Il genere Drosophila fu classificato all’inizio del XIX secolo; la specie più nota, Drosophila melanogaster, venne descritta verso la metà del secolo ed è probabilmente originaria delle regioni tropicali. Quasi sicuramente giunse in Europa e negli Stati Uniti in seguito all’importazione delle banane.
Il piccolo insetto comparve fra il 1900 ed il 1901 presso l’Università di Hardward, dove C.W.Woodworth vi si dedicò e suggerì a W. Castle che si trattava di un organismo particolarmente adatto per studi in campo genetico.
Castle, con un gruppo di collaboratori, avviò così una ricerca sugli effetti degli incroci ripetuti fra i moscerini.
L’utilizzo in laboratorio di questo insetto, ben presto si rivelò effettivamente adatto alle ricerche di genetica, in quanto l’allevamento risultava molto economico, richiedeva poco spazio (in un primo tempo i moscerini vennero addirittura allevati nelle bottiglie vuote del latte che i suoi collaboratori, soprannominati "i ragazzi di Morgan", passavano casa per casa a prelevare ) e soprattutto era possibile ottenere numerosi incroci in breve tempo (da 2 a 3 settimane).
Intorno al 1908, anche Morgan cominciò a lavorare su Drosophila; infatti, in un primo tempo, aveva condotto le sue ricerche sui ratti, ma ben presto li abbandonò a causa dell’elevato costo, dei cicli riproduttivi troppo lunghi e della facilità con cui venivano colpiti da infezioni. Fu probabilmente Frank Lutz, un genetista della Stazione per l’Evoluzione Sperimentale di Washington a Cold Spring Harbor e collaboratore di Castle, a presentargli lo studio del moscerino.
Egli era, però, molto restio ad accettare l’ipotesi che i cromosomi fossero alla base dell’eredità, ed infatti, in accordo con la posizione di Driesch (con cui mantenne sempre un contatto epistolare), era contrario all’idea di preformismo sostenuta con fervore da Wilson.
Scriveva Morgan nel 1909: "Dato che il numero di cromosomi è relativamente piccolo ed i caratteri dell’individuo sono molto numerosi, ne segue in teoria, che molti caratteri dovrebbero mendelizzare insieme. Confermano i fatti questo requisito dell’ipotesi? A me sembra di no.[…] Se i caratteri mendeliani sono dovuti alla presenza o all’assenza di uno specifico cromosoma, come assume l’ipotesi di Sutton (*), come possiamo spiegare il fatto che i tessuti e gli organi di un animale differiscono uno dall’altro mentre contengono lo stesso complesso cromosomico?"(**)
Morgan costituì un piccolo gruppo di scienziati, che portò avanti la ricerca con grande passione.
Il piccolo laboratorio presso la Columbia University, soprannominato "la stanza delle mosche", era una stanzina piena di tavoli, microscopi e bottiglie di coltura dei moscerini.
Qui cominciarono a lavorare Calvin B. Bridges e Alfred H. Sturtevant. Ospite frequente era poi Hermann J. Muller, ancora studente, che mantenne sempre un rapporto conflittuale di odio e amore nei confronti degli altri ricercatori. Era nato il "Drosophila Group".
Il laboratorio era frequentato da ricercatori, studenti, interni post-dottorato e diversi visitatori.
Proprio da qui le idee sarebbero comparse una dopo l’altra con una carica esplosiva, e proprio qui gli esperimenti si sarebbero susseguiti in modo continuo, portando ad una serie di scoperte, ipotesi e teorie.
Il lavoro era condotto attraverso una stretta collaborazione fra tutti i membri del gruppo ed ogni giorno regnava l’entusiasmo, non senza senso critico e apertura mentale, una rara qualità.
Gli scambi erano continui e, ogni volta che nasceva una nuova idea o si otteneva un nuovo risultato, la discussione interessava tutto il gruppo ed era condotta con un tale fervore da dimenticare chi per primo vi era giunto.
Il primo aspetto da verificare era il legame fra la distanza dei fattori sul cromosoma ed il grado di associazione dei caratteri.
Durante un’intensa notte di lavoro, Sturtevant costruì un modello che mette in relazione la frequenza dei cross overs nel cromosoma con la distanza relativa dei fattori sul cromosoma stesso; anzi, la frequenza dei cross overs permette di calcolare la distanza dei due fattori sul cromosoma.
Il modello realizzato da Sturtevant permise, in pochi anni, di giungere a definire particolari associazioni dei geni anche sugli altri tre cromosomi di Drosophila (detti autosomi e presenti in duplice copia, a differenza del cromosoma X).
Nel 1915, Morgan, Bridges, Sturtevant e Muller pubblicarono "The Mechanism of Mendelian Heredity", che proponeva gli studi condotti su Drosophila come una chiave di lettura dei sistemi genetici e che poneva le basi per la mappatura dei geni.
Questi risultati, però, dovevano ancora sfidare la critica della comunità scientifica: ci vollero altri dieci anni, caratterizzati da continue scoperte, ma anche da polemiche, perché queste scoperte trovassero il consenso generale dei genetisti.
Il lavoro del "Drosophila Group" proseguì per circa venti anni nel laboratorio della Columbia University e da lì si propagò nelle università del resto del mondo, dove si continuavano a trovare nuovi mutanti.
Un po’ per volta vennero definite le leggi della genetica classica e si giunse al modello della "collana di perle" secondo cui i geni si dispongono sui cromosomi uno dopo l’altro come le perle sul filo di una collana.
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