giovedì 31 gennaio 2008

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CORPO UMANO

Gli esseri viventi si caratterizzano per essere costituiti da cellule, considerate le unità strutturali e funzionali di ogni organismo vivente. Le cellule non sono altro che aggregati molecolari in cui le molecole, alcune delle quali molto grandi (macromolecole), si dispongono in una struttura chiusa, delimitante un ambiente interno (citoplasma) ed uno esterno (ambiente extracellulare). Il primo essere vivente era presumibilmente un organismo unicellulare, formato cioè da una sola cellula, capace di riprodurre se stesso in qualche maniera.
Anche attualmente esistono organismi viventi unicellulari, forse simili ai primi esseri viventi. Parliamo dei batteri costituiti da una cellula diversa da quella di tutti gli altri esseri, la cellula procariotica. E’ questa una struttura molto semplice, una struttura delimitata da una membrana fosfolipidica (plasmalemma) che racchiude all’interno del citoplasma una molecola circolare di DNA più molti aggregati molecolari chiamati ribosomi. Con soli questi tre elementi la cellula batterica si comporta proprio come qualsiasi individuo: nasce, cresce, si riproduce e , a volte, muore.
La membrana fosfolipidica è presente in tutte le cellule viventi con la stessa struttura di base e questo fatto è un indizio molto significativo circa l’ipotesi dell’esistenza di un comune progenitore. I fosfolipidi sono molecole che hanno una parte polare (fosforo) ed una apolare (lipidi), si dispongono, a causa di questa natura anfipatica, spontaneamente in doppio strato con le code lipidiche che formano un spessore interno. La particolare struttura della membrana consentirà il libero passaggio esterno-interno e viceversa solamente a sostanze apolari o piccole. Tutte le altre sostanze che la cellula deve acquisire dall’ambiente oppure eliminare, possono attraversare la membrana solo grazie a proteine inserite nella membrana stessa che formano canali o fungono da carrier per queste sostanze.
Il DNA (acido desossiribonucleico) è una macromolecola capace di replicare se stessa, cioè fare una copia identica di sé, operazione che avviene immediatamente prima di ogni divisione (riproduzione) cellulare. Nessun’altra molecola è in grado di fare altrettanto, per questo motivo il DNA è la molecola che contiene i famosi geni (che sono segmenti dello stesso DNA) che controllano praticamente tutto quello che deve avvenire all’interno della cellula.
I ribosomi sono fatti di una molecola molto simile al DNA, l’RNA (acido ribonucleico), appaiono al microscopio elettronico come tanti granuli sparsi nel citoplasma, servono alla sintesi delle proteine. Qualunque proteina è costituita da una determinata sequenza di molecole dette amminoacidi, ogni tipo di proteina si caratterizza per il numero ed il tipo di amminoacidi presenti (in tutto esistono 20 tipi di amminoacidi). La cellula costruisce le proprie proteine a partire dai singoli amminoacidi, il processo che porta alla fabbricazione di una molecola proteica a partire dagli amminoacidi è detto appunto sintesi proteica. I ribosomi sono la sede fisica dove avviene tale sintesi.

A parte i batteri, tutti gli altri esseri viventi,animali o piante che siano, primitivi o più evoluti, sono fatti anch’essi di cellule ma queste sono cellule più complesse di quelle batteriche e dette pertanto cellule eucariotiche. E’ sempre presente una membrana fosfolipidica con caratteristiche molto simili a quella batterica ed inoltre il citoplasma contiene una serie di compartimenti interni (organelli cellulari), delimitati sempre da membrana fosfolipidica, che sono sedi di processi chimici diversi.
Il compartimento di maggiori dimensioni è il nucleo che contiene all’interno DNA. Il DNA degli eucarioti non è costituito da un’unica molecola circolare come per i batteri, ma è frammentato in diversi pezzi che, subito prima della riproduzione cellulare, diventano più compatti rendendosi visibili al microscopio e prendono il nome di cromosomi. La frammentazione in cromosomi,che in verità sono costituiti, oltre che da DNA, anche da proteine associate (gli istoni), avviene per motivi anche pratici di spazio: gli eucarioti hanno molti più geni dei procarioti e quindi il loro DNA è molto più lungo.
Il lavoro nelle cellule eucariotiche è distribuito in vari compartimenti interni al citoplasma , cosa non necessaria nei batteri,organismi più semplici e con meno funzioni.

Il corpo è costituito da migliaia di cellule di circa duecento tipi diversi. E’ diversa la loro forma (una cellula di pelle è diversa da una di fegato o muscolo o osso) e la loro funzione ma le strutture base sono le stesse (membrana, organelli…) e soprattutto in ogni cellula del nostro corpo c’è lo stesso DNA (lo stesso numero e tipo di cromosomi cioè) e quindi gli stessi geni. Possiamo subito fare una considerazione di capitale importanza : in un organismo il differenziamento cellulare non dipende dal tipo di DNA che sta nella cellula , cioè dal tipo di geni dal momento che sono gli stessi in ogni cellula. Da cosa dipende allora? Dal modo in cui sono regolati i geni (regolazione genica). Un gene infatti può essere attivo o inattivo, e nei diversi tipi di cellula (ma anche in periodi diversi nella stessa cellula) si esprimono, sono cioè attivi, geni differenti.
Esistono delle eccezioni: abbiamo cellule che, almeno nella fase adulta, non hanno nucleo e quindi non hanno DNA: sono i globuli rossi del sangue, che hanno perso l’ingombrante nucleo per far posto alla massima quantità possibile di emoglobina, la proteina che si lega all’ossigeno indispensabile al nostro organismo. Pagano questa scelta con una vita breve, 120 giorni circa.
Ci sono poi delle cellule particolari nel nostro corpo, cellule che hanno la metà dei cromosomi di tutte le altre cellule (23 cromosomi contro 46) , sono le cellule riproduttive: gli spermatozoi per gli uomini e le cellule uovo per le donne. E’ facile intuire il motivo del dimezzamento cromosomico: queste cellule sono fatte per la riproduzione sessuata, nella fecondazione uno spermatozoo di fonde con una cellula uovo ( o ovulo) per formare la prima cellula del nuovo organismo: lo zigote con un numero normale (46) di cromosomi. Dalle moltiplicazioni cellulari dello zigote si svilupperà il nuovo individuo.

L’uomo è un organismo con una perfetta organizzazione e coordinazione all’interno di ogni cellula e tra le varie cellule. Negli organismi pluricellulari infatti, diverse cellule (evolutivamente parlando) si sono messe insieme per svolgere al meglio il lavoro della vita. Migliaia di reazioni avvengono in ogni cellula e migliaia di messaggi vengono ogni istante mandati tra cellule. Sono segnali chimici in grado di coordinare il lavoro metabolico (metabolismo= insieme di reazioni all’interno di un organismo).

LA COMUNICAZIONE CELLULARE

E' forse per pigrizia o, più banalmente, per superficialità che non ci soffermiamo quasi mai a considerare i nostri organismi per quello che in realtà sono: complesse comunità di esseri viventi di grandezza microscopica, le cellule, le cui singole vite formano l'ordito della nostra stessa vita e ne determinano le caratteristiche. A nostro discarico può esserci il fatto che di una simile comunità non è possibile formarsi una immagine adeguata neanche facendo leva su tutta la nostra fantasia. Le grandezze che la contraddistinguono, infatti, sono totalmente al di fuori dell'ambito della nostra esperienza. Si prenda, ad esempio, il numero delle cellule che costituiscono un uomo di media corporatura. Se ne stimano intorno ai 75.000 miliardi. Nessuno, di sicuro, sa farsene un'immagine, neanche fantastica. E che dire, poi, dell'ordine estremo che regna nella loro disposizione spaziale e nel loro funzionamento? Tutte occupano posizioni ben definite e svolgono funzioni distinte per gruppi di specializzazione. In questo modo si configurano gruppi organizzati di cellule, e gruppi di gruppi, tessuti ed organi.

La complessità e l'ordine non regnano solo a livello cellulare e supracellulare ma anche a livello subcellulare. Consideriamo, come esempio, una qualsiasi cellula del nostro organismo. E' una struttura estremamente complessa fatta da grosse molecole organiche capaci di svolgere funzioni diversificate con raffinata precisione. A seconda del tipo cellulare considerato, ci imbatteremo in strutture specifiche che costituiscono il fondamento delle varie "specializzazioni" cellulari. Così, ad esempio, le cellule muscolari sono specializzate a contrarsi e possono farlo grazie alla presenza, al loro interno, di sofisticate organizzazioni di proteine specifiche, che sono molecole organiche gigantesche fabbricate ad hoc dalle stesse cellule. Le cellule nervose, dal canto loro, sono iper-specializzate a ricevere stimoli dal loro ambiente, a trasformarli in impulsi elettrici e chimici e a trasferirli ad altre cellule nervose per l'opportuna conduzione o elaborazione. Anche le cellule nervose possono offrire questi raffinati servizi all'organismo grazie alla loro iper-complessa struttura proteica interna.

Strutture organizzate su molteplici livelli - molecole, cellule, tessuti, organi, apparati - concorrono a strutturare l'organismo, il quale si presenta, quindi, come costituito da un insieme di parti ordinatamente interrelate capaci di svolgere funzioni differenti, di elevata qualità, a vantaggio della totalità dell'organismo stesso.

L'organismo, però, non nasce adulto. Non nasce già in possesso di gruppi di cellule specializzate e pronte a svolgere la loro funzione. Al contrario, nasce come un'unica cellula (lo zigote), frutto della fusione dell'uovo e dello spermatozoo, che non può essere definita "specializzata" nel senso tradizionale del termine. E' solo una cellula con grandi potenzialità. Infatti è capace, dividendosi, di originare cellule-figlie che a poco a poco, durante lo sviluppo embrionale, assumeranno la necessaria specializzazione.

Ci sono dei limiti a questa potenzialità, che sono poi quelli della stessa specie di appartenenza. Non ci si può aspettare che da uno zigote di topo si sviluppi un coniglio, né un cane. Potrà svilupparsi solo un topo con muscoli di topo e sistema nervoso di topo.

Ma torniamo ancora al nostro esempio dei muscoli e dei nervi dell'adulto. Ogni unità specialistica di tali sistemi deve occupare il posto giusto al tempo giusto e, cosa ancora più importante, le unità debbono comportarsi in maniera organicamente efficace. Nel nostro corpo, ad esempio, è di fondamentale importanza che i muscoli (fasci di cellule capaci di contrarsi) ed i nervi (fasci di cellule nervose) si formino in posizioni anatomicamente corrette tali da permettere l'instaurarsi di relazioni efficaci. E' altrettanto fondamentale che, sia le cellule muscolari all'interno dei muscoli, sia le cellule nervose all'interno del sistema nervoso lavorino in maniera coordinata. Fallirebbe, ad esempio, un muscolo le cui cellule non si contraessero tutte in contemporanea. E parimenti non avremmo reazioni nervose regolari se ognuna delle cellule del sistema si attivasse a caso.

