domenica 10 febbraio 2008

LEZIONE DI NEUROSCIENZE - PRIMA PARTE

LEZIONE DI NEUROSCIENZE

La teoria del neurone

Nel lontano 1873 Camillo Golgi osservò al microscopio la cellula nervosa in tutti i suoi dettagli ma egli non riuscì a comprenderne il significato perché condizionato dalle sue convinzioni e teorie. L’opera di Golgi costituisce un momento di transizione tra opposte concezioni del sistema nervoso: le teorie olistiche , come quella di Golgi, e quelle di un approccio modulare basato sull’autonomia delle singole aree cerebrali e, di conseguenza, dei singoli neuroni.
Per comprendere il significato della scoperta di Golgi e la contesa scientifica che lo oppose al suo collega e storico antagonista Santiago Ramon y Cajal , che con lui condivise il premio Nobel per la medicina nel 1906, bisogna tener presente le concezioni precedenti circa la costituzione del sistema nervoso. Una scuola di pensiero degli inizi del XIX secolo sosteneva che i tessuti nervosi fossero costituiti di quegli stessi granuli (oggi cellule) che costituiscono gli altri tessuti, in accordo con l’antica teoria (fine XVII secolo) di Antoni van Leeuwenhoek . Ciò sembrava a molti scandaloso in quanto significava assimilare tra loro tutti i tessuti, quelli meno “nobili” come ad esempio l’epidermide e il fegato e quelli più “nobili” come il cervello; ai sostenitori di questa teoria piaceva l’idea di una natura cellulare cerebrale perché ciò implicava una base materialistica delle attività mentali.
Un’altra scuola di pensiero sosteneva invece che il cervello fosse fatto di una massa gelatinosa priva di una differenziazione cellulare. Le idee romantiche dei filosofi della natura (particolarmente in Germania) condizionarono il dibattito sulla natura della struttura cerebrale attraverso fumose teorie che sostenevano un olismo che mirava a minimizzare la natura materiale della mente negando quindi la sua natura cellulare.
In queste concezioni filosofiche restarono intrappolati scienziati del calibro di Jan Evangelista Purkinje il quale, pur descrivendo accuratamente le cellule nervose e l’ammasso di fibre che le circondavano del sistema nervoso centrale e gangliare non comprese appieno la natura cellulare dei granuli osservati , i rapporti tra le cellule e le fibre e le possibili funzioni. Alla luce della filosofia della natura, Purkinje ritenne che ogni granulo fosse dotato di una sua energia che lo rendeva simile ad una piccola “monade” e che il cervello fosse costituito da tante “piccole anime” pensanti (concezione vitalistica).
Un’importante svolta nella conoscenza dell’istologia del sistema nervoso si verificò nel 1844 quando Albert von Kolliker notò nei gangli nervosi (agglomerati di cellule) che le fibre nervose – i cosiddetti cilindri- non erano altro che la continuazione dei globuli, cioè delle cellule nervose. Kolliker notò in seguito che anche nei gangli spinali, le formazioni disposte ai lati della colonna vertebrale, vi erano globuli i cui prolungamenti – gli assoni- erano fibre nervose ricoperte di mielina.
Questa osservazione venne ripresa ed approfondita da Robert Remak che notò che esistevano due tipi di fibre: alcune rivestite di mielina che provenivano dal midollo , mentre altre si formavano nei gangli ed erano il prolungamento delle cellule gangliari. Remak interpretò i gangli come “piccoli cervelli” , centri nervosi intermedi in grado di controllare delle funzioni locali.In tal modo egli sottolineò un fatto molto importante: le fibre che provenivano dalle cellule nervose conducevano l’energia generata da queste ultime. Rimaneva da chiarire invece come le cellule nervose potessero provocare la contrazione dei muscoli lisci, ad esempio dell’intestino, e striati come quelli di un arto. Remak ipotizzò che il sistema nervoso agisse inducendo dei mutamenti sui capillari sanguigni che, modificando l’apporto di sangue ai tessuti, ne avrebbe aumentato o ridotto la funzione. L’ipotesi era ovviamente errata ma si fondava su un assunto corretto: l’energia viene generata al centro – sistema nervoso centrale o gangli- per viaggiare in direzione della periferia.
Intorno alla metà dell’Ottocento le conoscenze sull’anatomia del sistema nervoso erano giunte ad un punto di svolta: era possibile collegare tra di loro gli studi sulla funzione e quello sulla struttura nervosa. In altre parole era possibile iniziare a comprendere dove e in che modo si verificassero alcune semplici forme di attività nervosa come i riflessi. Il cervello cessava di essere una massa gelatinosa popolata da entità confuse ma ne venivano descritte le strutture e correlate le funzioni.
Per individuare chiaramente i corpi delle cellule nervose ed il sottile reticolo di fibre che le circonda era necessario un metodo di colorazione selettivo e fu Cavillo Golgi a mettere a punto quella “reazione nera” che avrebbe rivoluzionato le conoscenze neuroscientifiche e fatto decollare, sotto la spinta di Cajal, la teoria del neurone.
Golgi si fece promotore di una teoria “reticolare” del sistema nervoso che negava che la cellula avesse una sua autonomia anatomico-funzionale sostenendo in alternativa l’esistenza di una rete di fibrille autonoma di neuroni, in quanto pensava che la funzione nervosa dovesse dipendere da una struttura unificante e non da singole cellule.
Fu invece il suo collega Cajal nel 1888 che avanzò la teoria dell’autonomia strutturale e funzionale del neurone (grazie proprio alle tecniche istologiche elaborate da Golgi), la teoria venne poi divulgata da Wilhelm Waldeyer che,nel 1891, introdusse finalmente il termine di neurone per indicare la cellula nervosa con i suoi prolungamenti, i dendriti e l’assone. Secondo la teoria del neurone le unità nervose sono ra loro indipendenti anatomicamente e geneticamente e ciascuna unità consta di tre parti: la cellula, la fibra, la ramificazione della fibra.
Con i paralleli studi sulla fisiologia nervosa venne presto asggiunto un altro concetto: quello di sinapsi (collegamento tra neuroni diversi), la struttura responsabile della trasmissione dell’impulso nervoso, sia di tipo eccitatorio che inibitorio. Secondo i “neuronisti” non esitevano fibre nervose che non derivassero da un neurone, concetto questo che era esattamente l’opposto di quello sostenuto da Golgi e dai reticolaristi che immaginavano una rete nervosa come struttura autonoma.

