una regolare attività fisica, meglio un’attività di tipo graduale di lieve intensità, di tipo aerobio (passeggiata a passo spedito) è indicata nella maggior parte dei giorni della settimana, preferibilmente ogni giorno. Mantenere un peso corporeo salutare, controllando l’apporto di grassi e dolciumi ed aumentando il consumo di frutta e verdura. Ridurre l’apporto di sale nella dieta , preferire i grassi vegetali a quelli animali ed utilizzarli preferibilmente a crudo. Mangiare pesce 2-3 volte a settimana, mangiare molta verdura e frutta e con regolarità cereali integrali e legumi.
Accanto a queste azioni preventive è previsto anche un trattamento medico che può ridurre il rischio di ictus.
Sintomi:
Quando si è colpiti da ictus improvvisamente compaiono varie combinazioni di questi disturbi: non si riesce a parlare nel modo corretto; perdere la forza in metà corpo; sentire de formicolii o perdere la sensibilità in metà corpo; non vedere bene in una metà del campo visivo; altri sintomi possono essere la maldestrezza, l’assenza di equilibrio e le vertigini; le emorragie più gravi si annunciano con un improvviso mal di testa (cefalea) che sembra un colpo di pugnale alla nuca.
L’ictus è una malattia grave e in alcuni casi non si supera la fase acuta e si muore durante le prime settimane. In altri casi si può avere un miglioramento una volta superata la fase acuta, in questo caso accade che le cellule lesionate in modo reversibile possono riprendere a funzionare. Inoltre nelle fasi acute dell’ictus, intorno alle aree lese il cervello si gonfia per effetto dell’edema. Quando l’edema si riduce il funzionamento delle aree sane riprende regolarmente. Infine altre aree sane dl cervello possono sostituire le funzioni di quelle lesionate. Le possibilità di recupero variano in relazione all’estensione della lesione e alla particolarità della zona colpita.. Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcune sperimentano solo disturbi lievi, altri invece portano gravi segni della malattia per mesi o per anni.
Diagnosi:
All’ingresso in ospedale vengono di solito svolti i seguenti esami: radiografia al torace, elettrocardiogramma, esami ematochimici (emocromo con piastrine, glicemia, elettroliti serici, creatinemia, azoto ureico, proteine totali, bilirubina, transaminasi, tempo di protrombina). Si esegue una tomografia computerizzata cerebrale (TAC). Nei pazienti con ictus in fase subacuta, la RM (risonanza magnetica) presenta dei vantaggi rispetto alla TAC in quanto permette di riconoscere infarti anche di piccole dimensioni
Detto anche colpo. I termini utilizzati per definire questa patologia rispecchiano la storia della medicina, si passa dal greco apoplessi, al latino ictus, all’inglese stroke, che significano tutti allo stesso modo “colpo”. Un termine italiano è “accidente cerebrovascolare”, che rientra nell’ambito delle sindromi vascolari acute, tra cui annoveriamo anche il TIA o attacco ischemico transitorio e l’emorragia cerebrale.
Secondo la definizione dell’OMS l’ictus è l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 oree ad esito infausto. L’ictus è un’emergenza medica e deve essere prontamente diagnosticato e trattato in un ospedale per l’elevato rischio di disabilità e di morte che esso comporta. La definizione di ictus comprende l’ictus ischemico, più frequente, e l’ictus emorragico, nel 15% dei casi
Ictus ischemico:
E’ una condizione caratterizzata dall’occlusione di un vaso (ischemia) a causa di una trombosi (formazione di un coagulo all’interno di un vaso sanguigno che ne ostruisce il lume) o di un’embolia ( ostruzione di un’arteria o di una vena con un corpo estraneo, detto embolo, che può essere un coagulo, una bolla d’aria, o altro) o, meno frequentemente, da un’improvvisa e greve riduzione della pressione del circolo ematico.
Ictus emorragico
O emorragia intracerebrale primaria, è una condizione determinata dalla presenza di un’emorragia intracerebrale non traumatica. L’emorragia è più frequentemente causata dall’ipertensione arteriosa
Ogni anno si verificano in Italia circa 196.000 casi di ictus, di cui il 20% è costituito da recidive. L’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10-12% di tutti i decessi per anno, rappresenta la principale causa d’invalidità e la seconda causa di demenza. L’incidenza dell’ictus aumenta progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni
Fattori di rischio e prevenzione primaria:
Molti fattori aumentano il rischio di ictus, alcuni di questi non possono essere modificati, principalmente l’età; altri fattori possono essere modificati con misure non farmacologiche o farmacologiche. Alcuni fattori fattori di rischio ben documentati sono: ipertensione arteriosa, alcune cardiopatie, diabete mellito, fumo di sigaretta, eccessivo consumo di alcool, ridotta attività fisica.