L'ordine, a qualsiasi livello di complessità organizzativa lo si consideri, comporta informazione. Il che è come dire che per essere instaurato l'ordine a livello subcellulare, cellulare, di tessuto, di organo, di organismo e di specie sono necessari "messaggi" adeguati che inducano uno zigote di topo a diventare topo, cellule indifferenziate a differenziarsi adeguatamente e gruppi di cellule del tessuto ad interagire in modo funzionalmente corretto.

Tutto quanto detto e gli esempi, banalissimi, forniti fanno intravvedere di quale fitto intrico di scambi di informazioni-messaggi abbiano bisogno le cellule per sopravvivere e per funzionare al meglio. Hanno bisogno di ricevere messaggi da altre cellule loro contemporanee, ma anche dalle loro cellule madri e dalle loro progenitrici. Debbono, inoltre, esse stesse inviare messaggi ad altre unità. Questo andirivieni di scambi di informazioni tra cellule presuppone l'esistenza di adeguati messaggi e della capacità delle cellule sia di emetterli che di recepirli. C'è, in poche parole, tra le cellule del nostro organismo, come in quello di tutti gli altri organismi, una efficiente ed instancabile comunicazione.

I tipi di informazione che costituiscono l'oggetto di questa comunicazione sono tradizionalmente raggruppati in tre categorie: genetica, metabolica e nervosa. Senza il patrimonio originario di informazioni genetiche non saremmo uomini come siamo e senza i sistemi di comunicazione metabolica e nervosa, non potremmo vivere ed operare come facciamo.

Comunicazione genetica

L'informazione genetica di un organismo consiste nell'esatta sequenza delle basi azotate (adenina, guanina, timina e citosina) contenute nelle molecole di DNA presenti in ogni sua cellula. Questa frase, dal sapore un po' sibillino per i non addetti ai lavori, può essere così tradotta in linguaggio più accessibile. Tutte le caratteristiche, strutturali e funzionali, di un organismo dipendono da adeguate proprietà delle sue cellule. Le cellule, dal canto loro, hanno la giusta struttura e possono svolgere le giuste funzioni grazie ad alcuni loro costituenti molecolari altamente specializzati: le proteine. A loro volta, le proteine funzionano correttamente se anche la loro struttura molecolare è corretta. Per fabbricare corrette molecole proteiche, la cellula si deve servire dell'informazione contenuta nel DNA, che la cellula stessa ha ricevuto in eredità, al momento della "nascita", dalla sua cellula-madre. Quest'ultima prima di dare origine a due cellule figlie, infatti, lo ha opportunamente duplicato ed ha lasciato in eredità ciascuna delle due copie identiche ad ognuna delle due cellule figlie.

E' riduttivo, però, prendere in considerazione soltanto l'ultimo passaggio dell'informazione genetica e cioè quello dalla cellula madre alla cellula figlia. La cellula madre infatti l'ha ricevuta, a sua volta, dalla propria cellula madre e così via, indietro nel tempo, fino ai primordi della vita. L'informazione genetica viene quindi, in realtà, da molto lontano, giungendo fino a noi attraverso una lunghissima catena di comunicazioni "testamentarie" che ogni generazione cellulare ha lasciato a quella successiva. Ovviamente, durante questo processo inimmaginabilmente lungo (durato probabilmente 3 miliardi e 800 milioni di anni), le molecole di DNA sono andate incontro ai più svariati tipi di incidenti di percorso che hanno modificato la loro struttura e, di conseguenza, anche le informazioni in essa contenute. Di tali variazioni casuali alcune, la stragrande maggioranza, sono risultate incompatibili con la vita stessa della cellula e ne hanno determinato la morte; altre, molte di meno, non avendo prodotto cambiamenti significativi, sono risultate neutrali; altre ancora, di eccezionale rarità, hanno portato a miglioramenti della vita cellulare e sono entrate a far parte, a pieno titolo, del messaggio genetico lasciato in eredità da una popolazione all'altra.

La storia della vita è la storia di una comunicazione che, nata con la vita stessa, si è dipanata con alterne vicende lungo i millenni facendo sì che venissero alla luce e si evolvessero innumerevoli generazioni cellulari tutte impegnate a tramandare la comunicazione stessa.

Oltre a questa comunicazione "verticale" per la quale ogni cellula riceve la sua informazione genetica dalla cellula madre e, attraverso di essa, dalle cellule delle generazioni passate, esiste una comunicazione genetica "orizzontale" attraverso la quale le cellule scambiano la propria informazione genetica, per dar luogo ad una progenie di origine mista. Ci sono almeno quattro diversi meccanismi mediante i quali si realizza questo scambio di informazioni. Tre sono specifici dei batteri, le forme più elementari di vita cellulare. Uno, la riproduzione sessuale, è invece tipico delle forme superiori. In esse, la nuova vita nasce dalla fusione di due gameti, uno femminile (l'uovo) ed uno maschile (lo spermatozoo) che, in questo modo, mettono in comune il loro DNA. Il processo dà origine, così, ad una progenie il cui patrimonio di informazione genetica proviene dal rimescolamento del patrimonio materno e di quello paterno.

Nella comunicazione genetica "orizzontale", la novità emerge ad ogni atto riproduttivo. Nella comunicazione genetica "verticale", invece, perché emerga una novità è necessario attendere un "incidente di percorso". Poiché è sull'emergere delle novità che si basa la plasticità delle specie e cioè la loro capacità ad evolversi, risulta evidente di quale portata rivoluzionaria sia stata l'apparizione, nel corso dell'evoluzione, della comunicazione genetica "orizzontale" accanto alla preesistente "verticale".

Comunicazione metabolica

Al contrario della comunicazione genetica, la cui utile influenza si protrae per periodi di tempo molto più lunghi della vita delle singole cellule, la comunicazione metabolica interessa segmenti temporali molto più brevi.

Il meccanismo di questa comunicazione consiste nel rilascio di messaggi molecolari da parte di cellule "emittenti", nel loro trasporto fino a tutti i distretti del corpo ad opera dei fluidi corporei circolanti (per esempio il sangue o la linfa) e nella loro ricezione da parte di cellule-bersaglio capaci di riconoscerli. Gli ormoni, questo è il nome generico dato a tali molecole, sono un insieme molto vasto di tipi molecolari, che differiscono per grandezza, composizione e struttura a seconda del tipo di informazione trasportato.

Il significato biologico della comunicazione metabolica è fondamentalmente di due tipi.

Il primo consiste nel controllare l'ordinato sviluppo di animali e piante multicellulari. Questi organismi, come ho già sottolineato, sono comunità, altamente organizzate, di milioni o miliardi di cellule, tutte derivate da un'unica cellula (lo zigote) frutto della fusione di due gameti. Il loro numero va aumentando durante lo sviluppo grazie a successive divisioni cellulari. Anche le loro diverse specializzazioni compaiono in un ben definito ordine spazio-temporale. E' così che si formano le cellule muscolari, quelle ossee, quelle sanguigne, quelle nervose e molte altre. L'organismo, infatti, è il frutto della ordinata collaborazione di gruppi di cellule capaci di svolgere funzioni specialistiche a vantaggio dell'intera comunità. Non si potrebbe definire organismo un insieme di cellule uguali, che riescono, sì, a sopravvivere e a svolgere le fondamentali funzioni metaboliche ma risultano incapaci di compiere servizi specifici a favore della comunità. Così come non ce la sentiremmo di definire società un gruppo umano in cui tutti siano mediocremente capaci di fare tutto, e non esistano categorie di persone che si sono specializzate a compiere in maniera egregia lavori specifici.

Buona parte del complesso lavorio della riproduzione e, soprattutto della specializzazione cellulare, che in termine tecnico si chiama differenziamento, è iniziato nel momento opportuno e diretto a buon fine dagli ormoni.

Il secondo significato assunto dalla comunicazione metabolica riguarda le modifiche che l'organismo apporta al suo ambiente interno come reazione a stimoli eccessivi provenienti dall'ambiente circostante.

Avviene con una certa frequenza che le caratteristiche chimico-fisiche dell'ambiente in cui l'organismo vive cambino così drasticamente da rendere difficile, se non impossibile, la stessa sopravvivenza dell'organismo. In questo caso scattano i meccanismi "omeostatici" che tendono a riportare le condizioni dell'ambiente interno dell'organismo entro valori più adatti alla vita. Un esempio farà comprendere, meglio di qualunque trattazione, il nocciolo della questione. E' noto che la temperatura ottimale per la vita e la corretta funzionalità delle cellule del nostro organismo si aggira intorno ai 37 °C. Ciò non vuol dire, però, che si sia costretti a passare la vita in una camera termostatata. Al contrario, avviene spesso, per i più svariati motivi, che la temperatura ambientale salga al di sopra, o scenda al di sotto, del valore ottimale, senza che ciò implichi necessariamente per noi malesseri particolari né tanto meno la morte. Ciò è dovuto all'attivazione di opportuni meccanismi omeostatici che riportano la temperatura interna dell'organismo a valori prossimi a quelli ideali. Così, se la temperatura esterna è troppo alta si attiveranno meccanismi di sudorazione e di iperventilazione polmonare, mentre se è troppo bassa compariranno brividi e pelle d'oca.

In questo complesso sistema di compensazioni, la comunicazione ormonale, insieme a quella nervosa, gioca un ruolo fondamentale. Gli ormoni, emessi da singole cellule o da gruppi di cellule a questo deputate, sono messaggi che raggiungono tutti i distretti dell'organismo, anche i più distanti, servendosi delle "vie d'acqua" dei suoi fluidi. Sono, un po', come i messaggi chiusi nelle bottiglie ed affidati dai naufraghi alle correnti del mare. Non è possibile, in alcun modo, predeterminare il loro cammino e chi li invia può solo affidarsi alla speranza che, prima o poi, essi giungano a qualcuno capace di recepirli. Anche le cellule che inviano messaggi ormonali non possono influenzarne il percorso. Si limitano a rilasciare nel mezzo liquido corporeo molte molecole-messaggio, tutte identiche, in modo che ci sia una probabilità finita che almeno una di esse giunga a destinazione. Le cellule a cui questi messaggi sono diretti possono essere localizzate in regioni dell'organismo anche molto distanti dal punto di partenza del messaggio stesso. Ciò significa che il messaggio, prima della cellula a cui è diretto, ha modo di incontrare un'infinità di altre cellule che non sono potenzialmente interessate ad esso. Come farà l'ormone-messaggio a non disperdere inutilmente il suo contenuto di informazione cedendolo a cellule ad esso non interessate? Utilizza un escamotage analogo a quello in uso nelle radio comunicazioni umane. Prendiamo, ad esempio, un messaggio riservato emesso da un radio-amatore e diretto ad un suo amico che abita molto lontano. Come fare perché il messaggio resti riservato e non giunga alle orecchie indiscrete di tutti i radio-ascoltatori della zona? Semplice. E' sufficiente che il radio-amatore invii il suo messaggio su una determinata lunghezza d'onda sulla quale è sintonizzata la radio ricevente dell'amico.

