martedì 13 gennaio 2009

Chi è pianeta e chi no?

Chi è pianeta, e chi no?
Astronomi di tutto il mondo, sotto gli auspici della International Astronomical Union (IAU)
riunita in assemblea dal 14 al 25 agosto, stanno in questi giorni (agosto 2006) discutendo a Praga la
risoluzione precedentemente elaborata a Parigi nel corso dell’estate da una commissione speciale di
“sette saggi”.
I pianeti sono soltanto OTTO, declassato Plutone, bocciato 2003 UB3131
Il pomeriggio del 24 agosto, a seguito della volontà della maggioranza dei presenti di rigettare il
documento dei “sette saggi”, è arrivata la notizia del declassamento di Plutone in base ad una
nuova risoluzione preparata al momento, che qui riportiamo:
1- Un “pianeta” è un corpo celeste (a) in orbita intorno al Sole (b), possiede una massa
sufficiente a fa r sì che la propria gravità gli faccia assumere una forma quasi sferica
vincendo le forze di un corpo rigido (c), è dominante nella sua fascia orbitale, avendola
ripulita da oggetti più piccoli. Secondo questa definizione i pianeti del Sistema solare sono
solo otto: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove , Saturno, Urano e Nettuno.
2- Un “pianeta nano” (dwarf planet) è un corpo celeste che: (a) è in orbita intorno al Sole, (b)
possiede una massa sufficiente a far sì che la propria gravità gli faccia assumere una forma
quasi sferica, vincendo le forze di un corpo rigido, (c) non è dominante nella sua fascia
orbitale , non avendola ripulita da oggetti più piccoli , (d) non è un satellite.
In base a questa definizione Plutone è da considerarsi un “pianeta nano”, il prototipo di una
nuova classe di oggetti transnettuniani.
3 Tutti gli altri oggetti del Sistema solare che non soddisfano i requisiti del punto (1) sono
considerati “piccoli corpi del Sistema solare” (Small Solar System Bodies), eccetto i
satelliti.
Per riassumere, i pianeti riconosciuti del Sistema solare sono soltanto otto, mentre
Plutone perde il lo status di pianeta, e con Cerere2 e 2003 UB313 è da considerarsi
soltanto un “pianeta nano”.
Una domanda per chiarire il concetto di satellite: Perché Caronte è stato definito
“pianeta”?
Caronte risponde per dimensioni e forma ai requisiti richiesti per essere definito pianeta. La
discriminante tra satellite e pianeta sta nel fatto che nel primo caso il baricentro comune del
sistema è situato dentro il volume dell’oggetto primario (quello più massivo), mentre nel
secondo caso è situato al di fuori . Il baricentro del sistema Plutone- Caronte è situato al di fuori
di Plutone, pertanto il sistema Plutone-Caronte è da considerarsi un pianeta doppio.
La Luna della Terra è sferica, potrebbe essere definita anch’essa un pianeta?
No. La Luna è un satellite perché il baricentro del sistema Terra – Luna è situato all’interno
(sia pur di poco) del globo terrestre.
1
2003UB313 è quel corpo celeste che Michael Brown del California Institute of Technology (il famoso Cal Tech)
definiva con matematica certezza il decimo pianeta del sistema solare. A 75 anni dalla scoperta di Plutone, orbita
infatti intorno al Sole seguendo un percorso leggermente più “inclinato” di quello degli latri pianeti. Le sue dimensioni
sono considerevolmente maggiori di quello di Plutone.
2
Cerere è l’asteroroide più massiccio della fascia principale del sistema solare; fu inoltre il primo ad essere stato
scoperto. La fascia principale degli asteroidi è una regione del sistema solare compresa fra le orbite di Marte e di
Giove, che contiene la maggiore concentrazione di asteroidi del sistema.
I giganti gassosi possiedono satelliti molto grandi (alcuni di loro addirittura più grandi di
Mercurio): possono essere chiamati “pianeti”?
No. I grandi satelliti di Giove, Saturno, Urano e Nettuno ruotano tutti intorno a baricentri situati
all’interno dei rispettivi pianeti. Indipendentemente dalla forma e dalla dimensione, devono
essere quindi considerati “satelliti”
Plutone possiede altri due oggetti che ruotano intorno ad esso, più piccoli di Caronte.
Anche questi ruotano intorno al baricentro comune situato al di fuori di Plutone: possono
essere considerati “pianeti”?
No. La massa dei due oggetti è molto piccola e questo non permette che essi abbiano una forma
sferica, per cui non soddisfano i requisiti richiesti dalla definizione di pianeta.
Perché ora Cerere è considerato un pianeta?
Cerere soddisfa i requisiti richiesti per essere definito “pianeta”: orbita intorno ad una stella, ed
è abbastanza grande da avere una conformazione quasi sferica per autogravitazione. Cerere può
essere considerato un “pianeta nano” dato che è più piccolo di Mercurio

Plutone: un pianeta nano

La scoperta di Plutone: Plutone è stato scoperto dopo anni di duro lavoro e con accuratissimi ragionamenti e preparazioni.

La storia della sua ricerca inizia ai primi del 1800. Allora, la gente conosceva soltanto sette pianeti. Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove e Saturno erano noti da migliaia di anni. Urano era stato scoperto nel 1781.

Ma in quel periodo ormai gli astronomi disponevano di buoni strumenti per misurare la posizione di questi pianeti, compreso Urano. Ogni pianeta "attrae" un po' gli altri pianeti, a causa della forza di gravità. Gli astronomi erano al corrente di questo fatto, ed erano in grado di effettuare dei calcoli per valutare questo effetto della gravità.

Le misure di Urano crearono agli astronomi qualche problema. Il suo moto in realtà non aveva molto senso. Anche dopo aver tenuto conto dell'effetto di attrazione esercitato dagli altri pianeti, Urano continuava a muoversi in modo inaspettato. Era come se ci fosse un altro pianeta a "tirarlo".

Qualcuno cominciò a prendere in seria considerazione l'idea della presenza di un altro pianeta non visibile. Si pensò che fosse possibile calcolare dove si dovesse trovare questo invisibile pianeta. (Potete ragionare in questo modo: se il pianeta invisibile sembra che tiri Urano verso "sinistra", allora potrebbe essere che il pianeta invisibile sia alla "sinistra" di Urano. In realtà, il discorso è molto più complicato, ma questo esempio può rendere l'idea).

Due persone, John Couch Adams e Urbain Jean Joseph Le Verrier, si misero all'opera con carta e penna, oltre a disporre di un gran numero di misure di posizione di Urano, ed effettuarono i calcoli matematici per ricavare dove questo pianeta invisibile si dovesse trovare nel cielo. Nessuno di loro aveva un telescopio, per cui non potevano andare a cercare l'oggetto da soli osservando il cielo. Adams inviò i suoi calcoli a George Airy, a quei tempi il più importante astronomo inglese. Le Verrier inviò invece le sue risposte prima all'Osservatorio di Parigi e poi all'Osservatorio di Berlino.