La prevenzione primaria per tutti, ma specialmente per le persone a rischio, si basa su un’educazione a stili di vita adeguati. La cessazione del fumo, svolgere una regolare attività fisica, meglio un’attività di tipo graduale di lieve intensità, di tipo aerobio (passeggiata a passo spedito) è indicata nella maggior parte dei giorni della settimana, preferibilmente ogni giorno. Mantenere un peso corporeo salutare, controllando l’apporto di grassi e dolciumi ed aumentando il consumo di frutta e verdura. Ridurre l’apporto di sale nella dieta , preferire i grassi vegetali a quelli animali ed utilizzarli preferibilmente a crudo. Mangiare pesce 2-3 volte a settimana, mangiare molta verdura e frutta e con regolarità cereali integrali e legumi.
Accanto a queste azioni preventive è previsto anche un trattamento medico che può ridurre il rischio di ictus.
Sintomi:
Quando si è colpiti da ictus improvvisamente compaiono varie combinazioni di questi disturbi: non si riesce a parlare nel modo corretto; perdere la forza in metà corpo; sentire de formicolii o perdere la sensibilità in metà corpo; non vedere bene in una metà del campo visivo; altri sintomi possono essere la maldestrezza, l’assenza di equilibrio e le vertigini; le emorragie più gravi si annunciano con un improvviso mal di testa (cefalea) che sembra un colpo di pugnale alla nuca.
L’ictus è una malattia grave e in alcuni casi non si supera la fase acuta e si muore durante le prime settimane. In altri casi si può avere un miglioramento una volta superata la fase acuta, in questo caso accade che le cellule lesionate in modo reversibile possono riprendere a funzionare. Inoltre nelle fasi acute dell’ictus, intorno alle aree lese il cervello si gonfia per effetto dell’edema. Quando l’edema si riduce il funzionamento delle aree sane riprende regolarmente. Infine altre aree sane dl cervello possono sostituire le funzioni di quelle lesionate. Le possibilità di recupero variano in relazione all’estensione della lesione e alla particolarità della zona colpita.. Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcune sperimentano solo disturbi lievi, altri invece portano gravi segni della malattia per mesi o per anni.
Diagnosi:
All’ingresso in ospedale vengono di solito svolti i seguenti esami: radiografia al torace, elettrocardiogramma, esami ematochimici (emocromo con piastrine, glicemia, elettroliti serici, creatinemia, azoto ureico, proteine totali, bilirubina, transaminasi, tempo di protrombina). Si esegue una tomografia computerizzata cerebrale (TAC). Nei pazienti con ictus in fase subacuta, la RM (risonanza magnetica) presenta dei vantaggi rispetto alla TAC in quanto permette di riconoscere infarti anche di piccole dimensioni
Talassemia
Caratteristiche:
L’Anemia mediterranea o Talassemia è una malattia ereditaria che è dovuta alla sequenza anomala di una delle catene dell’emoglobina, una proteina situata all’interno del globulo rosso e che ha il compito di trasportare l’ossigeno.
L’emoglobina è composta da 4 catene, uguali a due a due; in un individuo adulto il 96% dell’emoglobina è composta da catene alfa e catene beta, il 3% da catene alfa e catene delta, il restante 1% da catene alfa e catene gamma.
Esistono tre tipi di Talassemia chiamate alfa-Talassemia, beta-Talassemia e delta-beta-Talassemia a seconda se il difetto sia appunto a carico delle catene alfa, beta o delta e beta.
Le Taleassemie sono malattie recessive; gli omozigoti sono soggetti a crisi dovute alla menomata funzione dei globuli rossi, che sono più piccoli di quelli normali ed hanno una membrana leggermente deformata. L’eterozigosi pere la beta-Talasssemia è conosciuta in Italia e in altri paesi col nome di Microcitemia.
La patologia deve il suo nome alla particolare diffusione nei paesi mediterranei spiegabile con la scoperta che i portatori della malattia godono di un buon grado di immunità contro la malaria, che una volta era molto diffusa in queste zone, grazie al fatto che i loro globuli rossi hanno una vita più breve del normale e quindi rendono più difficile il completamento del ciclo riproduttivo del plasmodio della malaria.
I geni che codificano per la catena alfa sono sul cromosoma 16, e sono in numero di due per ogni cromosoma 16. Ogni individuo ha quindi quattro copie di geni per la catena alfa. La gravità della malattia è dovuta a quante di queste copie sono difettose o più spesso del tutto mancanti. La mancanza di tutte e quattro le copie porta ad una condizione non compatibile con la vita ed alla morte del feto.
Nella beta talassemia (anche chiamata morbo di Cooley) il difetto è invece a carico della catena beta, il cui gene è sul cromosoma 11. Anche per la beta talassemia il difetto può portare a diversi quadri clinici: una semplice diminuzione nella produzione della catena beta caratterizza lo stadio del portatore sano, un difetto maggiore porta alla condizione di “Talassemia intermedia”, mentre una mancanza totale di proteina configura la condizione di “Talassemia major”.