Traduciamo ora il discorso nei termini molecolari dell'attività ormonale. La cellula emittente invia i suoi messaggi sotto forma di molecole che colpiscono indiscriminatamente tutte le cellule che incontrano sul loro cammino, come le onde radio dell'esempio colpiscono indifferentemente tutte le antenne. Di tutte queste cellule però solo alcune, quelle "bersaglio", sono attrezzate a riconoscere l'ormone. Per tutte le altre, le molecole ormonali che passano nelle adiacenze non rivestono alcun significato.

Le cellule bersaglio sono sensibili al corrispettivo ormone perché sono attrezzate a riconoscerlo. Sono dotate, sulla loro superficie, di piccole cavità, come nicchie, le cui pareti si adattano alla perfezione alle molecole ormonali, un po' come la serratura si adatta alla sua chiave ed un guanto alla sua mano. Questo gioco ad incastro è talmente raffinato e perfetto che nessuna altra molecola, all'infuori di quella prevista, può entrare nella nicchia ed adattarsi alle sue pareti. Va così che solo un certo tipo di cellule è capace di captare un certo tipo di messaggio.

Una volta che l'ormone-messaggio è stato captato sulla superficie della cellula ricevente, la sua stessa presenza nella nicchia, fino a quel momento vuota, scatena una cascata di reazioni che sono la risposta della cellula al messaggio o, se si preferisce, costituiscono l'atto di obbedienza della cellula all'ordine ricevuto.

Il tempo intercorso tra l'emissione del messaggio e la sua ricezione dipende fondamentalmente da due fattori: dalla velocità con cui i messaggi-molecole diffondono attraverso il mezzo liquido intercellulare e dalla distanza tra la cellula emittente e quella ricevente. La velocità di diffusione molecolare in un liquido è piuttosto lenta. Ha bisogno di alcune ore, per esempio, una qualsiasi molecola per diffondere da un capo all'altro del corpo di un animale piccolo come una mosca. Le ore diventano giorni e settimane se si sale con la taglia dell'animale considerato.

Gli intervalli temporali tipici della comunicazione metabolica sono estremamente piccoli se confrontati con quelli che scandiscono gli eventi della comunicazione genetica. Pur tuttavia un animale non potrebbe fare totalmente conto su di essi per la propria sopravvivenza. La maggior parte degli animali, infatti, per mantenersi in vita deve poter reagire a certi eventi del suo stesso ambiente in tempi dell'ordine di secondi o addirittura di millesimi di secondo. Per far ciò deve poter contare su di un altro tipo di comunicazione intercellulare, particolarmente efficiente e veloce: la comunicazione nervosa.

Comunicazione nervosa

L'informazione nervosa dipende dall'attività di un particolare tipo di cellula posseduta da tutti gli animali multicellulari: la cellula nervosa o "neurone". La funzione biologica della comunicazione dell'informazione nervosa, svolta dai neuroni, è quella di generare le rapide reazioni stimolo-risposta che danno vita al comportamento animale.

I neuroni sono provvisti di due caratteristiche che li rendono particolarmente adatti a questo scopo. In primo luogo, a differenza di quasi tutti gli altri tipi di cellule, essi possiedono delle ramificazioni molto lunghe e sottili, per mezzo delle quali raggiungono altri neuroni posti lontano e con i quali formano una trama di connessioni che si estende a tutto il corpo dell'animale. In secondo luogo, a differenza di quasi tutti i tipi di cellule, i neuroni sono capaci di produrre segnali elettrici in risposta a stimoli di natura chimica o fisica. Essi propagano, poi, questi segnali lungo le ramificazioni e li trasmettono ai neuroni da esse raggiunti. La trama delle connessioni dei neuroni ed il movimento dei segnali elettrici che in essa avviene costituiscono il sistema nervoso.

Il sistema nervoso si divide in tre parti: una parte ricevente, o "sensoriale", specializzata a comunicare all'animale informazioni relative al suo ambiente esterno o interno; una parte "centrale" deputata ad elaborare le informazioni ricevute dal sistema sensoriale e decidere la risposta più opportuna; una parte emittente o "effettrice", che comunica alla periferia le decisioni prese dal sistema centrale, determinandone l'attuazione. Un esempio classico è quello di una preda che veda il suo predatore. L'immagine di quest'ultimo giunge ai neuroni sensoriali degli occhi della preda e da questi, attraverso i nervi ottici, la comunicazione passa al sistema centrale. Qui l'immagine viene elaborata, il predatore è identificato e, per mezzo del sistema nervoso efferente, viene comunicato ai muscoli delle zampe di attivarsi opportunamente.

Comunicazioni in ingresso, quindi, e comunicazioni in uscita. Tra l'uno e l'altro percorso, poi, c'è la parte più importante: l'elaborazione delle informazioni che è, essa stessa, un iper-complesso scambio di messaggi.

Considerando l'esempio della preda e del predatore, si comprende quanto sia importante la velocità e la precisione in questo tipo di comunicazioni. Ritardi anche piccoli nella reazione di fuga potrebbero significare la morte e, parimenti, informazioni approssimative potrebbero essere altrettanto letali. Quali sono, allora, i meccanismi biologici che assicurano una tale efficienza di scambio di informazioni?

I neuroni, come sottolineato qui sopra, sono capaci di produrre segnali elettrici in risposta a stimoli di diversa natura, depolarizzando momentaneamente (per uno o due millesimi di secondo) la loro regione stimolata. L'impulso elettrico si propaga, poi, fino alle parti terminali delle ramificazioni ad una velocità di circa 100 metri al secondo. Una via nervosa è in genere composta non da un solo neurone, ma da una catena di più neuroni, ognuno dei quali riceve il messaggio dal neurone che lo precede e lo trasmette a quello che segue. Poiché il messaggio è un impulso elettrico, verrebbe spontaneo pensare che il suo passaggio da un neurone all'altro avvenga per contatto elettrico e che, quindi, la comunicazione neurone-neurone sia essa stessa di natura elettrica. In realtà non è così. I neuroni che costituiscono il sistema nervoso, infatti, non si toccano l'un con l'altro, ma anche nei punti in cui sembrerebbero entrare in contatto, le "sinapsi", rimane pur sempre tra di essi uno spazio (da 26 a 40 milionesimi di millimetro) che li rende elettricamente isolati. Attraverso questo piccolissimo spazio la comunicazione neurone-neurone è assicurata da un meccanismo di diffusione molecolare analogo a quello degli ormoni. Vale la pena di entrare un po' di più nel particolare. Immaginiamo che un impulso elettrico attraversi il primo neurone della catena e giunga fino alla estremità delle sue ramificazioni. Giunto lì, provoca la liberazione di circa 3 milioni di molecole-segnale, i "neurotrasmettitori", nello spazio sinaptico che sta tra il primo ed il secondo neurone. Dopo un viaggio di circa 2 millesimi di secondo, queste molecole arrivano sulla superficie del secondo neurone dove vengono riconosciute e legate da recettori specifici. Il legame del neurotrasmettitore emesso dal primo neurone con il corrispettivo recettore del secondo neurone determina, su quest'ultimo, l'insorgere di un nuovo impulso elettrico. Il segnale, poi, si propagherà fino alle estremità del secondo neurone, provocherà un nuovo rilascio di neurotrasmettitori, che, a loro volta, attiveranno il terzo neurone, e così via.

L'interposizione di comunicazioni di tipo chimico tra i neuroni della catena sembra essere, a prima vista, controproducente in quanto rallenta il processo globale di trasmissione del messaggio. In realtà, la perdita in velocità è abbondantemente ripagata dall'emergere di una possibilità del tutto nuova, quella di modulare il segnale attraverso i neurotrasmettitori, facendo sì che possa assumere una vasta gamma di intensità. Ed è su questa modulazione della comunicazione interneuronale che si basa l'attività del cervello, la parte di gran lunga più importante del sistema nervoso centrale.

Giunti a questo punto, la mia impresa si fa veramente ardua. Dovrei abbandonare la trattazione delle singole comunicazioni interneuronali, per passare ad un livello superiore di descrizione, presentando le configurazioni globali dei flussi di comunicazione che interessano la totalità dei neuroni dell'intero cervello. Sono queste configurazioni globali, infatti, più che le singole unità che le compongono, a costituire il fondamento fisiologico di tutto ciò che ci fa essere quello che siamo. Per usare un parallelo musicale, ciò che è importante non è ciò che cantano i singoli coristi, ma il coro nella sua globalità. E qui ci si scontra con difficoltà di ogni genere: descrittive, sperimentali, interpretative, e tante altre ancora. Il motivo è molto semplice. Il cervello è in assoluto la struttura più complessa dell'universo conosciuto. Un semplicissimo calcolo renderà ragione della mia affermazione. Il cervello umano è costituito da circa 100 miliardi di neuroni. In media ogni neurone dialoga con gli altri attraverso 1000 sinapsi. Il numero totale delle reciproche connessioni sinaptiche è quindi 100 mila miliardi. La configurazione globale di questi 100 mila miliardi di connessioni è di fondamentale importanza per l'individuo che la possiede perché è essa che determina il modo in cui il cervello reagisce alle informazioni sensoriali, risponde agli stati emotivi, pianifica il suo comportamento futuro eccetera. Sappiamo calcolare quante diverse smazzate di bridge possono essere distribuite usando un normale mazzo di 52 carte: abbastanza da occupare svariate vite del giocatore più incallito. Si provi ora a pensare quante "smazzate" possono essere distribuite dal ben più grande "mazzo" cerebrale, con i suoi 100 mila miliardi di connessioni sinaptiche modificabili. Non è difficile calcolare la risposta. Assumendo, con un margine di cautela, che ogni connessione sinaptica possa avere uno qualunque di 10 possibili gradi di intensità, il cervello ha a sua disposizione un numero totale di possibili configurazioni distinte che è pari a 10 elevato a 100 mila miliardi, cioè 10100.000.000.000.000 . Si provi ora a confrontare questa cifra con quei miserabili 1087 metri cubi che rappresentano la stima corrente del volume dell'intero universo astronomico!