L'astronomo all'Osservatorio di Berlino, Johann Galle, fu subito fortunato. La notte del 23 settembre 1846, puntò il telescopio verso quella parte del cielo suggeritagli da Le Verrier e, dopo pochi minuti, trovò un oggetto che non era presente su nessuna carta stellare. Si rese subito conto di aver trovato un nuovo pianeta: Nettuno.

Tuttavia, dopo qualche decennio, le posizioni e il moto di Nettuno furono noti abbastanza bene da poter dire che Urano ancora non si muoveva come, in teoria, avrebbe dovuto. E anche il moto di Nettuno presentava qualche stranezza. Sembrava come se ci fosse un altro pianeta ignoto da qualche parte lassù.

Di nuovo i matematici cercarono di usare il moto di Urano (e ora anche di Nettuno) per ricavare dove potesse trovarsi questo eventuale pianeta ignoto. Clyde Tombaugh, un astronomo del Lowell Observatory in Arizona, si assunse l'incarico di cercare l'oggetto. La sua tecnica fu quella di riprendere due fotografie di una data zona di cielo, e poi esaminarle con un "comparatore a intermittenza". Questo dispositivo consente di saltare velocemente da una foto all'altra, per notare subito, a colpo d'occhio, che cosa è cambiato dall'istante in cui è stata presa la prima foto e l'istante in cui è stata presa la seconda.

Le stelle non si muovono molto, e Tombaugh era convinto che un pianeta sconosciuto si sarebbe invece mosso leggermente durante il tempo intercorso tra le due fotografie, e quel movimento lo avrebbe evidenziato rispetto alle stelle. Si trattava di un lavoro lungo e faticoso. Tombaugh trovò alcune cose interessanti durante gli anni passati ad esaminare le fotografie, ma fu soltanto nel febbraio 1930 che finalmente trovò il nuovo pianeta, su una coppia di fotografie appena fatte.

Incidentalmente, fu solo più tardi che ci si rese conto che Plutone era troppo piccolo per esercitare un tangibile effetto gravitazionale su Nettuno o su Urano. Questo ha fatto pensare ad alcuni che ci doveva essere ancora un altro pianeta da qualche parte, e pertanto ci furono molte ricerche di questo "Pianeta X". Alla fine, tuttavia, la sonda spaziale Voyager 2 fu in grado di misurare con precisione la massa di Nettuno. Una volta che questo dato fu noto, fu possibile rifare i calcoli, e il problema della posizione di Urano e Nettuno scomparve. Così non sembra che ci sia lassù un altro, ignoto, grande pianeta.

E' realmente un pianeta?: La risposta a questa domanda dipende dalla persona a cui la si rivolge, e vi è stato un grosso dibattito su questo argomento nell'ultima decina di anni. Alcuni considerano Plutone un vero pianeta. Altri lo vorrebbero chiamare asteroide, o "pianetino". Altri lo considerano una cometa, e altri ancora pensano che sia "qualcosa di nuovo", che non rientra in nessuna delle classi precedenti.

I sostenitori del termine "pianeta" fanno presente che Plutone è stato chiamato pianeta da quando fu scoperto nel 1930. Tutti hanno imparato dalla scuola elementare che vi sono nove pianeti, e non è il caso di riscrivere tutti i testi scolastici, senza una buona ragione. Inoltre Plutone è molto più grande degli oggetti che chiamiamo asteroidi (Plutone ha un diametro di circa 2300 chilometri, 2/3 del diametro della Luna, mentre il più grande asteroide, Cerere, ha un diametro di soli 900 Km.).

Coloro che preferiscono il termine "asteroide o pianetino" sostengono che, se Plutone fosse stato scoperto negli ultimi dieci anni o giù di lì, si sarebbe adottata l'attuale procedura e lo si sarebbe classificato come un asteroide, senza la necessità di alcun dibattito. In parte, ciò sarebbe dovuto alla recente scoperta di un cospicuo numero di oggetti che si trovano nella zona più esterna del nostro Sistema Solare, e Plutone è soltanto il più grande di tanti altri oggetti simili. Si tratta degli "oggetti trans-nettuniani" o "TNO", o "oggetti della cintura di Kuiper". E' questo un argomento che recentemente è molto dibattuto tra gli astronomi.

I sostenitori di questo punto di vista fanno anche notare che Plutone è più piccolo degli altri pianeti, si trova in un'orbita di tipo asteroidale, e non rassomiglia nemmeno lontanamente agli altri pianeti, così distante dal Sole. Essi citano anche:

Non andate su Plutone. E' il pianeta di Topolino. -- Robin Williams

Sareste sorpresi di sentir considerare un oggetto come Plutone una cometa, poiché Plutone non ha la coda. Ma i sostenitori del termine "cometa" fanno notare che Plutone sembra essere un blocco di ghiaccio sporco, che è proprio la classica definizione di una cometa. (La mancanza di coda in realtà non è importante. Infatti quando le comete si trovano così lontane dal Sole come Plutone sono troppo fredde per avere una coda). Gli altri oggetti TNO sembrano costituiti più da roccia che da ghiaccio, per cui non verrebbero considerati comete.

Per quanto riguarda coloro che vorrebbero chiamare Plutone "qualcosa di nuovo", è ovvio, da quanto si è detto finora, che Plutone appartiene a una classe a sé stante. (Almeno per il momento. Si stanno effettuando attualmente molte ricerche nelle zone lontane del Sistema Solare. Questo tema era stato abbandonato per decenni, poiché tutti erano convinti che non ci fosse niente di interessante laggiù. Ora però che le nostre conoscenze sono progredite, sono molte le ricerche in corso).

E' il pianeta più lontano dal sole?: Dipende da quando fate questa domanda.

L'orbita di Plutone è una ellisse (cioè un'ovale) molto allungata, e occorrono 248 anni per percorrerla. Durante una ventina di quegli anni, Plutone si trova più vicino al Sole di Nettuno.

Per esempio, tra il 7 Febbraio 1979 e l'11 Febbraio 1999, Plutone si è trovato più vicino al Sole di Nettuno. Dopodiché è entrato in quella parte di orbita che lo allontana dal Sole. Si allontanerà dal Sole sempre di più per altri 120 anni circa, e poi ricomincerà ad avvicinarsi al Sole, finché il 5 Aprile 2231 si troverà di nuovo più vicino al Sole di quanto lo sia Nettuno.

(Potreste trovare da qualche parte delle date leggermente diverse da queste. Una persona del JPL (Jet Propulsion Laboratory) ha scritto qualcosa che spiega come questo possa accadere; si può fare clic qui per ulteriori dettagli).