La Talassemia major è la condizione più grave: la malattia si manifesta in genere dopo pochi mesi di vita, e rende necessarie continue trasfusioni di sangue che devono essere effettuate ogni circa 15-30 giorni e per tutta la vita del soggetto. L’unica terapia curativa è il trapianto di midollo osseo, che sostituisce le cellule portatrici del difetto genetico con le cellule del donatore sano. Il trapianto di midollo osseo comporta dei rischi; infatti nel periodo prima dell’innesto del trapianto il malato deve essere sottoposto a chemioterapia, e in ogni fase del trapianto (che dura circa 1 anno) esiste un rischio di morte, il che porta alcuni talassemici a rinunciare ad intraprendere questa strada
Sintomi:
Le alfa- talassemie: I portatori silenti (alterazione in una sola copia del gene afa globinico) della talassemia alfa non mostrano nessun sintomo mentre il portatore classico (due geni alfa globinici alterati) ha un volume ridotto dei globuli rossi (microcitosi) e la riduzione della quantità di emoglobina contenuta nei globuli rossi (riduzione del contenuto emoglobinico corpuscolare o MCH)
La mancanza totale del gene alfa globinico porta da una grave situazione spesso fatale per il feto durante la gravidanza o subito dopo la nascita; tuttavia i neonati trasfusi dalla nascita in modo regolare hanno una sopravvivenza analoga a quelli affetti da talassemia major.
Diagnosi:
Oltre ai sintomi, il medico baserà la sua diagnosi su una serie di esami che comprendono la determinazione della quantità e del tipo di emoglobine presenti, e del numero e del volume di globuli rossi. L’elettroforesi è una tecnica molto usata nei laboratori per l’analisi delle proteine. In questo caso viene usata per identificare i diversi tipi di emoglobine presenti nel sangue.
Nella beta talassemia major, oltre ai dati ematici, i segni tipici sono pallore, ittero, grave anemia, abbiamo inoltre caratteristiche deformazioni del cranio rilevabili in radiografia ed anche delle ossa lunghe (femore).
Le talassemie minor invece vengono il più delle volte diagnosticate incidentalmente, cioè perché si esegue un test di routine e viene riscontrata una debole anemia non riconducibile ad altre cause, oppure perché è nota la familiarità e quindi si procede ad analisi mirate.
Terapia:
Se la talassemia maior non viene trattata l’ingrossamento di fegato e milza aumenta, le ossa diventano pericolosamente fragili e soprattutto si ha la dilatazione del muscolo cardiaco. Il danno a carico di fegato e milza compromettono le difese immunitarie ragion per cui le malattie infettive e l’insufficienza cardiaca sono le principali cause di morte tra i malati non trattati.
La terapia classica per la Talassemia major consiste in ripetute trasfusioni. Queste, però, provocano un accumulo di ferro nel sangue che bisogna eliminare con una terapia a base di farmaci detti chelanti, che sequestrano ed eliminano il ferro.
Per la talassemia intermedia il trattamento è sintomatico e le trasfusioni non sono necessarie
L’Anemia mediterranea o Talassemia è una malattia ereditaria che è dovuta alla sequenza anomala di una delle catene dell’emoglobina, una proteina situata all’interno del globulo rosso e che ha il compito di trasportare l’ossigeno.
L’emoglobina è composta da 4 catene, uguali a due a due; in un individuo adulto il 96% dell’emoglobina è composta da catene alfa e catene beta, il 3% da catene alfa e catene delta, il restante 1% da catene alfa e catene gamma.
Esistono tre tipi di Talassemia chiamate alfa-Talassemia, beta-Talassemia e delta-beta-Talassemia a seconda se il difetto sia appunto a carico delle catene alfa, beta o delta e beta.
Le Taleassemie sono malattie recessive; gli omozigoti sono soggetti a crisi dovute alla menomata funzione dei globuli rossi, che sono più piccoli di quelli normali ed hanno una membrana leggermente deformata. L’eterozigosi pere la beta-Talasssemia è conosciuta in Italia e in altri paesi col nome di Microcitemia.
La patologia deve il suo nome alla particolare diffusione nei paesi mediterranei spiegabile con la scoperta che i portatori della malattia godono di un buon grado di immunità contro la malaria, che una volta era molto diffusa in queste zone, grazie al fatto che i loro globuli rossi hanno una vita più breve del normale e quindi rendono più difficile il completamento del ciclo riproduttivo del plasmodio della malaria.