Questa è la motivazione che mi ha spinto a sorvolare sull'argomento della configurazione globale delle comunicazioni interne cerebrali, facendomelo definire "arduo". Spero che il lettore mi comprenda e ... non me ne voglia, avendo comunque ormai compreso che il benessere ed il funzionamento unitario dell'organismo dipendono in maniera diretta dal benessere e dalla concordia operativa di un numero enorme di componenti. L'ordine, a qualsiasi livello di complessità organizzativa lo si consideri, comporta informazione, e quindi comunicazione, tra di essi. Questa affermazione sembra, a prima vista, ovvia. Quando però ci domandiamo in che modo questo straordinario ordine venga raggiunto e mantenuto nel corso del tempo ci troviamo di fronte ad uno, forse il più grande, dei misteri della vita...

"Così abbiamo scoperto la doppia elica"

MONTEREY, CALIFORNIA -- Secondo James Watson, lo scienziato che ha vinto il premio Nobel per aver partecipato alla scoperta della doppia elica del Dna, il campione del tennis John McEnroe sarebbe la persona più adatta a rivestirne il ruolo in un film. Un'osservazione del genere la dice lunga su questo studioso di fama mondiale. E non è l'unica sorpresa emersa nel corso di un'ora di intervista con il corrispondente di Abc News Robert Krulwich, svoltasi nel corso del convegno sul futuro della vita organizzato dal Time. La conferenza ha avuto appunto inizio con le esternazioni dell'esuberante ricercatore settantaquattrenne, che ha commentato la sua celebre scoperta di cinquant'anni fa definendola un puro colpo di fortuna.

Il discorso di Watson è stato un curioso miscuglio di arroganza e umiltà. Alla domanda su chi fosse più acuto tra lui e Francis Crick, l'altro padre della doppia elica, ha risposto: «Lui, ovviamente». E di Rosalind Franklin, aspramente criticata nel suo libro La doppia elica, ha detto: «Era molto più intelligente di me». Ma Watson è molto più famoso per le sue osservazioni sarcastiche, come quella regalata a Linus Pauling, che ha vinto il Nobel per la chimica nel 1964 ma non è riuscito a scoprire la vera struttura del Dna. «Non riuscirò mai a spiegarmi come un uomo così preparato abbia potuto prendere un granchio del genere», ha detto riferendosi all'affermazione di Pauling del 1953 secondo la quale il Dna avrebbe avuto una struttura a tripla elica. «Ci si potrebbe scrivere un romanzo». Altrettanto nota è l'opinione dello studioso sull'aspetto della Franklin. Nonostante siano trascorsi cinquant'anni da quando lavoravano insieme al Cavendish Laboratory dell'Università di Cambridge, nell'intervista ha parlato un'altra volta senza peli sulla lingua. «Non riusciva in nessun modo a rendersi attraente», ha osservato. E quando Krulwich gli ha chiesto perché fosse così importante se la Franklin fosse bella o no, ha risposto semplicemente «È un elemento fondamentale». Punto di vista discutibile, ma quel che è chiaro è che Watson e Crick sono riusciti a decodificare la doppia elica del Dna, e la Franklin no.

L'origine della vita in un puzzle

Comunque, la Franklin ha fotografato il Dna, nell'immagine oggi nota come Foto 51, che si è rivelata essenziale nella realizzazione della scoperta di Watson e Crick. Ma è morta nel 1958, senza poter condividere il Nobel con loro e con Maurice Wilkins, un altro scienziato che come lei aveva fotografato la doppia elica. La Franklin non aveva mai creduto che il Dna potesse avere quella struttura, e si è sempre rifiutata di discutere quest'ipotesi con Watson e Crick. «Se solo avesse parlato un'oretta con Francis, ci sarebbero arrivati insieme», commenta Watson. Ma alla ricercatrice piaceva lavorare da sola. Amava a tal punto la solitudine - ricorda l'anziano scienziato - che una volta temette lo potesse picchiare, per aver scoperto che era entrato nel suo ufficio mentre lei non c'era (secondo lui la porta era aperta). Watson ricorda di essere andato nello studio della Franklin per raccontarle dell'assurdità della tripla elica di Pauling, nella speranza che quella sciocchezza potesse convincerla che la doppia elica era la struttura più probabile. Ma lei era convintissima che la forma a elica non c'entrasse proprio niente. «Disse che non aveva nessun bisogno di vedere l'articolo di Pauling, perché non si trattava di un'elica».

Ma il 27 febbraio del 1953, Watson era in trepidante attesa che un negozio di meccanica gli consegnasse i modellini di metallo che lui e Crick avevano ordinato per simulare i blocchi costitutivi del Dna. Era così impaziente che alla fine ritagliò da solo dei pezzi di cartone come nucleotidi adenina, citosina, timina e guanina (in breve i caratteri A, C, T e G). I due scienziati conoscevano già la composizione chimica di quegli elementi, e sapevano che essi rappresentavano una parte centrale della struttura del Dna. Ma non avevano idea di come fossero collegati fra loro. Quando Watson provò a mettere insieme i cartoncini del suo puzzle, la forma a doppia elica venne fuori da sola. I caratteri andavano a formare i pioli di una scala a doppia spirale. Era il culmine di una ricerca durata due anni, con un periodo di quattro settimane di lavoro particolarmente intenso, per individuare la struttura del Dna. «Sembrava troppo bello per essere vero», ricorda Watson. Crick entrò nella stanza poco dopo. «Allora ci fu il momento della gioia sfrenata». L'indomani era domenica. Mai - commenta Watson - avevano riposato così bene.

Articolo di Watson e Crick su "Nature" : la struttura del DNA

reprinted with permission from Nature magazine

A Structure for Deoxyribose Nucleic Acid
J. D. Watson and F. H. C. Crick (1)

April 25, 1953 (2), Nature (3), 171, 737-738

We wish to suggest a structure for the salt of deoxyribose nucleic acid (D.N.A.). This structure has novel features which are of considerable biological interest.

A structure for nucleic acid has already been proposed by Pauling (4) and Corey1. They kindly made their manuscript available to us in advance of publication. Their model consists of three intertwined chains, with the phosphates near the fibre axis, and the bases on the outside. In our opinion, this structure is unsatisfactory for two reasons:

(1) We believe that the material which gives the X-ray diagrams is the salt, not the free acid. Without the acidic hydrogen atoms it is not clear what forces would hold the structure together, especially as the negatively charged phosphates near the axis will repel each other.

(2) Some of the van der Waals distances appear to be too small.

Another three-chain structure has also been suggested by Fraser (in the press). In his model the phosphates are on the outside and the bases on the inside, linked together by hydrogen bonds. This structure as described is rather ill-defined, and for this reason we shall not comment on it.

We wish to put forward a radically different structure for the salt of deoxyribose nucleic acid (5). This structure has two helical chains each coiled round the same axis (see diagram). We have made the usual chemical assumptions, namely, that each chain consists of phosphate diester groups joining beta-D-deoxyribofuranose residues with 3',5' linkages. The two chains (but not their bases) are related by a dyad perpendicular to the fibre axis. Both chains follow right-handed helices, but owing to the dyad the sequences of the atoms in the two chains run in opposite directions (6) . Each chain loosely resembles Furberg's2 model No. 1 (7); that is, the bases are on the inside of the helix and the phosphates on the outside. The configuration of the sugar and the atoms near it is close to Furberg's "standard configuration," the sugar being roughly perpendicular to the attached base. There is a residue on each every 3.4 A. in the z-direction. We have assumed an angle of 36° between adjacent residues in the same chain, so that the structure repeats after 10 residues on each chain, that is, after 34 A. The distance of a phosphorus atom from the fibre axis is 10 A. As the phosphates are on the outside, cations have easy access to them.

Figure 1
This figure is purely diagrammatic (8). The two ribbons symbolize the two phophate-sugar chains, and the horizonal rods the pairs of bases holding the chains together. The vertical line marks the fibre axis.
The structure is an open one, and its water content is rather high. At lower water contents we would expect the bases to tilt so that the structure could become more compact.

The novel feature of the structure is the manner in which the two chains are held together by the purine and pyrimidine bases. The planes of the bases are perpendicular to the fibre axis. They are joined together in pairs, a single base from one chain being hydroden-bonded to a single base from the other chain, so that the two lie side by side with identical z-coordinates. One of the pair must be a purine and the other a pyrimidine for bonding to occur. The hydrogen bonds are made as follows: purine position 1 to pyrimidine position 1; purine position 6 to pyrimidine position 6.

If it is assumed that the bases only occur in the structure in the most plausible tautomeric forms (that is, with the keto rather than the enol configurations) it is found that only specific pairs of bases can bond together. These pairs are: adenine (purine) with thymine (pyrimidine), and guanine (purine) with cytosine (pyrimidine) (9).

In other words, if an adenine forms one member of a pair, on either chain, then on these assumptions the other member must be thymine; similarly for guanine and cytosine. The sequence of bases on a single chain does not appear to be restricted in any way. However, if only specific pairs of bases can be formed, it follows that if the sequence of bases on one chain is given, then the sequence on the other chain is automatically determined.

It has been found experimentally3,4 that the ratio of the amounts of adenine to thymine, and the ratio of guanine to cytosine, are always very close to unity for deoxyribose nucleic acid.

It is probably impossible to build this structure with a ribose sugar in place of the deoxyribose, as the extra oxygen atom would make too close a van der Waals contact.

The previously published X-ray data5,6 on deoxyribose nucleic acid are insufficient for a rigorous test of our structure. So far as we can tell, it is roughly compatible with the experimental data, but it must be regarded as unproved until it has been checked against more exact results. Some of these are given in the following communications (10). We were not aware of the details of the results presented there when we devised our structure (11), which rests mainly though not entirely on published experimental data and stereochemical arguments.

It has not escaped our notice (12) that the specific pairing we have postulated immediately suggests a possible copying mechanism for the genetic material.

Full details of the structure, including the conditions assumed in building it, together with a set of coordinates for the atoms, will be published elsewhere (13).

We are much indebted to Dr. Jerry Donohue for constant advice and criticism, especially on interatomic distances. We have also been stimulated by a knowledge of the general nature of the unpublished experimental results and ideas of Dr. M. H. F. Wilkins, Dr. R. E. Franklin and their co-workers at King’s College, London. One of us (J. D. W.) has been aided by a fellowship from the National Foundation for Infantile Paralysis.