Comunque, per circa il 90% del tempo, Plutone si trova un poco più lontano dal Sole di Nettuno.

Potrebbe Plutone entrare in collisione con Nettuno? No.

Molte persone hanno sentito di Plutone che si avvicina al Sole più di Nettuno (come discusso sopra) e concludono che, quando Nettuno e Plutone si trovano esattamente alla stessa distanza dal Sole, vi può essere il rischio di una collisione. Vi sono vari motivi per cui questo non può avvenire.

Il primo motivo è che il Sistema Solare è tanto grande, e che, quando ci si trova così lontani dal Sole come Nettuno e Plutone, ci si rende conto di quanto questo sistema sia grande. Come si è detto precedentemente, Plutone interseca l'orbita di Nettuno due volte ogni 248 anni, per cui è molto improbabile una collisione; e anche quando Plutone effettivamente interseca l'orbita di Nettuno, è altamente probabile che Nettuno si trovi, in quel momento, da qualche altra parte dell'orbita.

Il secondo motivo (che è quello che quasi tutti i libri tralasciano di menzionare) è che le orbite dei due pianeti, in effetti, considerate nello spazio tridimensionale, non si toccano quando si intersecano. Si possono pensare le orbite di Nettuno e Plutone come due anelli di una catena; se Nettuno fa un giro all'interno di uno degli anelli, e Plutone fa un giro all'interno dell'altro anello, i due oggetti passeranno vicini di tanto in tanto, ma non ci sarà collisione.

Il terzo motivo è un po' capzioso. Ogni volta che Plutone arriva al suo massimo avvicinamento al Sole, Nettuno si trova, considerando la sua posizione angolare sull'orbita, sempre a novanta gradi, rispetto alla posizione angolare di Plutone, o in anticipo o in ritardo. Questo fatto garantisce che, quando sembra che ci sia una "possibilità di collisione", Nettuno si troverà in una parte del cielo completamente differente... in effetti, Nettuno sarà in genere più distante da Plutone di quanto lo sia la Terra.

Ci sono altri pianeti al di là di Plutone?: Probabilmente no. Se ce fossero, essi sarebbero o molto piccoli, o molto lontani, o entrambe le cose.

Un pianeta più grande, oppure uno più vicino al Sole, sarebbe già stato trovato in due modi. Primo, avrebbe esercitato la sua forza di attrazione sugli altri pianeti del Sistema Solare. Si sarebbe visto che i pianeti non si muovevano come ci si sarebbe aspettato. In effetti, nel passato, furono riscontrate alcune anomalie nel moto di Urano, Nettuno e Plutone, per cui alcuni astronomi pensarono che queste anomalie potessero essere spiegate dalla presenza di un decimo pianeta (spesso chiamato "Pianeta X"). I dati, però, furono in seguito riesaminati, e le "anomalie" furono spiegate con altre cause, tra cui un errore nella valutazione della massa di Nettuno. Pertanto non sembra che ci possa essere laggiù un pianeta veramente grande.

Secondo, in tutto questo tempo lo si sarebbe già visto. Negli ultimi decenni è stata effettuata una grandissima quantità di ricerche astronomiche, per cercare oggetti come asteroidi e comete. Se ci fosse stato qualche oggetto grande o vicino, qualcuno, magari accidentalmente, lo avrebbe trovato.

Ci sono certamente degli oggetti ancora da scoprire, al di là di Plutone. E se ci si allontana abbastanza dal Sole, anche un oggetto grande potrebbe non essere stato ancora scoperto. Un tale oggetto sarebbe molto poco luminoso, non tanto perché lontano da noi, quanto perché lontano dal Sole.

Una sonda spaziale verso Plutone: Plutone è l'unico pianeta a non essere stato ancora visitato da una sonda spaziale. Abbiamo alcune immagini riprese dal Telescopio Spaziale Hubble, ma non si tratta di immagini molto nitide. C'è anche una tempistica interessante a proposito di Plutone: attualmente è appena passato per il punto più vicino al Sole, e c'è una sottile atmosfera. Tra qualche decennio, questa atmosfera si raffredderà al punto da solidificarsi.

Per questo motivo, è stato suggerito di inviare una sonda verso Plutone. La missione di avvicinamento a Plutone "Pluto-Kuiper Express" era stata prevista per il lancio nel 2003-2004, per arrivare a destinazione nel 2012-2018. Sembra un viaggio molto lento, ma Plutone è molto lontano; arrivare là in 11-14 anni non è facile. Se, però, la sonda potesse arrivare là per quella data, sarebbe probabilmente in grado di osservare l'atmosfera di Plutone, prima che si solidifichi completamente.

Purtroppo, questo progetto è stato sospeso, e non sembra che possa essere rimesso in carreggiata prima di diversi anni. Finché la sonda verrà inviata, l'atmosfera probabilmente sarà tutta solidificata. Vi è un sito Web istituito per cercare di convincere la NASA a inviare il "Pluto-Kuiper Express".

La Terra in una bolla

Teorie sulla struttura dell’Universo: la Terra in una bolla



Una nuova teoria consentirebbe di farci capire ciò che succede nel nostro Universo, senza dover presupporre l’esistenza di materia oscura ed energia oscura. Anche fenomeni come il dark flow troverebbero una spiegazione. Secondo George Ellis, docente di matematica applicata all’Università di Cape Town in Sudafrica, nonché uno dei più importanti cosmologi contemporanei, “Se diamo uno sguardo all’Universo attraverso i più potenti telescopi, il principio dell’isotropia si salva facilmente. Ma le prove dell’omogeneità dell’Universo sono assai più difficili da trovare. Al momento nessuno può smentire il fatto che potremmo trovarci all’interno di un gigantesco vuoto, ossia in una grande bolla sferica circondata da un Universo con caratteristiche differenti”. Vivere dentro una bolla spiegherebbe molte cose con più semplicità. Dentro una bolla infatti la forza di gravità sarebbe debole, determinando l’espansione assai più rapida dell’area, assai più densa, dell’Universo che la contiene. Sarebbero pertanto svelate le misteriose accelerazioni rilevate in diverse zone del cosmo.
L’Universo sarebbe caratterizzato dalla presenza di diverse zone di vuoto e la via Lattea risulterebbe essere come una specie di gocciolina d’olio nel mare.
Ma sarebbe possibile verificare questa affascinante ipotesi? Esistono due possibili soluzioni: la prima, proposta da Robert Caldwell, del Dartmouth College del New Hampshire, è basata sullo studio dell’interazione tra i fotoni e la radiazione cosmica di fondo (il residuo termico del Big Bang) nel passaggio dall’interno all’esterno della bolla, la seconda, di Jean-Philippe Uzan dell’Istituto di Astrofisica di Parigi, consiste nel misurare per almeno un decennio le velocità di alcuni particolari oggetti, come i quasar, che si stanno velocemente allontanando da noi. Se fossero riscontrate velocità diverse a seconda della distanza, ciò significherebbe che la velocità di espansione dell’Universo cambia nel corso del tempo, in aperta contraddizione con il modello cosmologico omogeneo ipotizzato fino ad ora.
E se la teoria fosse davvero corretta? Bisognerebbe ripartire praticamente da zero e riscrivere buona parte della moderna cosmologia. Aggiunge George Ellis: “Se si scoprisse che viviamo in una bolla di vuoto, tutte le osservazioni fatte fin qui dovrebbero essere considerate frutto di una prospettiva parziale e sarebbero ben lontane dall’avere un significato universale”.