I geni che codificano per la catena alfa sono sul cromosoma 16, e sono in numero di due per ogni cromosoma 16. Ogni individuo ha quindi quattro copie di geni per la catena alfa. La gravità della malattia è dovuta a quante di queste copie sono difettose o più spesso del tutto mancanti. La mancanza di tutte e quattro le copie porta ad una condizione non compatibile con la vita ed alla morte del feto.
Nella beta talassemia (anche chiamata morbo di Cooley) il difetto è invece a carico della catena beta, il cui gene è sul cromosoma 11. Anche per la beta talassemia il difetto può portare a diversi quadri clinici: una semplice diminuzione nella produzione della catena beta caratterizza lo stadio del portatore sano, un difetto maggiore porta alla condizione di “Talassemia intermedia”, mentre una mancanza totale di proteina configura la condizione di “Talassemia major”.
La Talassemia major è la condizione più grave: la malattia si manifesta in genere dopo pochi mesi di vita, e rende necessarie continue trasfusioni di sangue che devono essere effettuate ogni circa 15-30 giorni e per tutta la vita del soggetto. L’unica terapia curativa è il trapianto di midollo osseo, che sostituisce le cellule portatrici del difetto genetico con le cellule del donatore sano. Il trapianto di midollo osseo comporta dei rischi; infatti nel periodo prima dell’innesto del trapianto il malato deve essere sottoposto a chemioterapia, e in ogni fase del trapianto (che dura circa 1 anno) esiste un rischio di morte, il che porta alcuni talassemici a rinunciare ad intraprendere questa strada
Sintomi:
Le alfa- talassemie: I portatori silenti (alterazione in una sola copia del gene afa globinico) della talassemia alfa non mostrano nessun sintomo mentre il portatore classico (due geni alfa globinici alterati) ha un volume ridotto dei globuli rossi (microcitosi) e la riduzione della quantità di emoglobina contenuta nei globuli rossi (riduzione del contenuto emoglobinico corpuscolare o MCH)
La mancanza totale del gene alfa globinico porta da una grave situazione spesso fatale per il feto durante la gravidanza o subito dopo la nascita; tuttavia i neonati trasfusi dalla nascita in modo regolare hanno una sopravvivenza analoga a quelli affetti da talassemia major.
Diagnosi:
Oltre ai sintomi, il medico baserà la sua diagnosi su una serie di esami che comprendono la determinazione della quantità e del tipo di emoglobine presenti, e del numero e del volume di globuli rossi. L’elettroforesi è una tecnica molto usata nei laboratori per l’analisi delle proteine. In questo caso viene usata per identificare i diversi tipi di emoglobine presenti nel sangue.
Nella beta talassemia major, oltre ai dati ematici, i segni tipici sono pallore, ittero, grave anemia, abbiamo inoltre caratteristiche deformazioni del cranio rilevabili in radiografia ed anche delle ossa lunghe (femore).
Le talassemie minor invece vengono il più delle volte diagnosticate incidentalmente, cioè perché si esegue un test di routine e viene riscontrata una debole anemia non riconducibile ad altre cause, oppure perché è nota la familiarità e quindi si procede ad analisi mirate.
Terapia:
Se la talassemia maior non viene trattata l’ingrossamento di fegato e milza aumenta, le ossa diventano pericolosamente fragili e soprattutto si ha la dilatazione del muscolo cardiaco. Il danno a carico di fegato e milza compromettono le difese immunitarie ragion per cui le malattie infettive e l’insufficienza cardiaca sono le principali cause di morte tra i malati non trattati.
La terapia classica per la Talassemia major consiste in ripetute trasfusioni. Queste, però, provocano un accumulo di ferro nel sangue che bisogna eliminare con una terapia a base di farmaci detti chelanti, che sequestrano ed eliminano il ferro.
Per la talassemia intermedia il trattamento è sintomatico e le trasfusioni non sono necessarie
Sclerosi laterale amiotrofica
Caratteristiche:
La sclerosi laterale amiotrofica, chiamata anche morbo di Lou Gerhrig (dal nome del giocatore statunitense di baseball che fu la prima vittima accertata di questa malattia) , malattia di Charcot o malattia dei motoneuroni, è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che colpisce selettivamente i cosiddetti motoneuroni.
Il paziente affetto da SLA perde progressivamente i motoneuroni centrali e periferici, con un decorso del tutto imprevedibile e differente da soggetto a soggetto, con esiti disastrosi per la qualità di vita oltre che sulla sua sopravvivenza.
La SLA è una patologia rara (incidenza: 2 casi ogni 100.00 abitanti all’anno), ad eziopatogenesi sconosciuta (cioè le cause sono del tutto ignote). Verosimilmente si tratta di una malattia ad origine multifattoriale.
