giovedì 7 febbraio 2008

Il primo chimico: Robert Boyle

Una figura di primissimo piano che diede un contributo fondamentale alla transizione tra l'alchimia e la chimica, modernamente intesa come scienza della materia, fu quella dell'irlandese Robert Boyle (1627-1691). Oltre ad aver fornito importanti contributi allo studio dei gas (ben nota è la "legge di Boyle e Mariotte"). Il suo nome è inscindibilmente legato alla chiarificazione del fondamentale concetto di "elemento". Boyle illustra le sue concezioni nella sua celebre opera The Sceptical Chymist (Il Chimico Scettico) del 1661. Il libro è scritto in forma di dialogo tra il filosofo antico Carneade (219-388 a.C.) e altri tre personaggi di nome, rispettivamente, Temistio, Filopono ed Eleuterio. Tutto il dialogo è una serrata critica alle concezioni aristoteliche della materia e in particolare alla teoria dei quattro elementi, aria, acqua, terra e fuoco. Caratteristico di tutta l'opera di Boyle è il ruolo centrale attribuito alla sperimentazione. L'importanza dell'esperimento si manifesta anche nella sua innovativa definizione di elemento, inteso come sostanza non ulteriormente decomponibile con le tecniche conosciute. In tale concezione vi è un duplice aspetto che merita di essere evidenziato. Da un lato non si parte più da pure speculazioni filosofiche, come quelle che avevano portato alla teoria dei quattro elementi empedoclei-aristotelici. Boyle parte dai fatti per cercare di interpretare la realtà: non parte da principi primi per interpretare i fatti. Secondariamente la definizione di elemento di Boyle è di tipo operativo. Questo è un requisito indispensabile per qualsiasi concetto scientifico, degno di questo nome. Nella scienza, infatti, deve essere bandita ogni ambiguità e le definizioni devono essere univocamente interpretate da chiunque. Le definizioni operative sono quelle che meglio di ogni altra soddisfano questa caratteristica. Boyle manifesta questo suo amore per l'univocità e la chiarezza anche nell'estrema cura con cui egli affronta il problema del linguaggio. Egli si scaglia contro la tendenza dell'epoca a usare modi di esprimersi altisonanti ed ermetici. Essi non sono altro che il sintomo di scarsa chiarezza di idee e di ignoranza su ciò di cui si intende parlare. Va inoltre osservato che Boyle aderisce alle concezioni atomistiche. In particolare egli utilizza queste concezioni per interpretare il "fuoco". Esso, infatti, non è più visto come un elemento, come nella fisica aristotelica, bensì come un "agente" in grado di imprimere movimento alle particelle e che può essere utilmente impiegato dal chimico per eseguire la scomposizione delle sostanze.

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