LE CELLULE STAMINALI

LE CELLULE STAMINALI: CELLULE DIFFERENTI DALLE ALTRE E TRA LORO

Tutte le cellule del corpo umano di uno stesso individuo contengono nel nucleo le stesse molecole di Dna , tutte ad eccezione dei gameti, ovociti e spermatozoi, che invece contengono la metà delle molecole di Dna rispetto a tutte le altre cellule (cellule somatiche). Questo dimezzamento è facilmente spiegato dal ruolo stesso dei gameti, cellule destinate alla riproduzione sessuata , destinate cioè a fondere il loro nucleo con quello del gamete dell’altro sesso ripristinando nella prima cellula del nuovo individuo (zigote) il normale quantitativo genetico tipico delle cellule somatiche. In sostanza, per non raddoppiare la quantità di Dna ad ogni generazione, il Dna dei gameti viene dimezzato in seguito a quella particolare divisione cellulare che si chiama meiosi.
Meno immediata è invece la ragione del perché le cellule somatiche di un organismo, pur avendo tutte lo stesso identico materiale genetico, siano diverse tra loro, nella struttura e nelle funzioni, a volte in modo molto evidente. Una cellula dello strato superficiale della pelle (epidermide) ed una cellula nervosa (neurone) hanno lo stesso Dna ma non possono essere più diverse l’una dall’altra. Che i neuroni siano cellule, tra l’altro, non è stato scontato nemmeno per chi, magistralmente, le rese osservabili al microscopio ottico ( Camillo Golgi nel….), le mille ramificazioni sottilissime dei neuroni cerebrali formano un tale groviglio che non fu affatto evidente riconoscerne la natura cellulare.
La domanda è: se il Dna è il responsabile delle caratteristiche cellulari e quindi dell’individuo (almeno per la componente genetica non ambientale) come è possibile che cellule che contengono lo stesso identico Dna possano essere diverse? Da cosa dipende il differenziamento cellulare? La risposta a questa importante domanda risiede nel comportamento dei geni (tratti di Dna) che per esprimersi, per espletare cioè la loro funzione di guidare la sintesi proteica, non è sufficiente che siano presenti nel Dna ma devono anche essere in forma attiva, “accesi”. Ora che la morfologia dei geni (la sequenza) è nota completamente, la ricerca della biologia molecolare si concentra sull’aspetto della regolazione genica, sull’individuazione cioè di quei meccanismi che portano un gene esistente a funzionare, ad essere in forma attiva ed espletare il suo unico ruolo: quello di sovrintendere la sintesi delle proteine.
Le cellule si differenziano dunque grazie alla diversa attività genica, anche se i geni sono tutti presenti ne funzionano solo alcuni, quelli necessari alla cellula, in dipendenza dal tipo cellulare ma anche semplicemente dal momento di vita o da esigenze estemporanee. All’interno di una singola cellula quindi, non sono sempre presenti tutte le proteine potenzialmente utili, sarebbe troppo dispendioso energeticamente produrre sempre e comunque tutto l’eventuale necessario. La cellula modula la sua attività genica in seguito delle a segnali chimici che arrivano dall’ambiente extra ed intracellulare che “spengono od accendono” i geni confinati nel nucleo. Così le fibre muscolari producono miosina ed actina in maggiore quantità in seguito a segnali chimici che conseguono all’esercizio fisico, così i melanociti producono più melanina in seguito ad esposizione solare, così le cellule pancreatiche producono più enzimi digestivi in seguito all’assunzione di cibo.
Il rinnovamento cellulare al quale è soggetto il corpo per tutto il corso della sua esistenza, deve tutto alle cellule staminali che lavorano incessantemente rigenerando il perduto. Sono cellule destinate a non avere una loro identità, sono allo stadio indifferenziato. Quando si dividono mantengono sempre un quota di loro stesse. Dalla cellula-madre vengono fuori due cellule-figlie, una che si differenzia ed un’ altra che resta indifferenziata. E’ una mitosi asimmetrica,i prodotti cellulari hanno due destini diversi, questo lo possono fare solamente le staminali. In alcuni tessuti sono numerosissime ed in grande attività (midollo osseo, pelle) , in altri sono invece molte meno con una capacità di riparazione limitata o ancora da dimostrare.
Ma tutti i tipi cellulari del nostro corpo (ce ne sono circa ……) derivano da un’unica cellula, dallo zigote, frutto della fecondazione dei gameti, nelle tube uterine di nostra madre (per lo meno parlando di fecondazione naturale), questa è la cellula progenitrice di tutte le nostre altre. Essa contiene tutti i geni che servono per i tipi cellulari futuri, un errore in un gene si ripercuoterà su tutte le cellule che lo esprimeranno. Lo zigote è una cellula che ancora non si è specializzata, è tutto e niente, è una cellula senza un’identità precisa in termini di tessuto, organo o apparato, si dice che è una cellula totipotente. Questo è il termine che indica la potenzialità di una cellula di differenziarsi in qualunque altro tipo cellulare.
Questa preziosa condizione non è una prerogativa esclusiva dello zigote ma viene condivisa dalle cellule che derivano da esso nelle primissime fasi dello sviluppo embrionale. Sono queste le cellule staminali embrionali oggetto del dibattito bioetico. E’ proprio la totipotenza che attrae gli scienziati, si vorrebbe sfruttare questa preziosa capacità, trapiantandole in organi malati e sperando che si differenzino in cellule di quel tessuto arrivando a sostituire quelle malate. Ma proprio la totipotenza , la loro estrema plasticità è per qualcuno anche fonte di preoccupazione, in particolare si teme l’insorgenza di forme cancerose se non si riuscisse a controllare i loro cicli riproduttivi.