Le conseguenze di questa malattia sono la perdita progressiva ed irreversibile della normale capacità di deglutizione (disfagia), dell’articolazione della parola (disartria) e del controllo dei muscoli scheletrici, con una paralisi che può avere un’estensione variabile, fino alla compromissione dei muscoli respiratori ed alla necessità di una respirazione assistita e quindi alla morte. La SLA non altera le funzioni cognitive, sensoriali , sessuali e sfinteriali del malato.
Generalmente la SLA colpisce individui adulti di età superiore ai vent’anni, di entrambi i sessi, ma con maggiore frequenza dopo i cinquant’anni.
Sintomi iniziali:
Essi variano da persona a persona e sono talmente impercettibili che spesso vengono ignorati. Comune a tutti è sicuramente la progressiva perdita di forza che può interessare tutti i movimenti volontari. Nella maggior parte dei casi l’indebolimento riguarda prima i muscoli delle mani o dei piedi, delle braccia o delle gambe e porta generalmente a far cadere gli oggetti, a inciampare frequentemente o a compromettere semplici attività della vita quotidiana, quali vestirsi, lavarsi o abbottonarsi i vestiti.
Altre manifestazioni possono essere la difficoltà nel parlare, nel parlare, nel deglutire. Dal punto di vista strettamente muscolare, oltre alla debolezza si possono avvertire rigidità (spasticità) e contrazioni muscolari involontarie (fascicolazioni). Quando vengono coinvolti i muscoli respiratori, può comparire affanno dopo sforzi lievi e difficoltà nel tossire.
La diagnosi può emergere solo attraverso un attento esame clinico, ripetuto nel tempo da parte di un neurologo esperto e una serie di esami diagnostici utili ad escludere altre patologie.
Trattamenti:
Al momento non esiste una terapia capace di guarire la SLA, L’unico farmaco approvato in questo senso è il riluzolo, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia.
Esistono invece dei farmaci per ridurne i sintomi, come anche ausili per migliorare l’autonomia personale, il movimento e la comunicazione.
La sclerosi laterale amiotrofica, chiamata anche morbo di Lou Gerhrig (dal nome del giocatore statunitense di baseball che fu la prima vittima accertata di questa malattia) , malattia di Charcot o malattia dei motoneuroni, è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che colpisce selettivamente i cosiddetti motoneuroni.
Il paziente affetto da SLA perde progressivamente i motoneuroni centrali e periferici, con un decorso del tutto imprevedibile e differente da soggetto a soggetto, con esiti disastrosi per la qualità di vita oltre che sulla sua sopravvivenza.
La SLA è una patologia rara (incidenza: 2 casi ogni 100.00 abitanti all’anno), ad eziopatogenesi sconosciuta (cioè le cause sono del tutto ignote). Verosimilmente si tratta di una malattia ad origine multifattoriale.
Le conseguenze di questa malattia sono la perdita progressiva ed irreversibile della normale capacità di deglutizione (disfagia), dell’articolazione della parola (disartria) e del controllo dei muscoli scheletrici, con una paralisi che può avere un’estensione variabile, fino alla compromissione dei muscoli respiratori ed alla necessità di una respirazione assistita e quindi alla morte. La SLA non altera le funzioni cognitive, sensoriali , sessuali e sfinteriali del malato.
Generalmente la SLA colpisce individui adulti di età superiore ai vent’anni, di entrambi i sessi, ma con maggiore frequenza dopo i cinquant’anni.
Sintomi iniziali:
Essi variano da persona a persona e sono talmente impercettibili che spesso vengono ignorati. Comune a tutti è sicuramente la progressiva perdita di forza che può interessare tutti i movimenti volontari. Nella maggior parte dei casi l’indebolimento riguarda prima i muscoli delle mani o dei piedi, delle braccia o delle gambe e porta generalmente a far cadere gli oggetti, a inciampare frequentemente o a compromettere semplici attività della vita quotidiana, quali vestirsi, lavarsi o abbottonarsi i vestiti.
Altre manifestazioni possono essere la difficoltà nel parlare, nel parlare, nel deglutire. Dal punto di vista strettamente muscolare, oltre alla debolezza si possono avvertire rigidità (spasticità) e contrazioni muscolari involontarie (fascicolazioni). Quando vengono coinvolti i muscoli respiratori, può comparire affanno dopo sforzi lievi e difficoltà nel tossire.
La diagnosi può emergere solo attraverso un attento esame clinico, ripetuto nel tempo da parte di un neurologo esperto e una serie di esami diagnostici utili ad escludere altre patologie.
Trattamenti:
Al momento non esiste una terapia capace di guarire la SLA, L’unico farmaco approvato in questo senso è il riluzolo, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia.
Esistono invece dei farmaci per ridurne i sintomi, come anche ausili per migliorare l’autonomia personale, il movimento e la comunicazione.