1 Pauling, L., and Corey, R. B., Nature, 171, 346 (1953); Proc. U.S. Nat. Acad. Sci., 39, 84 (1953).
2 Furberg, S., Acta Chem. Scand., 6, 634 (1952).
3 Chargaff, E., for references see Zamenhof, S., Brawerman, G., and Chargaff, E., Biochim. et Biophys. Acta, 9, 402 (1952).
4 Wyatt, G. R., J. Gen. Physiol., 36, 201 (1952).
5 Astbury, W. T., Symp. Soc. Exp. Biol. 1, Nucleic Acid, 66 (Camb. Univ. Press, 1947).
6 Wilkins, M. H. F., and Randall, J. T., Biochim. et Biophys. Acta, 10, 192 (1953).

LA SIMMETRIA NELLA MITOSI CELLULARE

“Tutto in natura nasce da una simmetria, tante cose sono simmetriche, non lo sai?”
Nell’affermazione della rosa c’è più verità di quanto si possa immaginare.
Il fiore, sebbene applichi un sillogismo mirato a esaltare se stesso, giunge ingenuamente ad una affermazione quanto mai veritiera.
Infatti, seguendo il discorso, il ragionamento della rosa è il seguente: se la natura è bella e la simmetria è bella allora la natura è simmetrica e tutto ciò che nasce dalla natura nasce quindi dalla simmetria ed è bello.

Il pensiero è espresso senza conoscere le leggi biologiche che governano il processo di mitosi che (per quanto se ne sa fino ad oggi) sta alla base della riproduzione cellulare nella creazione di un individuo (e quindi “da vita” ad esso), ma può essere considerato una propria interpretazione del mistero della vita come un qualcosa che anela alla simmetria.

Qui sotto viene riportato l’intervento di Pier Carlo Marchisio, professore ordinario di istologia all’Università San Raffaele di Milano, che ci illustra come sia fondamentale il concetto di simmetria in quel processo che si ripete da milioni di anni che è la mitosi cellulare, e che ci appare, nonostante i numerosi studi a riguardo, ancora estremamente ignoto in certi passaggi fondamentali.


Intervento di Pier Carlo Marchisio

"Il nostro pianeta fu sconvolto circa quattro miliardi di anni fa da una rivoluzione progressiva e inarrestabile, che dipese dall'aumento progressivo della concentrazione di ossigeno nell'atmosfera.
Questo fenomeno permise il netto miglioramento di efficienza energetica delle strutture cellulari che avrebbe condotto alla codificazione della vita in quelle strutture chiamate «geni».

Tali strutture diventarono nel tempo sempre più complesse, fino a essere racchiuse in un compartimento separato e relativamente protetto dal resto della cellula.
In queste nuove cellule, dette eucariote , si imposero due necessità fondamentali: una era quella di tenere il deposito dei geni separato (e di qui l'origine del nucleo); l'altra quella di ridistribuire i geni in modo uguale tra cellula e cellula al momento della divisione con il solo scopo di mantenere l' identità delle singole unità cellulari.

Per questa ragione si sviluppò una struttura simmetrica nota come fuso mitotico che, ancora oggi, è sostanzialmente invariata in tutte le cellule dotate di nucleo: da quelle del lievito a quelle umane.

Il fuso mitotico, il più affascinante esempio di simmetria biologica, è una macchina molecolare regolata in maniera perfetta con il compito fondamentale di garantire la suddivisione fedele dei geni da una cellula madre a due cellule figlie.
La complessità del genoma e quindi il numero dei geni nelle cellule eucariote sono diventati tali da richiedere la compressione del materiale genetico in cromosomi che costituiscono una sorta di bagaglio da viaggio indispensabile per garantire la corretta ridistribuzione.

Il fuso, quando si forma in maniera quasi istantanea alla fine della metafase mitotica, appare come un duplice cono con le basi attaccate. Agli apici dei coni si trovano i corpi polari che altro non sono che i centrioli con la loro nuvola di proteine pericentriolari.
Tra i corpi polari passa l' asse di simmetria del fuso che attraversa, al centro, le basi del doppio cono. Proprio su queste basi si vanno a porre i cromosomi nella fase successiva detta metafase. Il concetto di simmetria del fuso si basa quindi sull'asse ideale tra i corpi polari.

Questi, come si è detto, sono già presenti prima della mitosi nel centrosoma e non è difficile pensare che l'asse di simmetria mitotico sia già potenzialmente definito prima che la cellula si divida e che il meccanismo che porta alla separazione dei corpi polari sia precostituito nel centrosoma.
Sappiamo, perché riusciamo a descrivere il fenomeno, che i centrioli si separano e vanno a trovare la loro posizione già nella profase, il momento più precoce della mitosi. Purtroppo poco si sa del meccanismo di controllo responsabile della definizione dell' asse di simmetria mitotico.

A tutti i biologi interessa sapere di più del fascino sottile del centrosoma ma dopo più di cent' anni dalla sua scoperta, la nostra conoscenza è finora poco più che descrittiva. Siamo giunti alla metafase senza sapere ancora che cos'è che forma il fuso e come lavori la struttura simmetrica. Il fuso è un sistema complesso di «cavi» formati di microtubuli, strutture filamentose polimeriche responsabili della definizione della forma e di molti movimenti cellulari.

Tre sistemi di cavi definiscono la simmetria. Alcuni vanno diritti tra un polo e l'altro, altri vanno dal polo ai cromosomi, altri ancora si irradiano dal polo in tutte le direzioni fino a connettersi con la membrana cellulare. Questa struttura è destinata a staccare i cromosomi omologhi gli uni dagli altri e a trascinarli in numero identico ai poli opposti.
Il risultato è di avere due copie identiche del genoma in due cellule figlie. Prima che si verifichi l'evento cruciale della divisione del genoma, che avverrà rapidamente nella successiva anafase, il fuso mitotico si prende una pausa di controllo; si tratta del fenomeno più critico e delicato dell'intera operazione. Esso verifica che ciascun cromosoma sia perfettamente allineato e collegato ai microtubuli e solo quando questa operazione si è completata si ha la rapida separazione di due cellule geneticamente identiche.

In questa macchina simmetrica (molto più complessa di quanto non si sia detto), tutto procede in modo controllato nella stragrande maggioranza delle cellule. In qualcuna, però, qualcosa si inceppa.
Un cavo non perfettamente collegato a un cromosoma può alterare la simmetria; se ciò avviene la macchina della mitosi si blocca e, in luogo della divisione, si attiva un processo che porta ambedue le cellule malformate a morte.
La natura nel lungo divenire dell'evoluzione, ha preferito adottare la strategia di eliminare due sole cellule dell'intera popolazione piuttosto di correre il rischio di alterare la simmetria del sistema e di propagare alle altre cellule copie abnormi del patrimonio genetico.

Una strategia che ricorda quella della Rupe Tarpea! Ora possiamo dire di conoscere almeno uno di questi meccanismi di controllo che è anche il primo istigatore al suicidio. Esso è basato su una proteina, la survivina, che si va a porre sul fuso mitotico e, funge da guardiana severa della fedeltà di distribuzione del genoma ma è anche capace, quando occorra, di indurre le cellule a morte con inflessibile rigore.

Se si impedisce questa funzione di controllo della survivina il primo risultato è la perdita della simmetria del fuso e la formazione di mitosi multipolari in cellule destinate a morte sicura.

Talvolta però la survivina, prodotta in maggiore quantità e forse alterata, viene meno alla propria funzione di controllo, lasciando sopravvivere cellule abnormi, o tumorali. Il genoma di tali cellule si altera rapidamente alimentando la progressione neoplastica attraverso un fenomeno conosciuto come aneuploidia. L'alterazione della simmetria naturale del fuso mitotico è quindi alla radice di un fenomeno patologico multifattoriale come il cancro. Il mantenimento della simmetria del fuso mitotico si basa sull'interazione di molte decine e, forse, centinaia di proteine diverse.

Molte di queste sono conosciute in dettaglio, non solo per la loro struttura primaria e quella dei geni che le codificano; inoltre, di molte si conosce la struttura tridimensionale. La loro conservazione evolutiva è stupefacente tanto che scoprire forma e funzione di una nuova proteina di controllo mitotico in un eucariote primitivo come il lievito fa immediatamente presagire l'identificazione del gene omologo nei mammiferi e nell'uomo. Si ritiene che, alla base di tutto ciò, stia il controllo della simmetria strutturale del fuso.

lunedì 28 gennaio 2008

NOMI CELESTI

Cara (Chara)
di derivazione greca, significa "gioia".
Inventato da Johannes Hevelius, è il nome dato alla più meridinale delle stelle dei Cani da caccia. L'altra stella si chiama Asterion.

Adìl (Adhil)
da al Dahil, "lo strascico del vestito", nella costellazione di Andromeda.
Dista da noi 196 anni luce*

Amàl (Ahmal), "l'agnello".
Nella costellazione dell'Ariete. Dista da noi 66 anni luce

Arturo
(dal greco) rappresenta Arcade, il figlio di Callisto, una ninfa del corteggio di Artemide.
Zeus la vide, prese le sembianze della dea e la sedusse. La dea della caccia si arrabbiò moltissimo, poichè le sue ninfe dovevano rimanere vergini, e la trasformò in orsa. Il bambino che nacque, Arcade, andando a caccia nei boschi incontrò l'orsa sua madre, che tentò di avvicinarglisi. Egli, spaventato, stava per scoccare una freccia, ma Zeus, impietosito, li portò entrambi in cielo.

L'orsa divenne l'Orsa Maggiore che tutti conosciamo; Arcade divenne " il guardiano dell'Orsa", la stella della costellazione di Bootes (guardiano, pastore).
Arturo è la stella più brillante del cielo estivo: contende il primato a Vega della Lira.
Nel 1933, in occasione dell'Esposizione "Il secolo del Progresso", a Chicago, la sua luce fu usata per accendere l'illuminazione il giorno dell'inaugurazione. La ragione della scelta sta nel fatto che la stella è distante circa 40 anni luce dalla Terra, e la luce che brillava quel giorno era partita dalla stella 40 anni prima, giusto la data dell'esposizione precedente.

Sirio
Significa "ardente, splendente". E' la stella più luminosa del cielo. Iside per gli Egizi, alla sua levata eliaca (appena prima del sorgere del Sole), segnava il periodo dell'inondazione del Nilo. Chiamata anche Cane, da cui canicola, il periodo di intenso calore estivo, era considerata portatrice di malattie e pestilenze, che si verificavano per le alte temperature estive e per la mancanza di strumenti per la conservazione dei cibi.
Dista da noi 8,6 anni luce. E' una stella appartenente all'emisfero australe, visibile nei nostri cieli per l'inclinazione dell'asse terrestre. Scintilla cambiando colore a causa del fatto che è bassa sull'orizzonte e la sua luce viene distorta dall'atmosfera.
Nell'altro emisfero, (io non ho mai potuto verificare, ma se qualcuno può farlo è pregato di riferire), la bella stella non scintilla allo stesso modo.