Nell’embriogenesi, man mano che le divisioni cellulari procedono, le cellule da totipotenti diventano pluripotenti, un grado minore di versatilità, ancora molto pronunciata ma non totale. Possiamo dire che durante lo sviluppo embrionale si va progressivamente perdendo potenzialità, plasticità. Quando la cellula diventa “adulta”, appartenente ad un determinato tessuto e organo perde la plasticità delle cellule dalle quali deriva. In termini genici questo significa un progressivo inattivazione di alcuni geni ed attivazione di altri. In maniera definitiva? Il differenziamento cellulare è una strada senza ritorno? Fino a poco tempo fa si pensava di sì, la strada del differenziamento veniva immaginata come irreversibile, l’adulto non può ritornare bambino. Si è invece dimostrato che non è così: la clonazione della pecora Dolly ne costituisce la prova.
La prova consiste nell’aver dimostrato con la clonazione che Il Dna appartenente ad una cellula differenziata (della pelle ad esempio) può riprogrammarsi fino a comportarsi come uno zigote a patto di essere inserito nell’ambiente giusto, in un ovocita denucleato ad esempio. Fattori ambientali presenti nel citoplasma della cellula uovo fanno avvenire il miracolo: l’ovocita con il nucleo di una cellula somatica estranea non si comporta diversamente da uno zigote “tradizionale”, comincia a dividersi per formare un embrione. Non si pensi tuttavia che la clonazione sia così semplice da eseguire, per ottenere Dolly sono stati fatti numerosi tentativi, l’efficienza dei protocolli di clonazione da espianto nucleare è ancora molto bassa nonostante siano stati clonati, in seguito alla povera Dolly che avuto vita breve, diversi altri animali .
E’ stato dunque abbattuto quello che per tanto tempo è stato un dogma della biologia cellulare: intendere il differenziamento cellulare come una strada senza ritorno, il ritorno è invece possibile, la totipotenza può essere ripristinata, non facilmente ma è stato possibile farlo.

Con termine clonazione terapeutica si intende la produzione di embrioni non a scopo riproduttivo ma esclusivamente come fonte di cellule staminali totipotenti da usare a scopo terapeutico. Non embrioni qualsiasi ma derivanti da un nucleo dell’individuo da curare, veri e propri cloni dunque di sé. L’utilizzo delle cellule staminali derivanti da questi embrioni avrebbero l’indubbio vantaggio di evitare del tutto problemi di rigetto che, anche se oggi tenuti sotto controllo dalla somministrazioni di farmaci antirigetto come la ciclosporina, sono sempre presenti quando nell’organismo vengono introdotte cellule estranee a meno di alta compatibilità. Si creerebbe un clone con la tecnica usata per Dolly per poi non lasciar procedere lo sviluppo ma ,o smembrare l’embrione per utilizzarne le singole cellule, o congelare e costituire una riserva cellulare nel caso servisse in futuro
Produrre embrioni per poi distruggerli, anche se per un buon fine, non mi sembra che possa essere un’azione da incentivare almeno sul piano che considera l’embrione una vera e propria forma di vita umana, più discutibile è invece l’increscioso e di diffiicile soluzione è il caso di quelle migliaia e migliaia di embrioni che giacciono in freezer sparsi per il mondo, prodotti dall’avanzo-scarto delle fecondazioni in vitro. In tutte le pratiche di fecondazione artificiale infatti, vengono utilizzati diversi ovuli e portate avanti quindi diverse fecondazioni. Sono embrioni senza futuro dal punto di vista riproduttivo poiché gli scienziati non garantiscono sulla buona salute di embrioni dopo anni ed anni sotto zero, stanno nei freezer in attesa di giudizio. Sono in numero di………………

Se l’utilizzazione delle cellule embrionali dà adito a problemi di ordine etico, questo non accade con un altro tipo di cellule con grande speranza terapeutica: le cosiddette cellule staminali adulte. Sono state chiamate così perché si trovano in persone che hanno terminato il loro sviluppo e la loro funzione è quella di rinnovare continuamente le cellule perdute nei tessuti. Sembra infatti che pressocchè ogni tessuto contenga cellule che annidate in nicchie spesso difficili da scovare, siano in grado di produrre cellule del tessuto al quale appartengono. Persino i neuroni, considerati da sempre cellule non in grado di riprodursi avrebbero una loro scorta cellulare pronta ad intervenire. Quel processo che accade in maniera manifesta nella pelle, che rigenera le cellule morte superficiali con una produzione continua dal derma sottostante, quel processo rigenerativo sembra che sia presente in ogni tessuto. Le cellule ematiche sono soggette ad un incessante turn over grazie all’attività del midollo osseo, il tessuto ematopoietico che rifornisce continuamente il sangue di cellule. Grazie a queste cellule instancabili oggi il 60-70 per cento di malati di leucemia può guarire (grazie anche al trapianto di midolli compatibili). Il fegato rinnova il 50% della sua massa in alcune settimane rendendo possibile il trapianto di una porzione di una sua porzione.
Non è ancora noto il meccanismo che porta le staminali a differenziarsi in cellule dell’organo alle quali appartengono, probabilmente dei fattori di crescita (come delle citochine) le inducono a rimanere staminali, ma avvolto completamente nel mistero è invece come facciano le staminali a sapere quante cellule mature bisogna produrre e quindi quando fermare il ciclo riproduttivo. In alcuni casi è oggi possibile isolare e coltivare in vitro le riserve staminali adulte ma bisogna dire che sono poche e che dopo qualche divisione tendono a perdere la loro caratteristica di pluripotenzialità.
La perdita della totipotenza delle staminali avviene nell’embrione allo stadio di morula, una sferetta di circa sedici cellule somigliante appunto ad una mora. Il destino delle cellule della morula sono già segnati, determinati dalla posizione che occupano nella sferetta e negli istanti successivi.
Studi recenti mostrano che le staminali ematopoietiche e le mesenchimali del midollo osseo sono dotate di particolare plasticità, se ricevono i segnali chimici giusti in coltura possono differenziarsi in condroblasti o osteociti trovando dunque utilizzo in ortopedia e in odontoiatria. E a getto continuo escono articoli che denunciano le capacità delle staminali adulte di diventare altro .Importante è il fatto che questo tipo di cellule, essendo prelevate dai tessuti dello stesso paziente, non darebbero alcun problema di rigetto
Questa delle staminali adulte sembra essere la strada maestra per aggirare tutte le problematiche etiche, si tratta infatti di cellule che niente hanno a che fare con il processo riproduttivo, cellule non destinate a produrre una nuova vita, semplicemente cellule. Sembra datato quel dogma della biologia della irreversibilità del differenziamento: le staminali adulte sono capaci di tornare indietro, di riprogrammarsi a seconda dei segnali inviati dall’ambiente. Sembra che persino il cervello adulto abbia la sua riserva staminale: secondo Fred H. Gage del Salk Institute in California, il nostro cervello rigenera un neurone al giorno ogni duemila, si: tratterebbe dei neuroni destinati al riconoscimento di luoghi e volti ed anche per l’olfatto. E c’è addirittura chi pensa di poter deprogrammare la cellula adulta in modo da farla comportare come una embrionale.