Osteomalacia
L’osteomalacia è un’osteopatia metabolica caratterizzata da una massa ossea di volume normale, ma con un ridotto contenuto minerale per un difetto di mineralizzazione delle ossa. E’ di solito causata da una ridotta disponibilità o da un alterato metabolismo della vitamina D. Se presente nell’infanzia questa malattia prende il nome di rachitismo.
I sintomi,i più comuni sono nel bambino deformità ossee a carico del cranio, della colonna (cifosi e scoliosi), del bacino, del torace e degli arti inferiori (ginocchio valgo o varo), assumendo spesso conformazioni caratteristiche.
Negli adulti il quadro clinico è dominato da dolori ossei diffusi e da un’astenia muscolare che può far pensare inizialmente ad una patologia muscolare più che ossea, mentre le deformità scheletriche possono passare inosservate.
Una volta che il medico sospetta l’osteomalacia, gli esami più comuni consistono in un esame del sangue volto ad accertare la concentrazione ematica di calcio e fosforo ed una radiografia delle ossa colpite.
Nei casi in cui l’osteomalacia è conseguenza di un problema intestinale o renale, la terapia deve essere volta a risolvere il problema di base. In alcuni casi è utile somministrare vitamina D come terapia di supporto soprattutto nei casi in cui la malattia è causata da malassorbimento intestinale negli adulti. I casi in cui la malattia è accompagnata da nefropatia sono di solito più complessi da trattare , e si giovano di una somministrazione di fosfati in aggiunta di calcio e vitamina D. Dato che in età infantile l’osteomalacia può risultare in deformità importanti, è utile correggere fin da subito tali deformità mediante intervento chirurgico per evitare l’osteomalacia degenerativa che ne potrebbe derivare in età adulta.
I sintomi,i più comuni sono nel bambino deformità ossee a carico del cranio, della colonna (cifosi e scoliosi), del bacino, del torace e degli arti inferiori (ginocchio valgo o varo), assumendo spesso conformazioni caratteristiche.
Negli adulti il quadro clinico è dominato da dolori ossei diffusi e da un’astenia muscolare che può far pensare inizialmente ad una patologia muscolare più che ossea, mentre le deformità scheletriche possono passare inosservate.
Una volta che il medico sospetta l’osteomalacia, gli esami più comuni consistono in un esame del sangue volto ad accertare la concentrazione ematica di calcio e fosforo ed una radiografia delle ossa colpite.
Nei casi in cui l’osteomalacia è conseguenza di un problema intestinale o renale, la terapia deve essere volta a risolvere il problema di base. In alcuni casi è utile somministrare vitamina D come terapia di supporto soprattutto nei casi in cui la malattia è causata da malassorbimento intestinale negli adulti. I casi in cui la malattia è accompagnata da nefropatia sono di solito più complessi da trattare , e si giovano di una somministrazione di fosfati in aggiunta di calcio e vitamina D. Dato che in età infantile l’osteomalacia può risultare in deformità importanti, è utile correggere fin da subito tali deformità mediante intervento chirurgico per evitare l’osteomalacia degenerativa che ne potrebbe derivare in età adulta.
Lupus eritematoso sistemico
Caratteristiche:
Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia cronica rara di natura autoimmune, che può colpire diversi organi e tessuti del corpo. Autoimmune significa che c’è una disfunzione del sistema immunitario che, invece di proteggere il corpo da virus, batteri e agenti estranei, produce auto-anticorpi che aggrediscono i propri componenti.
Il LES è classificato come malattia reumatica
Lupus è la parola latina che significa lupo, e si riferisce alla caratteristica eruzione cutanea a forma di farfalla riscontrata sul viso di molti pazienti affetti da LES, che ricordava ai medici i contrassegni bianchi presenti sul muso dei lupi. Eritematoso si riferisce al rossore della pelle. Sistemico significa che interessa diversi organi del corpo.
L’esordio della malattia è raro prima del quinto anno di età ed insolito prima dell’adolescenza. Si riscontra più frequentemente nella popolazione femminile di età fertile (da 15 a 45 anni) .
La malattia non è ereditaria e non è assolutamente trasmissibile da uomo a uomo. Tutt’oggi non si conoscono le cause specifiche de LES, anche se ci sono alcun punti fermi: predisposizione genetica in primis, fattori ambientali (esposizione al sole, infezione da virus o batteri, stress , alcuni medicinali…), età in cui sono in atto modifiche ormonali (pubertà, gravidanza, menopausa…)
Sintomi:
La diagnosi di LES è molto difficile: nei paesi anglosassoni è conosciuto come the great imitator. La malattia può manifestarsi con dolori alle articolazioni, affaticamento anomalo, febbre, manifestazioni cutanee, perdita di capelli, ulcere alle mani, anemia, tendiniti, pleuriti, nefriti, pericarditi, ma il fattore più indicativo è la sistemicità di questi sintomi, cioè colpiscono diversi organi contemporaneamente.