Adàra (Adhara)
da al-adhara, "le vergini".Nella costellazione del Cane Maggiore. Dista da noi 431 anni luce.

Nàscira (Naschira)
Nella costellazio del Capricorno. Non si conosce il significato. Dista da noi 38,6 anni luce

Adàr ( Hadar)
dall'arabo hadari, sconosciuto il significato. Nota anche come Agéna (ginocchio), nella costellazione del Centauro. E' distante 530 anni luce.

Mira
Significa "la meravigliosa". Nella costellazione della Balena. E' una stella variabile, periodicamente (circa una volta l'anno e per circa 135 giorni), si rende visibile a occhio nudo e poi impallidisce. Dista da noi 419 anni luce.

Mimosa
Una della stelle della Croce del Sud. Il nome adottato di recente, nel XX secolo, potrebbe ispirarsi al fiore dallo stesso nome. Dista da noi 353 anni luce.

Gena (Gienah)
nella costellazione del Corvo, dall'arabo janah-al-ghurab, "l'ala del corvo".
Dista dalla Terra 165 anni luce

Altàis
da al-tinnin significa forse "il serpente". Nella costellazione del Dragone, dista da noi 100 anni luce.

Áza (Azha)
deriva dal nome attribuito dagli arabi a una costellazione il cui nome significava "il nido degli struzzi". Oggi si trova nella costellazione di Eridano.

Aléna (Alhena)
è nella costellazione dei Gemelli. Il nome significa, dall'arabo al-han'a, "il marchio sul collo del cammello". Dista 59 anni luce dalla Terra.

Niàl (Nihal)
Il nome deriva dall'arabo al-nihal, e significa "i cammelli che iniziano a dissetarsi". Si trova nella costellazione della Lepre. Dista da noi 1280 anni luce.

Vega
La stella piu' luminosa della costellazione della Lira. E' di un soffio meno luminosa di Arturo. Il nome deriva dall'arabo al-nasr-al waki, "l'aquila che attacca". Dista dalla Terra 25,3 anni luce. E' la prima stella ad essere stata fotografata.

Alnilàm
la stella di mezzo dei Tre re, le tre stelle della cintura di Orione, la costellazione piu' bella del nosro cielo. Il suo nome deriva da un'antica costellazione a cui apparteneva: al-nizam "il filo di perle". Dista da noi 1340 anni luce.

Meissa
deriva dal nome al-maisan, che potrebbe significare "la splendente". E' nella costellazione di Orione. Dista da noi 1060 anni luce.

Sam (Sham)
"la freccia", dall'arabo al-sahm. Nella costellazione della Sagitta (freccia). Dista 473 anni luce.

Antares
il suo nome deriva dal greco, e significa "simile a Marte", per il suo colore rossastro. Si trova nella costellazione dello Scorpione. Dista 500 anni luce.

Sàula (Shaula)
Deriva dal nome arabo di una antica costellazione: al-shaula, "il pungiglione dello Scorpione".
Dista 700 anni luce.

Áldebaràn
Nella costellazione del Toro ne rappresenta l'occhio. Significa probabilmente "la seguente", con riferimento al fatto che segue Le Pleiadi. Sembra immersa nell'ammasso aperto delle Iadi, ma è lontana da loro. Dista 65 anni luce, mentre le Iadi distano oltre 150 anni luce.

COORDINATE CELESTI

Volendo definire un sistema di coordinate anche per la volta celeste, vengono definiti due poli celesti in analogia con quelli sulla Terra: il Polo Nord celeste si trova su quel punto della sfera immaginaria identificato dal prolungamento dell’asse terrestre che esce dal polo Nord. Esso si trova vicinissimo, alla Stella Polare. Dalla parte opposta del globo possiamo definire un polo Sud celeste con lo stesso criterio.

I poli Nord e Sud celesti si trovano agli antipodi di una sfera immaginaria, su cui si proiettano le stelle. Oltre ai poli celesti, si può definire l’Equatore celeste, cioè un cerchio massimo che circonda la sfera celeste e che è equidistante dai poli.
Sulla sfera celeste poi si costruisce idealmente tutta una serie di cerchi massimi passanti per i poli celesti e dei circoli paralleli all'equatore celeste. Otteniamo così meridiani e paralleli celesti che formano un vero e proprio reticolato di coordinate, del tutto analogo a quello definito sulla Terra.
Questo sistema di coordinate è detto Sistema Equatoriale di coordinate celesti. È da notare però che i meridiani ed i paralleli celesti non sono solidali con quelli terrestri, poiché il moto di rotazione terrestre nelle 24 ore lo impedisce.

Se vogliamo definire la posizione di una stella o di un qualsiasi oggetto celeste (una galassia per esempio) sulla sfera celeste, applichiamo gli stessi metodi che si usano per definire un punto sulla superficie terrestre, anche se le misure hanno nomi e modalità differenti.


La "latitudine" viene chiamata declinazione (Decl. detta anche Delta), cioé il valore in gradi che esprime la distanza angolare dell’ oggetto celeste dall’Equatore celeste, positivo verso Nord e negativo verso Sud.
La "longitudine" viene sostituita, dall’Ascensione Retta (A.R. detta anche Alpha) che viene misurata in ore anzichè in gradi ed è il valore in ore, minuti e secondi esprimente la distanza (detta angolo orario) dell’oggetto dal meridiano celeste fondamentale. Tale meridiano passa per un punto nella costellazione dei Pesci (detto punto gamma, ), dove si proietta il Sole durante l’Equinozio di Primavera, il 21 Marzo.
L’Ascensione Retta viene contata con valori crescenti verso Est da 0 a 24 ore, facendo un giro completo, ed è quindi differente dalla longitudine terrestre, che invece viene contata in gradi sia verso Est che verso Ovest dal meridiano di Greenwich.

Ogni ora di Ascensione Retta (A.R.) corrisponde ad un angolo sessagesimale di 15 gradi. Si è scelto di esprimere l’A. R. in ore semplicemente perchè la Terra ruota attorrno a se stessa in 24 ore, e dopo questo lasso di tempo le stelle dovrebbero apparire nella stessa posizione del giorno precedente. In realtà ciò è un po’ più complicato, perchè al moto di rotazione si sovrappone il moto orbitale terrestre attorno al Sole, che giorno per giorno fa anticipare di 4 minuti il passaggio delle stelle al meridiano. Ciò vuol dire che una stella che abbiamo visto passare esattamente al meridiano Sud alle 24 della notte precedente, questa notte passerà a Sud alle ore 23:56.

Un’altro sistema di coordinate astronomiche è rappresentato dalle coordinate altazimutali.
È un sistema di riferimento relativo, le coordinate cioè valgono solo per la postazione in cui ci troviamo e per quell’istante preciso che prendiamo in considerazione; quelle equatoriali sono invece assolute, ovvero valgono per ogni luogo ed istante.


Nelle coordinate altazimutali vengono definiti un'Altezza ed un Azimuth. La prima si definisce come la distanza angolare, in gradi, di un astro dall’orizzonte locale, la misura va fatta lungo una linea meridiana che passa per un punto proprio sulla nostra verticale, chiamato zenith, per l’astro stesso e va a intersecare un punto dell’orizzonte.
l’Azimuth invece è definito come la distanza angolare in gradi dell’intersezione della linea meridiana appena vista (congiungente la stella e passante per lo Zenith) dal punto cardinale Nord sull’orizzonte; esso va contato in senso orario cioè partendo da Nord nella direzione Est - Sud - Ovest.

domenica 27 gennaio 2008

PADRE ANGELO SECCHI

PADRE ANGELO SECCHI

Nato a Reggio Emilia, Padre Angelo Secchi entrò nella Compagnia di Gesù nel 1833, e nel 1835 andò a studiare astronomia, nel famoso Collegio Romano dell'ordine. Nel 1849 divenne direttore dell'osservatorio del Collegio Romano. Secchi è oggi principalmente ricordato come uno dei grandi pionieri della spettroscopia stellare, e planetaria. Ideò un nuovo sistema di classificazione per le stelle, che divise in quattro tipi sulla base del colore dominante: fu l’inizio dell’astrofisica e dell’analisi chimica delle atmosfere stellari, Il suo sistema fu sostituito in seguito da quello di Harvard. Un altro campo a cui Secchi diede fondamentali contributi fu quello degli studi sul Sole, e fu il primo a fotografare la corona solare. Oltre a pioniere della spettroscopia, Secchi fu anche maestro nell'osservazione del Sole e dei pianeti. Nel 1858, iniziò ad osservare Marte, utilizzando il rifrattore (costruito da Merz di 24 centimetri di diametro) installato sopra la chiesa di San Ignazio, nell'osservatorio del Collegio Romano di Roma. Nel 1869: vedendo certe linee scure e una larga macchia triangolare anch’essa scura nella regione della Syrtis Major, battezzò quella struttura «Canale d’America», pensando probabilmente a un braccio di mare (e infatti in italiano la parola canale è usata anche in questo significato). Fu il primo ad osservare canali e nubi bianche su Marte, disegnando valide mappe del pianeta. I suoi delicati disegni del pianeta rosso, conservati tuttora all'osservatorio di Monte Mario, mostrano il pianeta con bianche calotte e mari azzurri su sfondi rossastri e rosati, mentre le macchie sono delineate con nitidezza e decisione. Queste mappe sono il preludio alle dettagliate carte che presto altri areografi disegneranno in un futuro ormai non lontano.

sabato 26 gennaio 2008

LE CEFEIDI

LE CEFEIDI E LE DISTANZE DEL COSMO
Da Ipparco in poi, lo splendore di una stella è stato indicato dalla magnitudine: più una stella è luminosa, minore è la sua magnitudine. Ipparco definì le venti stelle più luminose come stelle di prima magnitudine, mentre quelle un po’ più deboli le chiamò di seconda magnitudine; e così via, fino alla sesta magnitudine, cui appartenevano le stelle a malapena visibili. Nel 1856 tale sistema fu trasformato in un preciso sistema quantitativo (formula di Pogson), basato sul fatto che una stella di prima magnitudine è 100 volte più luminosa di una di sesta. In base a ciò, il rapporto tra due magnitudini successive è uguale a 2,512. Queste sono le magnitudini apparenti, cioè ciò che vediamo dal nostro punto di osservazione. Le magnitudini assolute sono stabilite calcolando la luminosità che la stella avrebbe se fosse posta ad una distanza standard di 10 parsec (1 parsec=3,26 a. l.).

