Le cefeidi
Da Ipparco in poi, lo splendore di una stella è stato indicato dalla magnitudine: più una stella è luminosa, minore è la sua magnitudine. Ipparco definì le venti stelle più luminose come stelle di prima magnitudine, mentre quelle un po’ più deboli le chiamò di seconda magnitudine; e così via, fino alla sesta magnitudine, cui appartenevano le stelle a malapena visibili. Nel 1856 tale sistema fu trasformato in un preciso sistema quantitativo (formula di Pogson), basato sul fatto che una stella di prima magnitudine è 100 volte più luminosa di una di sesta. In base a ciò, il rapporto tra due magnitudini successive è uguale a 2,512. Queste sono le magnitudini apparenti, cioè ciò che vediamo dal nostro punto di osservazione. Le magnitudini assolute sono stabilite calcolando la luminosità che la stella avrebbe se fosse posta ad una distanza standard di 10 parsec (1 parsec=3,26 a. l.).
Nel 1912 H. Leavitt scoprì nella piccola Nube di Magellano 25 cefeidi, di ognuna delle quali determinò il periodo. Più il periodo era lungo, più la stella era luminosa. Tale relazione non era mai stata notata per le cefeidi più vicine perché di queste conoscevamo solo la magnitudine apparente, dato che non erano note le distanze. Nella Nube di Magellano, trovandosi tutte le stelle a distanze da noi praticamente uguali, le magnitudine apparenti possono essere considerate una misura relativa delle magnitudine assolute. Così la relazione rilevata poteva essere considerata valida: il periodo delle cefeidi aumenta all’aumentare della magnitudine assoluta. Fu quindi possibile stabilire una curva periodo-luminosità.
Se tutte le cefeidi dell’universo si comportano allo stesso modo, esse possono rappresentare un parametro relativo per misurare le distanze. Osservate due cefeidi di uguale periodo, si può supporre che abbiano uguale magnitudine assoluta, e quindi, se una cefeide appare quattro volte più luminosa di un’altra di uguale periodo, quest’ultima sarà distante il doppio da noi, dato che la luminosità apparente diminuisce col quadrato della distanza.
Purtroppo, anche la più vicina delle cefeidi, la Stella Polare, era troppo lontana perché determinarne la parallasse con i mezzi di allora. Quindi, per stabilire le distanze delle cefeidi più vicine, dalle quali ricavare una scala di distanze per le più lontane, si dovette ripiegare su metodi più indiretti e meno certi. Nel 1913 Hertzsprung stabilì che una cefeide con un periodo di 6,6 giorni aveva una magnitudine assoluta di –2,3: e in base a questo risultato, sulla curva della Leavitt, determinò la magnitudine assoluta di tutte le cefeidi. Qualche anno dopo Shapley corresse il valore di Hertzsprung a 5,96 giorni (sempre per una cefeide di magnitudine assoluta –2,3). Nel 1918 Shapley cominciò ad osservare le cefeidi della nostra galassia, nel tentativo di determinare con questo nuovo metodo le dimensioni della galassia stessa. A tal fine si occupò degli Ammassi Globulari, le cui distanze valutò tra i 20.000 e i 200.000 a. l.
Nel 1924, Hubble osservò alla periferia di M31, la Grande Galassia di Andromeda, alcune cefeidi, che permisero di dimostrare come quella che ancora molti astronomi credevano una nebulosa fosse in realtà un’altra galassia come la nostra Via Lattea, distante oltre un milione di a. l. Nel 1942 Baade, godendo di un cielo particolarmente buio grazie all’oscuramento di Los Angeles dovuto alla guerra, scoprì in M31 un’insospettata differenza tra le stelle delle zone più interne e quelle più esterne, giungendo alla differenziazione tra le due popolazioni stellari oggi note, la Popolazione I e la Popolazione II; in seguito, quando entrò in funzione lo specchio da 200 pollici, Baade confrontò le cefeidi di Popolazione II, situate negli ammassi globulari, con quelle del nostro braccio di spirale (Popolazione I): risultò che quelle di Popolazione II seguivano effettivamente la curva stabilita dalla Leavitt, mentre quelle di Popolazione I hanno una luminosità tra quattro e cinque volte maggiore di una di Popolazione II con lo stesso periodo. Ciò fece aumentare la stima della distanza della galassia di Andromeda da meno di un milione a due milioni e mezzo di anni luce. Oggi le misurazioni astrometriche del satellite Hipparcos hanno consentito di misurare le parallassi di stelle distanti centinaia e centinaia di anni luce: ciò ha reso possibile misurare esattamente la distanza di molte cefeidi (compresa la gloriosa d Cephei), per cui possiamo ben dire che le distanze ottenute grazie al metodo delle cefeidi sono sicuramente affidabili.
Le cefeidi presentano periodi (il periodo è l’intervallo tra due massimi successivi) che vanno da poche ore fino a circa 50 giorni. La maggior parte dei periodi ha una lunghezza compresa tra i 5 e gli 8 giorni; le cefeidi di periodo più corto, meno di un giorno, sono classificate in una categoria a parte, chiamata delle variabili degli ammassi a causa della loro abbondanza negli ammassi globulari. La brevità del periodo, comunque, non è la sola differenza tra queste stelle e le cefeidi classiche: i tipi spettrali delle prime, infatti, sono limitati ad A ed F, e le stelle sono molto più piccole e meno luminose di queste ultime. Il prototipo delle variabili degli ammassi è RR Lyrae (vedi scheda). Un’ulteriore sottoclasse è quella delle cosiddette cefeidi nane o ultra-short period cepheides, strani oggetti a periodo ancor più corto delle RR Lyrae: i tipici rappresentanti di questo gruppo, CY Aqr e SX Phe, hanno rispettivamente periodi di 88 e 79 minuti. Anche le stelle del tipi d Scuti hanno periodi cortissimi, ma ampiezze molto inferiori.
Vale la pena di sottolineare che il periodo di una cefeide è generalmente così regolare da sembrare un raffinato meccanismo ad orologeria, e in molti casi è noto alla frazione di secondo. L’ampiezza della variazione visuale di una cefeide è mediamente abbastanza meno di 1 magnitudine, anche se se ne conoscono alcune che variano di circa 1,5 magnitudini. Un po’ più elevata, normalmente, è la variazione fotografica. Ancora inferiore, invece, è la variazione nell’infrarosso.
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