La malattia può manifestarsi con svariate sfumature diverse, è infatti conosciuta come la malattia dai mille volti
Trattamento:
Non esiste ancora una cura definitiva, ma è possibile trattare la malattia, soprattutto per cercare di portarla in uno stato di remissione, cioè farla regredire ad uno stato simile alla guarigione; a oggi non si guarisce dal LES , la malattia resta sempre presente anche nei periodi di remissione, e va tenuta costantemente sotto controllo.
L’intervento terapeutico è diverso a seconda del quadro clinico: nei casi lievi si procede al trattamento con alcuni farmaci antimalarici associati al cortisone o altri infiammatori; nei casi più severi occorre utilizzare anche farmaci immunosoppressori, i quali impediscono la moltiplicazione dei linfociti B responsabili della produzione di auto-anticorpi
Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia cronica rara di natura autoimmune, che può colpire diversi organi e tessuti del corpo. Autoimmune significa che c’è una disfunzione del sistema immunitario che, invece di proteggere il corpo da virus, batteri e agenti estranei, produce auto-anticorpi che aggrediscono i propri componenti.
Il LES è classificato come malattia reumatica
Lupus è la parola latina che significa lupo, e si riferisce alla caratteristica eruzione cutanea a forma di farfalla riscontrata sul viso di molti pazienti affetti da LES, che ricordava ai medici i contrassegni bianchi presenti sul muso dei lupi. Eritematoso si riferisce al rossore della pelle. Sistemico significa che interessa diversi organi del corpo.
L’esordio della malattia è raro prima del quinto anno di età ed insolito prima dell’adolescenza. Si riscontra più frequentemente nella popolazione femminile di età fertile (da 15 a 45 anni) .
La malattia non è ereditaria e non è assolutamente trasmissibile da uomo a uomo. Tutt’oggi non si conoscono le cause specifiche de LES, anche se ci sono alcun punti fermi: predisposizione genetica in primis, fattori ambientali (esposizione al sole, infezione da virus o batteri, stress , alcuni medicinali…), età in cui sono in atto modifiche ormonali (pubertà, gravidanza, menopausa…)
Sintomi:
La diagnosi di LES è molto difficile: nei paesi anglosassoni è conosciuto come the great imitator. La malattia può manifestarsi con dolori alle articolazioni, affaticamento anomalo, febbre, manifestazioni cutanee, perdita di capelli, ulcere alle mani, anemia, tendiniti, pleuriti, nefriti, pericarditi, ma il fattore più indicativo è la sistemicità di questi sintomi, cioè colpiscono diversi organi contemporaneamente.
La malattia può manifestarsi con svariate sfumature diverse, è infatti conosciuta come la malattia dai mille volti
Trattamento:
Non esiste ancora una cura definitiva, ma è possibile trattare la malattia, soprattutto per cercare di portarla in uno stato di remissione, cioè farla regredire ad uno stato simile alla guarigione; a oggi non si guarisce dal LES , la malattia resta sempre presente anche nei periodi di remissione, e va tenuta costantemente sotto controllo.
L’intervento terapeutico è diverso a seconda del quadro clinico: nei casi lievi si procede al trattamento con alcuni farmaci antimalarici associati al cortisone o altri infiammatori; nei casi più severi occorre utilizzare anche farmaci immunosoppressori, i quali impediscono la moltiplicazione dei linfociti B responsabili della produzione di auto-anticorpi
Ulcera Gastrica
Caratteristiche:
L’ulcera gastrica è un’interruzione della parete dello stomaco. Può variare da una semplice erosione della mucosa fino alla completa perforazione della parete.
Colpisce circa il 10% della popolazione; si osserva più spesso nei soggetti anziani con maggior frequenza nel sesso maschile. Fra i fattori socioambientali di rischio vanno ricordati il fumo di sigaretta, il consumo di sale, gli acidi grassi insaturi ed in genere sostanze che stimolano la secrezione acida (caffè).
L’abuso di FANS sembra avere un ruolo determinante nello sviluppo di patologie ulcerative a carico dell’apparato digestivo, in particolare verso l’esofago e lo stomaco.
L’Helicobacter pilori sembra rappresentare il maggior imputato nello sviluppo dell’ulcera. Il germe è presente nel 65-70% dei pazienti con ulcera gastrica e nel 90-95% dei pazienti con gastrite cronica, che sembra invariabilmente precedere la formazione di un’ulcera.