Nel 1912 H. Leavitt scoprì nella piccola Nube di Magellano 25 cefeidi, di ognuna delle quali determinò il periodo. Più il periodo era lungo, più la stella era luminosa. Tale relazione non era mai stata notata per le cefeidi più vicine perché di queste conoscevamo solo la magnitudine apparente, dato che non erano note le distanze. Nella Nube di Magellano, trovandosi tutte le stelle a distanze da noi praticamente uguali, le magnitudine apparenti possono essere considerate una misura relativa delle magnitudine assolute. Così la relazione rilevata poteva essere considerata valida: il periodo delle cefeidi aumenta all’aumentare della magnitudine assoluta. Fu quindi possibile stabilire una curva periodo-luminosità.

Se tutte le cefeidi dell’universo si comportano allo stesso modo, esse possono rappresentare un parametro relativo per misurare le distanze. Osservate due cefeidi di uguale periodo, si può supporre che abbiano uguale magnitudine assoluta, e quindi, se una cefeide appare quattro volte più luminosa di un’altra di uguale periodo, quest’ultima sarà distante il doppio da noi, dato che la luminosità apparente diminuisce col quadrato della distanza.

Purtroppo, anche la più vicina delle cefeidi, la Stella Polare, era troppo lontana perché determinarne la parallasse con i mezzi di allora. Quindi, per stabilire le distanze delle cefeidi più vicine, dalle quali ricavare una scala di distanze per le più lontane, si dovette ripiegare su metodi più indiretti e meno certi. Nel 1913 Hertzsprung stabilì che una cefeide con un periodo di 6,6 giorni aveva una magnitudine assoluta di –2,3: e in base a questo risultato, sulla curva della Leavitt, determinò la magnitudine assoluta di tutte le cefeidi. Qualche anno dopo Shapley corresse il valore di Hertzsprung a 5,96 giorni (sempre per una cefeide di magnitudine assoluta –2,3). Nel 1918 Shapley cominciò ad osservare le cefeidi della nostra galassia, nel tentativo di determinare con questo nuovo metodo le dimensioni della galassia stessa. A tal fine si occupò degli Ammassi Globulari, le cui distanze valutò tra i 20.000 e i 200.000 a. l.
Nel 1924, Hubble osservò alla periferia di M31, la Grande Galassia di Andromeda, alcune cefeidi, che permisero di dimostrare come quella che ancora molti astronomi credevano una nebulosa fosse in realtà un’altra galassia come la nostra Via Lattea, distante oltre un milione di a. l. Nel 1942 Baade, godendo di un cielo particolarmente buio grazie all’oscuramento di Los Angeles dovuto alla guerra, scoprì in M31 un’insospettata differenza tra le stelle delle zone più interne e quelle più esterne, giungendo alla differenziazione tra le due popolazioni stellari oggi note, la Popolazione I e la Popolazione II; in seguito, quando entrò in funzione lo specchio da 200 pollici, Baade confrontò le cefeidi di Popolazione II, situate negli ammassi globulari, con quelle del nostro braccio di spirale (Popolazione I): risultò che quelle di Popolazione II seguivano effettivamente la curva stabilita dalla Leavitt, mentre quelle di Popolazione I hanno una luminosità tra quattro e cinque volte maggiore di una di Popolazione II con lo stesso periodo. Ciò fece aumentare la stima della distanza della galassia di Andromeda da meno di un milione a due milioni e mezzo di anni luce. Oggi le misurazioni astrometriche del satellite Hipparcos hanno consentito di misurare le parallassi di stelle distanti centinaia e centinaia di anni luce: ciò ha reso possibile misurare esattamente la distanza di molte cefeidi (compresa la gloriosa d Cephei), per cui possiamo ben dire che le distanze ottenute grazie al metodo delle cefeidi sono sicuramente affidabili.

domenica 13 gennaio 2008

L'uomo che aveva osato contraddire Newton: Robert Hooke

Robert Hooke (Freshwater, Isola di Wight, 18 luglio 1635 – Londra, 3 marzo 1703) è stato un fisico, biologo, geologo e architetto inglese. Fu uno dei più grandi scienziati del Seicento e una delle figure chiave della rivoluzione scientifica.

Robert Hooke nacque nella cittadina di Freshwater, nell'Isola di Wight, da una famiglia di medie condizioni (il padre, John, era curato della locale parrocchia). Sin da bambino mostrò un'eccezionale attitudine per la pittura e la meccanica, ma la salute malferma gli impediva spesso di dedicarsi allo studio. Nel 1648, dopo la morte del padre, si trasferì a Londra, dove trascorse prima un anno come apprendista del pittore Peter Lely e poi frequentò la Westminster School. Dal 1653 frequentò l'Università di Oxford e dal 1657 fu assunto da Robert Boyle come assistente personale.
Nel novembre del 1662 ebbe un impiego presso la Royal Society come curatore degli esperimenti, una nuova figura professionale, creata per lui, che fece di Hooke il primo scienziato pagato al solo scopo di svolgere ricerche. Tra i compiti previsti dal contratto di assunzione vi era quello di ideare e preparare, per ogni riunione della Royal Society (che avvenivano normalmente con frequenza settimanale), tre o quattro nuovi esperimenti da mostrare ai soci. Dal 1665 Hooke divenne anche professore di geometria al Gresham College.
Negli anni successivi Hooke affiancò al lavoro sperimentale svolto per la Royal Society (che per molti anni costituì il fulcro dell'attività scientifica della famosa istituzione inglese) un'intensa attività di teorico, architetto e inventore. Dopo il grande incendio di Londra fu impegnato nella ricostruzione della città. Dal 1677 svolse anche il compito di segretario della Royal Society.
Gli ultimi anni furono segnati dal disaccordo con Newton, che provocò il suo crescente isolamento nell'ambiente scientifico.

Hooke microscopista

Alcuni dei risultati più famosi di Hooke sono connessi ai perfezionamenti da lui apportati al microscopio. I microscopi da lui costruiti, che si avvalevano di nuovi sistemi ottici e di un nuovo sistema di illuminazione, gli permisero una serie di scoperte esposte nel libro Micrographia: da risultati sull'anatomia degli insetti alla famosa scoperta, nel sughero, di quelle cavità, separate da pareti, che chiamò 'cells' (cellule), a osservazioni sui cristalli essenziali per la nascente scienza della cristallografia (alla cui fondazione Hooke contribuì anche elaborando pionieristici modelli per dedurre dalla forma dei cristalli macroscopici le loro disposizioni atomiche).
Strumenti astronomici e osservazioni [modifica]
Hooke progettò e perfezionò vari strumenti astronomici. Contribuì in modo essenziale, tra l’altro, a progettare ed equipaggiare l’Osservatorio di Greenwich. Se la priorità nell’invenzione del telescopio a riflessione spetti a lui o a Newton è oggetto di discussione. Tra i risultati astronomici ottenuti con gli strumenti da lui progettati vi sono la scoperta della Grande macchia rossa sul pianeta Giove, che gli permise di dimostrare la rotazione di Giove intorno al suo asse, e la misura del periodo di rotazione di Marte.

Gravitazione e Dinamica

Nel 1670[1] Hooke propose di spiegare il moto dei pianeti e delle comete con una nuova meccanica basata su tre ipotesi: che tutti i corpi celesti si attraggano tra loro; che i corpi si muovano di moto rettilineo uniforme se non sono deviati da forze; che le forze di attrazione decrescano con la distanza. La legge matematica con cui la forza di attrazione decresce con la distanza fu da lui precisata negli anni successivi, in particolare in una lezione sulla luce del 1681 [2], nella quale precisò che la forza doveva decrescere con il quadrato della distanza. Hooke capì anche che da questa legge dovevano dedursi le leggi di Keplero, ma non riuscì ad effettuare la deduzione. Questo passo decisivo fu compiuto da Newton nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, ma il contributo di Hooke alla sistemazione newtoniana era stato certamente importante.

Negli ultimi anni della vita, quando la sconfitta nella disputa che lo aveva opposto a Newton era ormai chiara, Hooke fu angosciato dal timore di essere completamente dimenticato. Non si trattava di un timore infondato. L’anno della sua morte, il 1703, fu anche l’anno dell’elezione di Isaac Newton alla presidenza della Royal Society. Negli anni successivi, mentre l’influenza di Newton sugli ambienti scientifici inglesi diveniva un’egemonia incontrastata, il ricordo dell’antico rivale fu sistematicamente cancellato. Non solo molti dei suoi risultati furono attribuiti ad altri, ma fu persino rimosso dai locali della Royal Society il suo ritratto.
Recentemente vi è stata una notevole rivalutazione del lavoro di Hooke: in particolare molte pubblicazioni sono apparse nel 2003, in occasione del terzo centenario della morte. L’illusione di averne ritrovato un ritratto si è però rapidamente spenta. Con ogni probabilità non potremo mai conoscere le fattezze dell’uomo che aveva osato contraddire Newton.

ENERGIA ED ENTROPIA

Assumendo che l'intero universo sia un sistema isolato - ovvero un sistema per il quale è impossibile scambiare materia ed energia con l'esterno - il primo ed il secondo principio della termodinamica possono essere riassunti da un'unica frase:
l'energia totale dell'universo è costante e l'entropia totale è in continuo aumento.
valida per qualsiasi sistema isolato.
In altre parole ciò significa che non solo non si può né creare né distruggere l'energia, ma nemmeno la si può completamente trasformare da una forma in un'altra senza che una parte venga dissipata sotto forma di calore.
Se per esempio si brucia un pezzo di carbone, la sua energia si conserva e si converte in energia contenuta nell'anidride carbonica, nell'anidride solforosa e negli altri residui di combustione oltre che naturalmente in forma di calore. Per quanto non si sia persa energia nel processo, sappiamo che non possiamo invertire il processo di combustione e ricreare dai suoi scarti il pezzo di carbone originale.
La spiegazione si trova nel secondo principio della termodinamica che può così essere parafrasato:
ogni volta che una certa quantità di energia viene convertita da uno stato ad un altro si ha una penalizzazione che consiste nella degradazione di una parte dell'energia stessa in forma di calore, in particolare questa parte non sarà più utilizzabile per produrre lavoro.
Lo stato in cui l'entropia raggiunge il massimo livello e non vi è più energia libera disponibile per compiere ulteriore lavoro è detto stato di equilibrio. Per l'intero universo concepito come sistema isolato ciò significa che la progressiva conversione di lavoro in calore (per il principio di aumento dell'entropia totale), a fronte di una massa dell'universo finita, porterà infine ad uno stato in cui l'intero universo si troverà in condizioni di temperatura uniforme; la cosiddetta morte termica dell'Universo.
L'entropia caratterizza il verso di qualunque trasformazione reale come trasformazione irreversibile: infatti anche tornando da uno stato finale a uno identico allo stato iniziale (per temperatura, volume, pressione o altri parametri, come continuamente avviene nei cicli di una centrale) almeno una variabile fisica differirebbe dal punto da cui si è partiti, l'entropia (che inevitabilmente aumenta).
Ogni trasformazione reale è una trasformazione irreversibile perché l'entropia aumenta; l'ipotesi di idealità equivale appunto all'ipotesi di una variazione d'entropia nulla.

venerdì 11 gennaio 2008

IL MONDO E LA FORZA DI GRAVITA'

La Via Lattea è una del gruppo di galassie note come Agglomerato Locale (o Gruppo Locale) che comprende la galassia di Andromeda , parecchie galassie “nane”, come la grande nebulosa di Magellano.
L’Agglomerato Locale è uno del centinaio di gruppi di galassie che costituiscono il Superagglomerato . Da misurazioni recenti risulta che il nostro ed un altro superagglomerato , quello delle galassie Idra e Centauro, stiano convergendo verso una regione dell’universo estremamente densa di masse stellari, il cosiddetto Grande Attrattore, una regione distante forse 300 milioni di anni luce.
La forza che lega queste strutture di dimensioni crescenti , dalle galassie ai superagglomerati, e che li sta forse trascinando lentamente verso il Grande Attrattore, è la forza di gravità. Questa forza non ci tiene soltanto incollati alla Terra, ma regna ovunque, nella verità degli spazi intergalattici.