Fonti di staminali sono inoltre il cordone ombelicale e la placenta, organi che di solito vengono distrutti dopo ogni parto negli ospedali. Siamo ancora lontani dall’ottenere che di routine vengano conservati anziché distrutti, in modo da avere una propria riserva di staminali da utilizzare alla bisogna, ma comunque sono già sorte in Italia almeno sette “Cord Blood Bank” di cui la maggiore è al Policlinico di Milano. Per ora la conservazione per uso autologo è vietata il Italia ma è incentivata la donazione in quanto queste staminali sono meno differenziate di quelle adulte e pertanto meno soggette a rigetto . Non si conoscono però ancora tutte lo loro potenzialità e se potranno differenziarsi in cellule che non siano solamente ematiche.


QUALI TERAPIE? QUALI SPERANZE?

Le applicazioni terapeutiche che hanno come protagoniste le cellule staminali., embrionali o adulte che siano, sono diverse e tutte di grande rilevanza. Siccome moltissime malattie sono dovute alla presenza di un gene anormale che provoca una cascata di eventi metabolici errati nelle cellule in cui il gene si esprime e, dal momento che i geni non fanno altro che produrre proteine, le malattie sono spesso dovute alla presenza di proteine alterate. Considerando allora che tutti gli enzimi sono proteine (con limitatissime eccezioni di alcuni enzimi ad Rna……) si capisce come la ricaduta sull’organismo possa essere anche molto grave. A volte il gene anormale responsabile della patologia è noto, grazie ai progressi della biologia molecolare questo tipo di ricerca sta procedendo molto rapidamente, a volte invece si conosce solo il difetto metabolico cellulare magari perché più di un gene è coinvolto o perché la malattia è multifattoriale e quindi anche fattori ambientali diversi concorrono alla sua insorgenza.
Nel caso in cui si conosce il gene responsabile della patologia, il sogno (e per il momento è davvero solo un sogno) dei terapisti genici è una sorta di operazione di microchirurgia genetica in cui il gene malato viene sostituito con un gene sano. Allo scopo di far entrare nelle cellule bersaglio il gene sano possono essere usati i virus dal momento che per loro natura, quando infettano in maniera specifica le cellule ospiti, iniettano il loro Dna ( o Rna) che spontaneamente si integra col Dna nucleare. Ma i tentativi di usare i virus come vettori cellulari sono per ora falliti.(controllare….) C’è inoltre da dire che l’inserimento del gene sano dovrebbe avvenire nel corretto locus genico (occupato dal gene malato) perché molto spesso l’attività genica è condizionata fortemente da effetti posizione, un posto non vale l’altro nei cromosomi. Questa strategia che sarebbe sicuramente la più “pulita” e priva teoricamente di controindicazioni è ancora un sogno da realizzare, dobbiamo ancora conoscere troppo sul comportamento dei geni.
Un altro approccio terapeutico consiste nell’agire direttamente sul prodotto genico, cioè sulla proteina mancante o difettosa. Se le cellule beta delle isole di Langherans non producono più insulina, come avviene nel pancreas dei malati di diabete mellito, potrebbe essere risolutivo sostituire l’intera linea cellulare con cellule sane in grado di produrre la preziosa proteina. Le cellule staminali, grazie alla loro plasticità, potrebbero essere in grado, una volta introdotte nel pancreas malato, di differenziarsi in cellule beta e cominciare a produrre insulina sostituendo progressivamente l’intero corredo cellulare patologico. Ma saprebbero anche fermare la loro corsa riproduttiva? Anche questo è comunque per il momento solo un sogno.

GIÀ REALTA’

Da quando Green……….. è riuscito per la prima volta a coltivare in vitro la pelle, in poco meno di vent’anni sono state messe a punto vere e proprie terapie di medicina rigenerativa. Le cellule staminali riescono a proliferare sviluppando strati di pelle di pochi millimetri sufficienti a ricoprire il corpo ustionato o lesionato.
In seguito al successo ottenuto con la pelle, gli scienziati di tutto il mondo hanno cominciato a tentare di ricostruire altri epiteli, dall’uretra ( gruppo di Cancedda) alla mucosa orale (De Luca) o quella delle vie respiratorie. Ma queste tecniche non sono ancora una realtà sui pazienti pur lasciando ben sperare dai risultati di laboratorio.
Grandi risultati si sono ottenuti con la riproduzione della cornea dell’occhio, un successo completamente italiano che corrisponde ai nomi di Graziella Pellegrini e Michele De Luca che nel 1997 descrivono su “Lancet” la tecnica di riproduzione di tessuto corneale a partire dalle staminali lasciando perplessi gli stessi revisori. Fino ad ora l’unica possibilità per pazienti con la cornea danneggiata era il trapianto da donatore deceduto ma non sempre questo è possibile. In alcuni casi il trapianto non funziona per le lesioni troppo gravi a carico di alcune zone della cornea,il limbus, che contengono la naturale riserva staminale necessaria alla produzione corneale. Ora basta che in uno dei due occhi si sia preservato un millimetro di limbus perché questo possa essere prelevato ed amplificato in coltura per poi essere innestare il nuovo tessuto in entrambi gli occhi.