L’ulcera è considerata la risultante di uno squilibrio a livello della mucosa gastrica tra i fattori “aggressivi” (acido e pepsina)e i fattori difensivi (muco, prostaglandine). L’ipersecrezione di acido cloridrico e di ioni H+ sono considerati un fattore aggressivo che può provocare direttamente danni cellulari
Sintomi:
Il sintomo tipico è il dolore, che è caratteristico per almeno cinque aspetti: il tipi, il ritmo,la sede, l’irradiazione e la periodicità. Il dolore è di solito crampiforme o avvertito dal paziente come “senso doloroso di fame” o “vuoto di stomaco”. La sede classica è in alto a sinistra rispetto alla linea che congiunge lo sterno all’ombelico. Le crisi dolorose si presentano tutti i giorni dopo i pasti per un periodo ben definito di 2-3 settimane, e sono intervallate da periodi anche lunghi di benessere. I periodi dolorosi coincidono con le stagioni di transizione (primavera ed autunno).
Nausea e vomito possono affliggere all’ulceroso dopo i pasti; la paura di soffrire determina una riduzione dell’appetito, con successivo dimagrimento.
Diagnosi:
L’anamnesi è di fondamentale importanza, evidenziando la tipico sintomatologia dolorosa. Per la conferma diagnostica si ricorre alla radiografia gastroduodenale con mezzo di contrasto dove l’ulcera appare come una nicchia.
Di fondamentale importanza è l’endoscopia associata alla biopsia, soprattutto per confermare la benignità o la malignità di un’ulcera.
Terapia:
E’ stato dimostrato che il paziente non trae grande beneficio da diete totalmente “in bianco”. E’ invece utile una dieta normocalorica, ricca di alimenti non raffinati e suddivisa in tre o più pasti, che escluda il vino e gli alcolici, il caffè, il the, i cibi stimolanti la secrezione (brodo di carne) o conditi con spezie (pepe, paprika e peperoncino)
Assoluta sospensione del fumo di sigaretta , comunque dannoso, e va assolutamente vietata anche l’assunzione di aspirina, FANS e corticosteroidi, soprattutto a stomaco vuoto.
L’ulcera gastrica è un’interruzione della parete dello stomaco. Può variare da una semplice erosione della mucosa fino alla completa perforazione della parete.
Colpisce circa il 10% della popolazione; si osserva più spesso nei soggetti anziani con maggior frequenza nel sesso maschile. Fra i fattori socioambientali di rischio vanno ricordati il fumo di sigaretta, il consumo di sale, gli acidi grassi insaturi ed in genere sostanze che stimolano la secrezione acida (caffè).
L’abuso di FANS sembra avere un ruolo determinante nello sviluppo di patologie ulcerative a carico dell’apparato digestivo, in particolare verso l’esofago e lo stomaco.
L’Helicobacter pilori sembra rappresentare il maggior imputato nello sviluppo dell’ulcera. Il germe è presente nel 65-70% dei pazienti con ulcera gastrica e nel 90-95% dei pazienti con gastrite cronica, che sembra invariabilmente precedere la formazione di un’ulcera.
L’ulcera è considerata la risultante di uno squilibrio a livello della mucosa gastrica tra i fattori “aggressivi” (acido e pepsina)e i fattori difensivi (muco, prostaglandine). L’ipersecrezione di acido cloridrico e di ioni H+ sono considerati un fattore aggressivo che può provocare direttamente danni cellulari
Sintomi:
Il sintomo tipico è il dolore, che è caratteristico per almeno cinque aspetti: il tipi, il ritmo,la sede, l’irradiazione e la periodicità. Il dolore è di solito crampiforme o avvertito dal paziente come “senso doloroso di fame” o “vuoto di stomaco”. La sede classica è in alto a sinistra rispetto alla linea che congiunge lo sterno all’ombelico. Le crisi dolorose si presentano tutti i giorni dopo i pasti per un periodo ben definito di 2-3 settimane, e sono intervallate da periodi anche lunghi di benessere. I periodi dolorosi coincidono con le stagioni di transizione (primavera ed autunno).
Nausea e vomito possono affliggere all’ulceroso dopo i pasti; la paura di soffrire determina una riduzione dell’appetito, con successivo dimagrimento.
Diagnosi:
L’anamnesi è di fondamentale importanza, evidenziando la tipico sintomatologia dolorosa. Per la conferma diagnostica si ricorre alla radiografia gastroduodenale con mezzo di contrasto dove l’ulcera appare come una nicchia.
Di fondamentale importanza è l’endoscopia associata alla biopsia, soprattutto per confermare la benignità o la malignità di un’ulcera.
Terapia:
E’ stato dimostrato che il paziente non trae grande beneficio da diete totalmente “in bianco”. E’ invece utile una dieta normocalorica, ricca di alimenti non raffinati e suddivisa in tre o più pasti, che escluda il vino e gli alcolici, il caffè, il the, i cibi stimolanti la secrezione (brodo di carne) o conditi con spezie (pepe, paprika e peperoncino)
Assoluta sospensione del fumo di sigaretta , comunque dannoso, e va assolutamente vietata anche l’assunzione di aspirina, FANS e corticosteroidi, soprattutto a stomaco vuoto.
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