Nel 1665 il ventitreenne Isaac Newton diede un formidabile contributo alle scienze fisiche dimostrando che la forza che trattiene la Luna nella sua orbita è la stessa forza che fa cadere una mela . Newton arrivò alla conclusione che non soltanto la Terra attira sia una mela ce la Luna, ma che ogni corpo dell’universo attira ogni altro corpo; questa tendenza dei corpi a muoversi l’uno verso l’altro è chiamata gravitazione. Questo concetto incontrò una certa difficoltà a farsi strada nell’opinione comune, perché l’attrazione della Terra per i corpi terrestri è così predominante da occultare l’attrazione reciproca che quei corpi tra loro esercitano.
Quantitativamente Newton formulò la cosiddetta legge di gravitazione universale: ogni particella attira ogni altra particella con una forza gravitazionale la cui intensità è espressa così:

(1) F = G m1m2 /r2 (legge di gravitazione universale di Newton)

Qui m1m2 rappresentano le masse e r la distanza delle due particelle, mentre G è la costante di gravitazione. Notare che la forza di attrazione reciproca tra le due particelle dipende dalla distanza ce separa le particelle ma non dalla natura del luogo in cui si trovano, nel profondo di una grotta o nello spazio siderale.
La legge di Newton come l’abbiamo formulata si applica esclusivamente ad ai corpi puntiformi , possiamo estenderne l’applicazione anche ad oggetti reali, purchè le loro dimensioni siano piccole rispetto alla distanza che li separa. Dal punto di vista della gravità, la Luna e la Terra sono abbastanza lontane da potere, in prima approssimazione, essere considerate puntiformi. Ma fra una mela e la Terra? Dal punto di vista della mela, l’enorme Terra pianeggiante che si estende sull’orizzonte non ha proprio l’aspetto di una particella.
Per risolvere il problema Terra-mela Newton dimostrò un importante teorema:
Un guscio sferico uniforme di materia (la Terra) attira una particella che si trova all’esterno (la mela) come se tutta la massa dello strato sferico fosse concentrata nel suo centro.
La Terra può essere considerata come una serie di gusci sferici di questo tipo, uno dentro l’altro, ciascuno dei quali attira una particella esterna alla superficie terrestre come se tutta la sua massa fosse concentrata nel suo centro.

Assimiliamo quindi la Terra ad una sfera piena omogenea di massa M. Dall’equazione (1) si ricava che l’intensità della forza di gravità che agisce su una particella di massa m posta all’esterno della Terra alla distanza r dal suo centro:
(2) F = G Mm/r2

Se lasciamo libera la particella di cadere, la forza di gravità F la fa cadere verso il centro della Terra con un’accelerazione ag, che chiameremo accelerazione gravitazionale. Applicando la seconda legge di Newton possiamo scrivere a riguardo dei loro moduli:
(3) F = m ag

Risolvendo la (3) rispetto ad ag, dopo aver sostituito a F l’espressione della (2), troviamo:
m ag= G Mm/r2

ag= G M/r2

Ignorando l’effetto della rotazione terrestre (e la forza centrifuga che ne deriva), approssimando la forma della Terra ad una sfera con densità omogenea, possiamo considerare l’accelerazione di gravità g uguale all’accelerazione che qui abbiamo chiamato gravitazionale ag e considerala costante (come si deduce dall’ultima formula ) per corpi sulla superficie terrestre e con il valore di 9,8 m /s2

Concludendo: quando trattiamo di caduta libera dei gravi (sperimento di Gugliemini) si applica la formula F= m g , quando parliamo di pianeti o di corpi celesti in generale che si attraggono , applichiamo la formula ) F = G m1m2 /r2

giovedì 10 gennaio 2008

DOMANDE DEL COMPITO DI CHIMICA

1-Scrivere la formula di seguenti composti: a)idrossido di alluminio b)anidride clorosa c)carbonato di potassio
2-Dare il nome IUPAC ai seguenti composti (dove possibile attribuire anche il nome tradizionale):a)Na2O b)CO c)HCl d)CaCO3
3 Spiegare cosa è avvenuto in laboratorio quando abbiamo miscelato a caldo lo zolfo con il ferro? Come abbiamo testato i prodotti?
4-Scrivere l’equazione chimica bilanciata relativa alla reazione seguente:
Il carbonato di sodio reagisce con acido cloridrico per dare come prodotti cloruro di sodio, anidride carbonica e acqua.
5- Scrivere l’equazione ionica completa e poi quella ionica netta relativa alla seguente reazione di precipitazione:
CuSO4(aq) + Na2S(aq)  CuS(s)+ Na2SO4 (aq)
6- Con l’aiuto della tabella sottostante scrivere l’equazione chimica in forma indissociata (cioè in forma molecolare) della reazione di scambio con precipitazione in cui il carbonato di sodio reagisce con il cloruro di calcio
7- Che tipo di sostanze può sciogliere l’acqua? Perché?
8- Completate la seguente reazione acido-base (di neutralizzakokkozione):
HF(aq)+NaOH(aq)
9- Quanto pesano 1,7 moli di acido cloridrico?
10- Influenza della pressione e della temperatura sulla solubilità dei gas nei liquidi
1-Scrivere la formula di seguenti composti: a)idruro di calcio b)anidride solforica c)iposolfito di calcio
2-Dare il nome IUPAC ai seguenti composti (dove possibile attribuire anche il nome tradizionale):a)CaS b)Cl2O7 c)HF d) Ca(ClO3)2
3 Mescolando a freddo limatura di ferro e zolfo cosa abbiamo ottenuto in laboratorio? Come abbiamo testato i prodotti?
4-Scrivere l’equazione chimica bilanciata relativa alla reazione seguente:
Il magnesio reagisce con l’acido cloridrico per dare dicloruro di magnesio e idrogeno molecolare
5- Scrivere l’equazione ionica completa e poi quella ionica netta relativa alla seguente reazione di precipitazione:
KCl(aq)+ AgNO3(aq)  KNO3(aq)+ AgCl(s)
6- Con l’aiuto della tabella sottostante scrivere l’equazione chimica in forma indissociata (cioè in forma molecolare) della reazione di scambio in cui il cloruro di sodio reagisce col solfato di litio.
7- Scrivere quali di queste sostanze sono acidi e quali sono basi e quali nessuno dei due: a)HClO2 b)LiH c)NH3 e)HF(aq) d)NaOH
8- Completate la reazione di sintesi:
CaO + SO2(g)
9- Perché lo zucchero è solubile in acqua? Spiegare cosa succede ai legami chimici
10- Contengono più molecole 2 moli di carbonio o una mole di sodio?

DOMANDE DEL COMPITO DI CHIMICA

1-Scrivere la formula di seguenti composti: a)idrossido di berillio b)anidride clorica c)carbonato di magnesio
2-Dare il nome IUPAC ai seguenti composti (dove possibile attribuire anche il nome tradizionale):a)Al2O3 b)CO2 c)HCl d) Na2CO3
3 Pensa alle esperienze di laboratorio in cui abbiamo usato l’acido cloridrico e scrivi l’equazione chimica di una di queste reazioni
4-Scrivere l’equazione chimica bilanciata relativa alla reazione seguente:
Il litio reagisce con il tricloruro di alluminio per dare come prodotti cloruro di litio e alluminio
5- Scrivere l’equazione ionica completa e poi quella ionica netta relativa alla seguente reazione di precipitazione:
Na2CO3(aq)+ CaCl2(aq)  2NaCl(aq)+ CaCO3(s)
6- Con l’aiuto della tabella sottostante scrivere l’equazione chimica in forma indissociata della reazione di scambio in cui il nitrato di argento reagisce con il cloruro di sodio.
7- Scrivere quali di queste sostanze sono acidi e quali sono basi: a)H2SO4 b)Ca(OH)2 c)NH3 d)HI e) NaOH
8 –Scrivere la reazione tra un ossido basico e l’acqua. Che tipo di reazione è ?
9- Il metano è una molecola apolare. In quali solventi è solubile? Perché?
10- Quanto pesa una millimole di acqua?
1-Scrivere la formula di seguenti composti: a)idruro di litio b)anidride solforosa c)solfito di calcio
2-Dare il nome IUPAC ai seguenti composti (dove possibile attribuire anche il nome tradizionale):a)CaF2 b)Cl2O5 c)H2S d) Ca(ClO4)2
3 Nell’esperimento del “calice di fuoco” , qual era la ragione per cui il pezzetto di carbone bruciava con più vivacità una volta appoggiato a “quel sale bianco”?
4-Scrivere l’equazione chimica bilanciata relativa alla reazione seguente:
Il solfato di potassio reagisce con l’idrossido di bario per dare come prodotti solfato di bario e idrossido di potassio
5- Scrivere l’equazione ionica completa e poi quella ionica netta relativa alla seguente reazione di precipitazione:
NaCl(aq)+ AgNO3(aq)  NaNO3(aq)+ AgCl(s)
6- Con l’aiuto della tabella sottostante scrivere l’equazione chimica in forma indissociata (cioè in forma molecolare) della reazione di scambio in cui il cloruro di potassio reagisce col solfato di alluminio.
7 – Effetto della temperatura sulla solubilità dei composti ionici in acqua
8- Completate la seguente reazione di spostamento:
Al + CuSO4 (aq)→
9- Cosa hanno in comune una mole di ossigeno e di carbonio?
10- Perché l’acqua bolle ad una temperatura maggiore dell’alcool?