SENSATE SPERANZE

Molti scienziati nutrono speranze fondate sul fatto che le staminali possano essere utilizzate presto in vivo per pazienti di malattie cardiovascolari . Anche nel migliore dei casi, però, non potrebbero curare definitivamente il paziente perché, da qualunque fonte esse provengano, non sembrano in grado di differenziarsi in cellule di muscolo cardiaco quanto invece di migliorarne la funzione inducendo ad esempio la formazione di nuovi vasi o evitando la morte delle cellule al confine con la zona infartuata. Le cellule staminali che meglio potrebbero prestarsi a questo tipo di terapie sono quelle ematopoietiche e mesenchimali del midollo osseo ma anche altri ceppi potrebbero essere adatte, tra queste quelle del tessuto adiposo.
Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale………che provoca morte di neuroni cerebrali in aree attualmente localizzate e circoscritte. Si spera che le cellule staminali possano prendere il posto dei neuroni mancanti. Un pugno di cellule inserite nel punto giusto potrebbero risolvere il problema? Non è così semplice evidentemente, un organo complesso come il cervello non può permettere una soluzione così semplice. Ma il danno cerebrale nei malati di Parkinson è limitato, si tratta di lesioni localizzabili, meno distribuite rispetto ad altre malattie dello stesso genere come ad esempio l’Alzheimer. Altrettanto localizzabili tramite Tac sono le lesioni della Corea di Huntington e delle ischemie e pertanto anche per queste patologie sembra opportuno tentare un innesto di staminali con un trapianto neurochimico consentendo loro di produrre dopamina in vece dei neuroni danneggiati , il che sarebbe molto più efficace che assumere la stessa sostanza per bocca.
Il trapianto delle isole di Langherans da cadaveri è stato un tentativo per cercare di mettere fine alla tortura delle iniezioni quotidiane di insulina dalle quali sono dipendenti i malati di diabete mellito. Il primo di questi trapianti è del 1999 da parte di un gruppo canadese che da allora ha trattato una settantina di malati giungendo alla conclusione che purtroppo le isole si esauriscono progressivamente producendo via via sempre meno insulina. In sostituzione di questa tecnica si pensa ora all’utilizzo di staminali embrionali, dato che di adulte nel pancreas non ce ne sono. Ma per il ora il loro comportamento nel pancreas è un punto interrogativo, spettri temuti sono la possibilità di generare teratomi tumori……… e del rigetto.
All’Istituto dei tumori di Genova è stato prelevato midollo osseo da pazienti con gravissime fratture con conseguente perdita di osso allo scopo di selezionare cellule staminali in grado di attaccarsi ad una piastra di coltura e di formare colonie, cosa che sono in grado di fare solo le cellule mesenchimali , progenitrici dell’osso, e non quelle che origineranno le cellule del sangue. Queste staminali “ossee” sono state fatte espandere in coltura e poi messe su una matrice di ceramica con forma e dimensioni idonee a riparare la lesione del paziente. Si è ottenuto un impasto di osso e ceramica che ,un a volta impiantato, ha permesso di recuperare l’uso dell’arto a tre pazienti……….pg 106 . L’ambizione è però quella di ottenere una vera e propria rigenerazione dell’osso per riassorbimento della ceramica, tecnica questa per ora provata solo su pecore anche se non è lontana la sperimentazione sulle persone.



I SOGNI

Diverse sono le distrofie muscolari e quella di Duchenne è la più grave e purtroppo anche la più frequente, ed è anche ereditaria. Viene trasmessa per via materna, ne sono affetti i maschi e solo in rarissimi casi le femmine controllare che esistano femmine ( mutazione recessiva sul cromosoma X……). . Si tratta di una degenerazione progressiva dei muscoli scheletrici per la quale non si conoscono cure. Il difetto genetico sta nella mancata attività del gene della distrofina , una proteina necessaria alla contrazione muscolare. Il gene per la distrofina è, senza un apparente motivo, molto grande e da quando è stato scoperto ( nel 1986) i tentativi di terapia genica sono risultati tutti inutili. I virus- vettori sembrano non essere in grado di traghettare nei muscoli del corpo un gene così esteso dovendo peraltro superare la membrana connettivale che avvolge i muscoli stessi. La ricerca in tal senso prevede tempi lunghi e fasi precise anche se ogni tanto i media illudono del contrario.
Paladino della ricerca sulle cellule staminali embrionali è stato l’attore Cristopher Reeve, il Superman cinematografico, che subì una lesione al midollo spinale nel 1995 e si sottopose persino a un esperimento con staminali. Il povero attore è morto senza vedere il successo scientifico della sua fondazione ma oggi diversi gruppi di ricerca stanno provando a rendere reale quello che fino a pochissimo tempo fa era solo un sogno: la rigenerazione dei traumi midollari, ripristinare i collegamenti tra il cervello e la periferia. C’è da dire che una lesione midollare innesca una cascata di eventi catastrofici : viene distrutta la mielina interrompendo gli impulsi elettrici. Al danno primario (distruzione dell’osso e recisione delle fibre nervose) seguono eventi biochimici paragonabili ad un ictus che provocano danni al midollo che via via si estendono. Viene compromesso il flusso sanguigno e prodotta infiammazione che produce citochine che sono causa di altri problemi. Viene quindi distrutta sostanza grigia e bianca e la lesione di riempie di cellule del sangue ed altri “detriti” e la parte lesionata viene isolata dal resto da un cordone di astrociti (cellule della glia) che producono una cicatrice gliale. Appare quindi ora più chiare quanto possa essere problematico ripristinare il segnale nervoso in seguito ad una lesione spinale. La sperimentazione è in fase preliminare ed i risultati ottenuti, anche se fanno beneficiaria sperare, sono su un numero troppo esiguo di pazienti per consentire di trarre conclusioni di qualunque genere.
La sclerosi laterale amiotrofica (Sla) è una malattia neurodegenerativa dei motoneuroni che porta ad atrofia e riduzione di volume dei muscoli riducendo la loro forza di contrazione e generando quindi paralisi progressiva. La Sla è diventata famosa perché, per motivi non ancora appurati, colpisce i calciatori con una frequenza anormale. Ne sono vittime anche giocatori di baseball ( il celebre Lou Gehrig), pugili e tennisti. Famosi i casi anche del musicista Herbert von Karajan e del fisico Steven Hawking che, nonostante la paralisi pressochè totale, riesce a svolgere in maniera eccellente il suo lavoro che necessita solo di una buona qualità di cervello, organo del tutto esente dalla degenerazione.
Nonostante non si conoscano ancora le cause della patologia diverse persone si sono già sottoposte al trattamento con le staminali. I risultati sono incoraggianti ma , dato il ridotto numero di casi, di nessuna rilevanza scientifica e quindi è troppo presto per parlare di una terapia per la Sla con cellule staminali.
Numerosissimi sono i gruppi di ricerca concentrati nel tentativo di trovare una terapia per la sclerosi multipla ……………………


LA QUESTIONE ETICA

COSA È VITA?