La corteccia cerebrale e le sue funzioni

Fu lo studioso viennese Franz Joseph Gall e i neurologi che operarono a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento che tentarono di individuare le prime sedi specifiche a categorie psichiche , tentavivi iniziali che conducevano spesso a idee bizzarre e prive di significato scientifico.
Gall, laico e illuminista convinto, si proponeva di diffondere una concezione meccanicistica del cervello nell’ambito di un progetto riduzionistico.
Le sue teorie e interpretazioni suscitarono l’opposizione di quanti ritenevano che esse minassero le fondamenta dell’essenza umana, l’anima,la sua immortalità e il libero arbitrio: il crevello non poteva ridursi ad essere una collezione di parti ognuna delle quali con un’attività specifica. Tra gli oppositori alla visione di Gall citiamo il francese Marie-Jean-Pierre Flourens olista convinto chetentò di contraddire la visione di Gall con dati sperimentali ottenuti da esperimenti non rigorosi (con il metodo lesione- effetto) , nonostante ciò le concezioni olistiche di Flourens si affernarono su quelle di Gall grazie anche alla crisi dell’ideologia illuminista e all’affermarsi dellem idee romantiche.

L’olismo tuttavia subì a sua volta un duro colpo nella seconda metà del XIX secolo, a seguito delle osservazioni cliniche condotte dal celebre neuroanatomista e patologo francese Paul Broca.
Broca voleva studiare i legami tra emorragie e trombosi dei vasi della corteccia cerebrale e la perdita di specifiche funzioni nervose: si riteneva , fino a quel momento, che la perdita di alcuni funzioni , in particolare il linguaggio, dipendesse da un indementimento, cioè da una perdita generale della ragione. Il primo poaziente studiato dal patologo francese, noto con il nome di “Tan” poichè questa era l’unica parola che sapeva pronunciare, aveva perso improvvisamente la capacità di articolare il linguaggio benchè egli fosse in grado di comprendere. Tan morì pochi giorni dopo essere stato visitato da Broca e questi potè individuare nel corso dell’autopsia una lesione a carico del lobo frontale di sinistra: la stessa area della corteccia che risultava colpita anche negli altri pazienti studiati da Broca e affetti dalla stessa forma di turba di linguaggio, oggi definita con il termine di “afasia motoria” (impossibilità di articolare il linguaggio ma possibilità di comprenderlo). Queste osservazioni riportarono in auge la concezione secondo cui le funzini cerebrali avevano basi organiche ed erano localizzate in una specifica sede della corteccia o del cervello.
Anche il neuropsichiatra tedesco Carl Wernicke contribuì allo studio sulle afasie descrivendo un tipo di afasia in cui si verificava un’incapacità di comprendere il linguaggio: questa afasia, (afasia sensoriale) che implicava un deficit delle funzioni sensoriali e non motorie, dipendeva da una lesione della circunvoluzione temporale posteriore della corteccia. Nell’interpretare questi risultati, il neurologo tedesco sostenne che non esistevano tanto aree in cui erano localizzate le facoltà mentali, come riteneva la vecchia frenologia di Gall, quanto aree specifiche in cui venivano codificate esperienze sensorio-motorie di base che , ricombinandosi tra di loro, avrebbero dato luogo alle complesse esperienze della mente e della coscienza umana. Nel caso del linguaggio si sarebbe verificata un’associazione tra le esperienze sensoriali, legate alla percezione dei suoni, e quelle motorie, legate alla loro articolazione.
Le concezioni di Wernicke si ispiravano a quelle degli empiristi inglesi (Locke, Hume, Mill) che sostenevano che il pensiero dipendeva dalle associazioni tra esperienze sensoriali e risposte motorie.
Queste concezioni riduzionistiche dell’attività psichica erano in pieno contrasto con la tesi dei sostenitori dell’olismo che segnalavano ad esempio i casi di pazienti che, avendo subito lesioni cerebrali, mostravano discrete capacità di recupero, vedendo in questo una contraddizione con la concezione meccanicistica.

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