La biologia può dare una risposta a questa domanda. Per la biologia l’organismo della nuova generazione, il figlio per intenderci, ha inizio con lo zigote, cellula derivante dal processo di fecondazione che nella donna avviene nelle tube uterine (o salpingi o tube di Falloppio). La biologia non ha dubbi nel segnare l’inizio di una nuova vita: quando i nuclei dei gameti si fondono allora la cellula diploide che ne deriva è la prima cellula del nuovo organismo, è quella cellula che grazie a moltissime mitosi e (meno) meiosi può dare origine prima all’embrione, poi al feto ed infine al bambino già esterno al corpo della mamma.
Lo sviluppo della vita è un continuum ma il suo inizio è chiaramente definibile in un evento. Qualcuno definisce lo zigote o l’embrione nelle sue primissime fasi una vita in potenza e non in atto. Credo che in questo caso si sconfini nella filosofia ma è facile capire che, con questa asserzione, ci si va a infilare in un ginepraio di soggettivismi. Quando avrebbe allora inizio la vita? Quale criterio usare per delineare il confine tra vita e non vita? Quando l’embrione diventa feto ed assume sembianze umane? Quando si è sufficientemente sviluppato il sistema nervoso che distingue l’essere animale dalle piante? Quando?
Nella questione definizionale è finito anche ci si è spostati dal concetto di vita a quello di embrione: quando si può cominciare a parlare di embrione? C’è chi sostiene che fino a quando la masserella cellulare derivante dalle prime mitosi dello zigote può in potenza ( e qualche volta in atto) dividersi in due per dare due gemelli, allora fino a quella fase non si può parlare di embrione. E perché no? La masserella cellulare fino ad un certo stadio non avrebbe la dignità di embrione? Il soggettivismo mi sembra evidente.
Alla fine tutte le dispute bioetiche fanno capo al concetto di vita. Ma qualcuno dice che una cosa è vita una cosa è vita umana. Anche una cellula in coltura è vita ma non è vita umana. Vale allora la pena specificare che lo zigote umano è la prima cellula della vita umana. Lo zigote umano non è in grado di produrre un verme, una giraffa, un pesce, ma neanche la scimmia più antropomorfa, può dar luogo solo ad un essere umano. Allora la questione si è spostata per qualcuno sulla differenza tra essere vivente e persona , il concetto di persona non è limitato alle condizioni che la biologia individua ma va molto oltre ma anche qui la questione è oltremodo filosofica, esce dall’ambito scientifico, dalla sfera oggettiva.

STAMINALI EMBRIONALI

Sono cellule che provengono da embrioni, da quello stadio dello sviluppo dell’individuo che normalmente si sviluppa nell’utero materno. Sono cellule che, lasciate al loro destino, porterebbero ad una nuova vita. Non tutte, direbbe qualcuno, solo alcuni embrioni alle primissime fasi portano avanti la crescita (forse una minoranza) ma non per questo ci sembra lecito trattarle come se fossero cellule qualunque.
E’ vero che anche le cellule somatiche che si riproducono in coltura sono da considerarsi viventi, ma la differenza sta nel fatto, per nulla trascurabile, che le cellule embrionali derivano dallo zigote, fanno parte a tutti gli effetti del progetto ontogenetico che culmina con la nascita di un bambino. Il discrimine sta tra il concetto di essere vivente ed essere vivente umano. Neanche il bambino ha le stesse caratteristiche psico-motorie dell’adulto eppure nessuno si permette di non considerare il bambino un essere umano a pieno titolo. Lo stesso dovrebbe essere per le fasi che precedono la nascita, la biologia non riconosce un confine che segni l’inizio dell’essere umano, ci sono stadi che si susseguono senza soluzione di continuità, dallo zigote al parto.
L’irritazione di alcuni scienziati, relativa all’impedimento nell’uso delle staminali embrionali, sta nel veder negato un settore del campo della ricerca, a prescindere dal successo o meno di tale settore. La ricerca non si muove con agio in campi minati, ha bisogno di agire a 360 gradi, vagliare ogni possibilità per poi selezionare la migliore. Per trovare opportune terapie abbiamo bisogno di conoscere il più dettagliatamente possibile la realtà, tutta la realtà. Concentrare le ricerche sulle cellule staminali adulte per motivi etici appare a molti scienziati una censura che farà rallentare la ricerca in modo significativo, a discapito delle migliaia di persone malate che attendono una soluzione per le loro sofferenze. Appare a queste persone non paragonabile l’eventuale sacrificio di qualche embrione se questo potrà sollevare dal dolore migliaia di adulti. Il fine è buono, questo è certo, ma il mezzo per raggiungerlo ci sembra che contraddica il fine stesso: il rispetto della vita umana.
Sembra altresì che i risultati della ricerca sulle staminali adulte siano davvero promettenti, è quindi ragionevole sperare (Vescovi…………..) che possano essere le candidate migliori alle terapie di moltissime malattie. Indubbiamente scovare le adulte che si annidano in ogni tessuto è un’impresa più ardua che utilizzare le versatilissime embrionali, produrre un embrione è al giorno d’oggi una tecnica routinaria, senza problemi, ma questa facilità potrebbe avere come altro lato della medaglia l’eccessiva versalità di queste cellule che potrebbero risultare troppo difficili da gestire (citazione……..) nella paura che diano origine a teratomi od altre forme tumorali.
Che dire poi delle migliaia di embrioni congelati in attesa di giudizio? Non c’è una soluzione per questo caso, qualunque cosa si decida di fare lascia delle perplessità. La Chiesa Cattolica ha suggerito di impiantare gli embrioni in “uteri consenzienti” ma gli scienziato non si sentono di garantire sull’incolumità di quegli embrioni dopo anni ed anni di congelamento. Metterli a disposizione della ricerca significherebbe altresì condurli a morte certa e loro sono “vita congelata”, latente ma pur sempre vita. L’imbarazzo di questa situazione deriva dai protocolli di fecondazione in vitro che non si fanno scrupolo sul numero di embrioni da produrre.

CHE FARE?

Le questione etiche anche se con il prefissi “bio” non possono essere appannaggio degli scienziati. L’uomo di scienza non deve avere una voce in capitolo privilegiata per questioni che sono di coscienza umana, la scienza può, deve, informare sulla realtà così come è, senza colorarla di soggettivismi per forza di cose faziose. Dovere invece di un buon cittadino, prima ancora che cattolico, è informarsi, acquisire le competenze necessarie a comprendere ciò che la scienza, ma anche tutti gli altri ambiti del sapere, propongono. L’acquisizione di adeguati strumenti concettuali permetterà una valutazione critica delle nuove frontiere della scienza e quindi l’affermazione di un sistema democratico di qualità.
L’informazione degli scienziati, dei divulgatori scientifici dovrebbe essere sempre corretta, imparziale, senza pregiudizi ma, dal momento che questo non sempre si realizza, il cittadino deve avere gli strumenti per indagare personalmente alla ricerca del dato oggettivo, vero e poi quindi trarre un giudizio autonomo.
Certamente il cittadino cattolico non è una tabula rasa ,dal punto di vista etico la Chiesa indica la strada maestra, sostiene dei principi indiscutibili e, tra questi, c’è quello di vita umana: questa, d’accordo on fondo con la biologia, comincia con lo zigote. E nei confronti di tutti gli stadi della vita, la Chiesa propone il massimo rispetto, la medesima dignità, gli stessi diritti. Poche cellule, se portano ad un essere umano, hanno la stessa dignità di un uomo maturo, entrambi vanno salvaguardati senza far differenze.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

1. G. Milano, C. Palmerini, La rivoluzione delle cellule staminali, Milano, 2005
2. A. Vescovi, La cura che viene da dentro, Milano, 2005
3. D. Neri, La Bioetica in laboratorio, Roma-Bari, 2001
4. E. Boncinelli, Biologia dello sviluppo, Roma, 1994